TROPPO AMORE TI UCCIDERÀ: l’avventura umana e presbiterale di don Marco Bisceglia di P.Coscione

Peppino Coscione
Comunità cristiana di base di Oregina (Genova)

Non ho mai perso di vista la figura di Marco, grazie al filo robusto che ci legava e lega ancora alla sorella Anita che ci ha tenuto, per quanto poteva e sapeva , aggiornati sul cammino di vita di Marco. Mi ha fatto però un grande piacere ritrovarlo come vivo Marco , leggendo il libro scritto da Rocco Pezzano dal titolo “Troppo amore ti ucciderà- le tre vite di don Marco Bisceglia”. Nella presentazione mi atterrò all’inquadramento che l’autore ha dato alla narrazione , cosa che ci permetterà di cogliere meglio i segni e i messaggi che sostanziano le tre vite di Marco. Il viaggio ci sarà agevole grazie alla capacità dell’autore di rendere leggeri anche i momenti più drammatici della narrazione.

troppo amoreIl primo capitolo, che presenta la prima vita, comincia con il tratteggiare la formazione scolastica, teologica, l’esperienza breve con la famiglia spirituale di Charles de Foucauld, la fatica dura del lavoro in fabbrica , la conclusione degli studi teologici coronati dall’ordinazione presbiterale nel 1963 . Nel 1964 Marco, promosso parroco della parrocchia del Sacro Cuore ( che dà il titolo al primo capitolo del libro ), avverte subito la contraddizione tra il suo modo di comprendere e vivere l’annuncio del vangelo e le pratiche della chiesa cattolica istituzionale non solo nella sua dimensione pastorale, liturgica e catechetica ma anche se non soprattutto nelle sue perverse connessioni economiche e politiche con le oligarchie locali e nazionali.

Nelle parrocchie di Lavello non soffia lo spirito del Concilio Vaticano II per una chiesa povera con i poveri e non soltanto per i poveri, non sembrano toccate dalla fine dell’identificazione tra cattolico e democristiano in una regione dove era soffocante la presenza politica dell’onorevole Emilio Colombo. Cominciano gli anni che diventano sempre più caldi con e dopo il ’68. E’ il Marco che fa del tempio e degli spazi legati al tempio la casa degli ultimi, l’agorà di incontri e di confronti stimolanti; il Marco impegnato per la conquista dei diritti civili in alleanza con il Partito radicale e in amicizia con Pannella, che lotta contro le ingiustizie sociali, contro il dominio politico di un’oligarchia latifondista ,il prete che si fa carne con le persone oppresse dalla miseria, deprivate della cultura.

Sono gli anni in cui, innestandosi nel fiume impetuoso del dissenso cattolico, Marco vede nella nascita delle comunità cristiane di base dell’Isolotto di Firenze, di Oregina di Genova, del Carmine di Conversano, di san Paolo di Roma, del Cassano di Napoli, di Pinerolo la speranza di un modo altro di essere chiesa e, sostenuto da questa speranza , esercita con passione e indignazione una critica radicale della gerarchia ecclesiastica, delle istituzioni ecclesiali che ritiene non rispondenti al messaggio evangelico; per questo la parrocchia del sacro Cuore viene definita l’Isolotto del sud.

La comunità, fatta di gente umile, semplice ma tenace e coraggiosa, lo riconosce come il “prete che continua l’opera di Cristo, che è opera di evangelizzazione, di liberazione, di annuncio del messaggio di Cristo non solo con le parole ma anche con i fatti. E’ un prete umano , sente i problemi dei suoi fratelli parrocchiani, soffre e lotta con loro”. Marco, che talora non riusciva a frenare lo sdegno e la collera, è insofferente del modo come i partiti della sinistra ed anche un sindacato di classe come la CGIL dava tiepidamente corpo alle lotte dei lavoratori e delle lavoratrici in una situazione economica e sociale drammatica.

Sono gli anni in cui anche per la vicinanza geografica egli stabilisce un rapporto intenso tra la comunità cristiana di base del Carmine di Conversano, della quale sono divenuto prete coordinatore dal settembre del ’72 proprio grazie al suo pressante invito fattomi a Napoli il 2 giugno, invito dettato dalla preoccupazione di non lasciare senza guida una comunità che viveva momenti molto difficili. Parliamo e ci confidiamo mentre mi porta con sé negli incontri che si tengono fra preti, quelli che il libro nomina come “ carica dei trentuno”; giovani preti con una carica esplosiva ma positiva, vicini alle lotte delle classi popolari, consapevoli della necessità di trovare nuovi linguaggi e nuove metodologie di annuncio del vangelo della giustizia e della libertà.

Marco sa coinvolgere, trascinare, giungere fino agli estremi; e ciò viene utilizzato strumentalmente da chi da tempo pensa e progetta di “farlo fuori”. E questo avviene finalmente il 25 ottobre 1978 “quando Lavello si sveglia assediata dai carabinieri, con la piazza chiazzata del nero delle divise” e il tempio del Sacro Cuore viene trasformato in un’assordante camera di polizia in assetto di guerra, chiudendo la prima vita di Marco, quella a vasta dimensione socio-politica ed ecclesiale.

