Dov’è il Corpus Domini?

Peter Ciaccio
www.vociprotestanti.it

Domenica 2 giugno papa Francesco — che finora ha dimostrato di padroneggiare con destrezza i principi della comunicazione — riesce ad organizzare e a pubblicizzare la celebrazione di una messa cattolica contemporanea in tutto il mondo. Nello stesso tempo, senza curarsi troppo dei fusi orari, le chiese cattoliche hanno celebrato il Corpus Domini: in Italia erano le 17, a Samoa e Honolulu le 5 del mattino di lunedì. Per la prima volta un evento gestito dalla chiesa locale veniva sincronizzato sul meridiano di Roma: le messe di Natale, infatti, seguono normalmente il fuso locale e a nessuno è mai venuto in mente — né mai verrà — di proporre la veglia di mezzanotte di Pasqua a mezzogiorno nelle isole Hawaii.

Al di là dell’evento mediatico, qual è la sostanza del Corpus Domini e perché è un proprium della chiesa cattolica romana? Si tratta di una celebrazione relativamente recente, successiva allo scisma che portò alla divisione del cristianesimo nei due blocchi occidentale e orientale. Jacques Pantaléon (1195-1264) — dal 1261 papa Urbano IV — quando era arcidiacono della diocesi di Liegi (nell’attuale Belgio), istituì questa celebrazione per contrastare le tesi di Berengario di Tours (998-1088) sull’Eucaristia. Secondo Berengario non avviene realmente nessuna trasformazione; dunque il pane e il vino sono simboli del corpo e sangue di Cristo.

Il Corpus Domini nasce per affermare invece la transustanziazione, ovvero la trasformazione della sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e sangue di Cristo, mentre gli “accidenti” — vale a dire gli aspetti sensibili, la forma, il sapore, l’odore — restano quelli degli elementi originari. La disputa era intra-aristotelica: Berengario sosteneva che il cambio di sostanza portava automaticamente ad un cambio di accidenti, cosa che evidentemente non accade. L’ostia, infatti, sa di ostia. Il Concilio Laterano IV — lo stesso che condanna definitivamene il movimento valdese come eresia — nel 1215 proclama la transustanziazione come dogma.

Quando nel ‘500 arriva la Riforma protestante, il senso dell’Eucaristia viene rimesso in discussione. L’impianto aristotelico di forma e sostanza salta quasi del tutto. Lutero conia il termine “consustanziazione”: il corpo e il sangue di Cristo sono presenti nel pane e nel vino insieme alla sostanza degli elementi stessi. Invece, il riformatore zurighese Zwingli enuncia una tesi molto vicina a quella di Berengario: l’Eucaristia — o Cena del Signore — è un memoriale. L’accento non è sulle prime parole di Gesù «Questo è il mio corpo», ma sulle successive «Fate questo in memoria di me».

Il pane e il vino sono un segno — termine più preciso di “simbolo” — del corpo e sangue di Cristo che sono stati rispettivamente spezzato e versato per la salvezza dell’umanità; un segno nel senso di “segnale”, ovvero di qualcosa o qualcuno che indica qualcos’altro. Una freccia con su scritto “Roma” non è Roma, ma ci indica Roma. Il pane e il vino indicano, ci rimandano al corpo e al sangue di Cristo. La visione zwingliana è quella che ha avuto maggior successo nel resto del protestantesimo, perfino nella Low Church della chiesa anglicana.

Non si tratta solo di rifiuto dell’aristotelismo, rimesso in discussione dalle nuove teorie scientifiche o di una diversa interpretazione dei racconti evangelici dell’Ultima Cena di Gesù, ma di aderenza al Credo Apostolico — simbolo comune di tutti i cristiani, evangelici, cattolici e ortodossi — che al secondo articolo recita così:

[Credo] in Gesù Cristo, Suo unico Figlio, nostro Signore,
il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine,
patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto;
discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte;
salì al cielo, siede alla destra di Dio, Padre onnipotente:
di là verrà a giudicare i vivi e i morti.

