Chiesa, finanza e potere

Luca Kocci
Mosaico di pace, aprile-maggio 2013

Chiesa, finanza e potere: la questione è antica almeno quanto la nascita del cristianesimo, se già Gesù, evidentemente presago di quello che sarebbe accaduto nei due millenni successivi, metteva in guardia i suoi discepoli: «Il mio Regno non è di questo mondo», rispondeva a Pilato che lo interrogava, e «Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio», replicava ai farisei che tentavano di metterlo all’angolo.

La tensione povertà-ricchezza e profezia-potere attraversa i venti secoli di storia della Chiesa, fino alla cronaca di queste settimane, dominate dalle dimissioni di papa Ratzinger e dal conclave, ma anche dal Vatileaks e dallo Ior, di nuovo nell’occhio del ciclone. Se ne è parlato a Roma, lo scorso 16 febbraio, in un convegno (“Finanza e potere nella Chiesa”) promosso da una serie di realtà cattoliche di base, come l’agenzia di informazioni Adista e il mensile Confronti, il Cipax, la Comunità cristiana di base di San Paolo e Noi Siamo Chiesa (gli atti del convegno sono pubblicati in un fascicolo speciale di Adista: tel. 066868692, e-mail: info@adista.it, sito internet: http://www.adista.it). «Ambivalenze drammatiche che hanno inciso pesantemente nella storia della Chiesa», spiega Marina Caffiero, docente di Storia moderna all’università “La Sapienza” di Roma. «Qualunque fase noi consideriamo, troviamo ricorrentemente la tensione oppositiva tra l’autorità e l’organizzazione ecclesiastico-curiale da un lato e la riproposizione continua e radicale del messaggio evangelico, per lo più da parte di minoranze, dall’altro lato. Ritroviamo cioè il tentativo, sempre fallito ma sempre perseguito, di rimettere in gioco l’ordine costituito, non nella forma dell’eresia, bensì dall’interno stesso del nucleo della fede».

L’imperatore Costantino, e la sua cosiddetta “conversione” alla fede cristiana, il punto di partenza, come già denunciava Dante Alighieri: «Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, / non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre!» (Inferno XIX, 115-117). Una conversione che avrebbe prodotto due provvedimenti che segnarono l’inizio dei rapporti fra trono e altare, fra papato e impero, fra Chiesa e potere: l’Editto di Milano, che sancì la tolleranza religiosa, e la Donazione, da parte di Costantino al papa Silvestro I e ai suoi successori, dei territori imperiali e, di conseguenza, l’attribuzione del potere temporale. Due falsi storici, che però rappresentano uno spartiacque nella vita della Chiesa. Falsi storici perché non è esistita nessuna Donazione – come dimostrato già in età umanistico-rinascimentale dal filologo Lorenzo Valla – e nessun Editto di Milano, come spiega Sergio Tanzarella, docente di Storia della Chiesa alla Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale di Napoli e all’università Gregoriana di Roma: «A Milano si sono incontrati Licinio e Costantino, ma non hanno fatto nessun Editto. Il cosiddetto Editto di Milano è in realtà quello emanato da Licinio a Nicomedia, sulla base di ciò che presumibilmente avevano stabilito a Milano». E perché la libertà religiosa, il motivo che sarebbe stato alla base dell’Editto, è mito più che realtà, dal momento che ad incoraggiare Costantino furono ragioni politiche: «I cristiani erano circa un decimo della popolazione dell’Impero – rileva Tanzarella –, e un fine e astuto politico come Costantino aveva capito che, in un sistema di alleanze con vari gruppi sociali, era necessario stipulare un’alleanza con i cristiani. Avere dalla propria parte già un decimo della popolazione era funzionale al mantenimento del potere, come appare ancora più chiaro nella legislazione che produsse successivamente».

Alla spiegare la conversione dell’imperatore ci sarebbe il famoso sogno – di cui in realtà esistono tre diverse versioni, non coincidenti, una raccontata da Lattanzio e due da Eusebio di Cesarea – del In hoc signo vinces (“Con questo segno vincerai”) in seguito al quale Costantino fece accompagnare le sue truppe dal labaro imperiale con il monogramma di Cristo e sconfisse Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio del 312. «Siamo davanti a una conversione, ma essa dove si realizza?», si chiede Tanzarella. «Sul teatro di una battaglia. Ma non è singolare che il Dio della pace e del Vangelo si trasformi, grazie a questi sogni, nel Dio della guerra che permette la vittoria? Può avere avuto tutto ciò conseguenze e permanenze in ciò che sarà la storia cristiana che arriva a noi? Che significano oggi le messe da campo e le benedizioni della armi e le preghiere per la vittoria?».