Si apre la strada alla seconda vita che Pezzano descrive nel secondo capitolo dal titolo “Roma e l’Arcigay”. Un tempo di vita reso difficile dalla necessità di avere un minimo di risorse economiche per condurre una vita povera ma non misera; ma anche un tempo di vita liberatorio sul piano più personale, più intimo, vissuto nella relazione con compagni che ama . “ C’è, scrive l’autore , un vento che parla del corpo che si lascia andare, di desideri e tendenze represse che cominciano a uscire fuori, come un fiume che – dopo aver corso per chilometri sotto terra- finalmente esce fuori e comincia a riappropriarsi, con violenza, del proprio letto naturale in cui scorrere”.

La realizzazione di questi profondi bisogni e desideri lo porta a credere che quanto ha agito nella prima vita non sia altro che la sublimazione inconscia di questi profondi bisogni. Ma non penso che sia stato così perché anche in questa seconda vita si rivela la natura di Marco; quella di una persona aperta, generosa, capace di andare oltre la sua egoità, alla ricerca faticosa di costruire rete di relazioni fra coloro che vivono la loro omosessualità come peccato, come violenza, come offesa, come discriminazione.

Di qui il suo impegno instancabile “ a dare vita il ‘là’, a fondare la più grande associazione italiana che si batte per i diritti degli omosessuali”, di qui “l’intuizione di far nascere una sigla omosessuale federata all’Arci e diffonderla nel paese”. Come succede spesso agli apripista, anche qui a Marco tocca vivere un intreccio di difficoltà, di incomprensioni , frutto talora di giochi di potere presenti nella costruzione dell’organizzazione in fase di espansione; giochi di potere che Marco non sopporta e perciò sceglie ( o è costretto a scegliere ) un’uscita pressoché silenziosa dalla scena organizzativa dell’Arci.

Così trova luce il capitolo terzo dal titolo “ Il ritorno” , che l’autore avvia con queste parole: “Gli anni dal 1986 alla morte sono quelli più silenziosi della vita di don Marco. Più silenziosi sul palcoscenico pubblico, sulla ribalta del dibattito politico e sociale”. Un silenzio pubblico che si fa soliloquio sempre più incalzante con la sua ombra che lo pone di fronte ad una revisione della vita finora trascorsa, resa più urgente dalla scoperta della sua malattia e probabilmente dalla consapevolezza di non avere ancora tanto tempo di vita. Una revisione di vita accompagnata forse da sensi di colpa ma anche “dalla fiducia nel perdono di Dio e nella sua azione purificatrice”.

Marco non è mai “uscito” dalla chiesa cattolica intesa sia come comunità di fede che come istituzione, ha lottato a lungo per il cambiamento di strutture materiali e ideologiche non più accettabili. Per questo ora può riconoscere nella parrocchia di san Cleto di Roma un volto amicale di chiesa , comunità accogliente e inclusiva ,un Sacro Cuorealtro, accompagnato dall’affetto di padre Paolo Bosetti e di persone che fanno volontariato . Marco muore il 22 luglio 2001 dopo essere stato reintegrato nelle funzioni presbiterali dalle quali era stato sospeso, dopo l’avvenuta riconciliazione con la diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa; così il suo corpo può essere tumulato nella cappella dedicata ai preti. Chiedersi quali delle tre vite sia quella più autentica è forse soltanto un esercizio retorico perché ogni essere umano è l’incessante divenire delle sue conflittualità, che le maschere pubbliche riescono sempre a rivelare.

Chiedersi in quale di queste tre vite troviamo il vero Marco è forse del tutto inutile. Infatti, come dice bene l’autore: “ la sua eredità non è in un luogo preciso. E’ sparsa nella memoria di chi l’ha conosciuto. Forse è presente anche nello spirito di molte persone che non l’hanno conosciuto: la sua opera si è probabilmente trasformata in apertura mentale per molti che non lo sanno nemmeno” . E’ questo va a merito dell’autore che mostra di avere esplorato con grande rigore e con una particolare empatia una figura così complessa ; un ulteriore grazie perché che nel capitolo quarto Pezzano ci offre ben 85 pagine zeppe di documenti, di lettere e di testimonianze , spaccato significativo di un momenti storici pieni di vivacità politica, culturale e religiosa.

Anche nelle comunità di base ci sono state molte persone che non hanno condiviso tutte le scelte fatte da Marco ma questo non vuol dire che di Marco si sia persa la memoria, l’affetto e il rispetto, anzi la gratitudine per la sua generosa, disinteressata disponibilità . Sono certo che tante persone delle comunità cristiane di base nella lettura di questo libro potranno trovare o ritrovare un compagno di strada , che non era frequentatore di porti conosciuti ma esploratore di nuove terre.

Per questo non posso nascondere una certo rammarico nel non trovare nell’apparato fotografico posto in chiusura del libro nemmeno una foto che mettesse in luce il radicamento di Marco nella storia del movimento delle cdb e le intense relazioni vissute con protagonisti di quella storia.

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ROCCO PEZZANO, Troppo amore ti ucciderà. Le tre vite di don Marco Bisceglia, Edigrafema, Policoro (Mt) 2013, pag. 320, € 16,00 (www.edigrafema.it, e-mail: commerciale@edigrafema.it)