Se dunque credo che dopo la resurrezione, Gesù ascese al cielo e che “siede” — indicativo presente: siede ora — accanto a Dio Padre, come faccio a credere che si trovi invece negli elementi del sacramento della Cena? Per la maggior parte dei protestanti il corpo di Gesù è in un luogo altro da noi, nel luogo a noi promesso nel giorno della resurrezione — appunto — dei corpi. Se il corpo di Gesù è lì, il suo Spirito, lo Spirito Santo è qui: il Consolatore promesso fa sentire la presenza di Cristo nella nostra vita. Non è un caso che la celebrazione cattolica del Corpus Domini sia immediatamente dopo l’Ascensione e la Pentecoste, quasi a rimettere le cose in chiaro: se Gesù è asceso, però è anche nell’ostia consacrata. L’Ascensione non faccia venire strane idee para-zwingliane ai fedeli!

Due considerazioni alla fine di questo excursus sul corpo del Signore. La prima è che ho sempre trovato la dottrina della transustanziazione geniale, non solo, ma anche relativamente laica. Per comprendere le oscure parole di Gesù durante l’Ultima Cena — parole che gli stessi apostoli non capirono e che forse i cristiani capiranno pienamente solo quando si ritroveranno faccia a faccia con Cristo — la chiesa occidentale ha cercato di applicare la massima teoria scientifica del tempo. Chi meglio del grande Aristotele può spiegarci che cosa voleva dire Gesù? Se tutte le cose sono fatte di sostanza e accidenti, allora lo sono anche il pane e il vino e — non mutando aspetto né sapore — deve essere la sostanza quella a cui Gesù si riferisce quando dice «Questo è il mio corpo».

Aristotele non era cristiano, ma era universalmente considerato il maestro delle cose del mondo anche dai cristiani. Succede lo stesso per noi oggi: non ci interessa che il nostro medico sia cristiano, ma che conosca la sua scienza. Accettare che l’ambito extra-cristiano possa insegnare qualcosa anche a noi cristiani è un principio di laicità che purtroppo molte chiese hanno perso. Se nel 1215 la chiesa cattolica spiega l’Eucaristia con Aristotele, non si capisce perché oggi non sfrutti le conoscenze odierne, invece di restare su un enunciato che può essere solo imposto per dogma.

La seconda considerazione riguarda invece cosa mi piace della celebrazione cattolica del Corpus Domini e che mi piacerebbe ispirasse anche le chiese protestanti. In questa liturgia è previsto che l’ostensorio contenente l’ostia consacrata, ben visibile, esca dalla chiesa e vada in processione per la parrocchia o la diocesi. Il senso era che i fedeli dovevano sapere che Cristo stesso viene a trovarli, almeno una volta all’anno, nei luoghi della loro vita quotidiana. Immaginiamo il borgo medievale con le botteghe: per un giorno non sei tu che devi andare a trovare Cristo in chiesa, ma è Lui che ti viene a trovare.

È un’immagine molto suggestiva e il successo dell’invenzione dell’arcidiacono di Liegi deve molto all’emozione che è riuscita a creare più che al ragionamento teologico ad esso collegato. Oggi diremmo che si è trattato di un colpo mediatico. Ferma restando la dottrina protestante sul corpo di Cristo — che siede accanto al Padre —, a me piacerebbe che le chiese imparassero ad andare nei luoghi della vita quotidiana, in un pellegrinaggio laico che andasse a trovare gli uomini e le donne laddove soffrono e gioiscono, laddove lavorano e discutono. D’altra parte, l’apostolo Paolo dice alla chiesa di Corinto: «Voi siete il corpo di Cristo e membra di esso, ciascuno per parte sua» (I Corinzi 12,27). E se siamo il corpo di Cristo, non possiamo pretendere di aspettare che gli altri vengano a noi, ma dobbiamo essere noi a donarci al prossimo. Così come fece Gesù.