Da Costantino in poi, l’abbraccio con il potere accompagna e condiziona la storia della Chiesa che, aggiunge Marina Caffiero, «si adatta ai sistemi politici e economici nei quali si sviluppa e ne adotta i valori dominanti. Questo dato va esplicitato, anche se l’istituzione ecclesiastica si comportasse in tal modo soltanto per assicurarsi la permanenza materiale e dotarsi dei mezzi necessari alla sua azione pastorale e caritativa. Generazioni di chierici hanno così lavorato nell’età medievale e moderna a rafforzare le fortune e il patrimonio della Chiesa, persuasi di operare nell’interesse dell’istituzione e dei fedeli, anche se qualcuno criticava questa eccessiva accumulazione», da Francesco d’Assisi ad Erasmo da Rotterdam, dagli ordini religiosi che rivendicano un’osservanza stretta della povertà fino al tema conciliare della Chiesa povera e dei poveri.

Una resistenza nel nome del Vangelo che non ha avuto grandi successi, come dimostra, per esempio, la storia dell’Istituto per le opere di religioni, lo Ior, la banca del Vaticano, fondata nel 1942. Il giornalista d’inchiesta Ferruccio Pinotti, grande esperto di finanze vaticana, ne ricostruisce le tappe più significative: le prime fasi affidate alla guida del banchiere massone Bernardino Nogara; poi la gestione del principe romano della nobiltà nera Massimo Spada, che si affida ad un altro massone, Michele Sindona, il quale farà tandem con Roberto Calvi, con la benedizione di monsignor Paul Marcinkus. «Sono gli anni – spiega Pinotti – che vedono l’avvio di quella degenerazione della finanza vaticana che va facendosi sempre più strumento di potere e di vicinanza al mondo politico. Sono anni estremamente oscuri che segnano tra l’altro l’avvicinamento a un altro personaggio che diventerà un cardine dei rapporti di potere della finanza vaticana: Silvio Berlusconi». Per sanare la situazione viene poi chiamato Angelo Caloia, che solo in parte riesce nell’intento – sotto la sua presidenza, per lo Ior passerà la maxi-tangente Enimont gestita dal faccendiere Luigi Bisignani –, a cui seguirà l’opusdeista Ettore Gotti Tedeschi, “licenziato” bruscamente nel maggio 2012 e tutt’ora sotto inchiesta della Procura di Roma per violazione delle norme antiriciclaggio. Il seguito è cronaca, con la recente nomina – con papa Ratzinger già dimissionario e in procinto di lasciare il pontificato – del nuovo presidente, il tedesco Ernst von Freyberg, nei confronti del quale hanno espresso forti perplessità le riviste animatrici della campagna di pressione alle banche armate (Mosaico di pace, Missione Oggi, Nigrizia), per il suo ruolo al vertice di un’azienda, Voss Schiffswerft und Maschinenfabrik, attiva nella cantieristica navale anche militare (in particolare, ha confermato il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, sta costruendo quattro fregate per la Marina militare tedesca).

«In tutto ciò, mi torna in mente quanto afferma la Gaudium et spes sulla totale differenza fra l’ordine delle cose e l’ordine delle persone, e su come l’ordine delle persone debba avere sempre la priorità sull’ordine delle cose», conclude Tanzarella. «Uno degli elementi della questione della cristianità come potenza, del neocostantinismo, si ripropone in questi termini. Nonostante le parole della Gaudium et spes, l’ordine delle cose continua a prendere il sopravvento. Scriveva anni fa il vescovo Raffaele Nogaro: “Anche la Chiesa si è lasciata prendere dal criterio dell’immediata efficienza mondana (…). Ben organizzata per l’autocertificazione, non sempre e sufficientemente povera di Spirito, priva cioè di sé, di valori propri e piena di Spirito Santo. Una forma insana di ecclesiocentrismo fa sì che l’istituzione ecclesiastica viva quasi ossessionata dal suo potere e dal suo prestigio”. Mi sembra allora che, alla fine di una riflessione sul superamento della tentazione del potere, resti soltanto la testimonianza realizzata nel modo più povero e disarmato possibile».