“Barghouti come Mandela, un pericolo per i carcerieri”

Giovanni Vigna
Nena News

“Nelson Mandela e Marwan Barghouti sono uomini di pace e di unità. Entrambi hanno una grande forza morale e sono particolarmente amati dai loro popoli. Mandela ha combattuto, anche all’interno dell’African National Congress, per l’unità tra i bianchi e i neri. Barghouti, a sua volta, ha lottato per tenere insieme le varie anime dei palestinesi, le formazioni politiche di Hamas e Al Fatah, le componenti religiose, laiche e multiculturali della società”.

Luisa Morgantini, già vice presidente del Parlamento Europeo e componente dell’associazione ‘AssoPacePalestina’, ha lanciato, insieme ad altri illustri personaggi, una campagna per la liberazione di Barghouti, uno degli esponenti più famosi e carismatici del mondo politico palestinese. La notizia è stata annunciata lo scorso 27 ottobre, a Robben Island, in Sud Africa, dalla cella occupata in passato da Mandela dove si è recata anche Fadwa, moglie di Barghouti.

Parallelamente è nato un comitato internazionale di alto profilo al quale hanno aderito, tra gli altri, il Premio Nobel Desmond Tutu e Ahmed Kathrada, rinchiuso per 26 anni in carcere e compagno di cella di Mandela. “Chiediamo la liberazione di Barghouti e degli altri prigionieri palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane – afferma la Morgantini – Marwan è stato definito ‘il Mandela palestinese’ perché, pur essendo ancora in prigione, continua a sostenere che l’unica strada per la liberazione del suo popolo dall’occupazione e dallo stato di apartheid è quella della pace e del rispetto della legalità internazionale. Quando è scoppiata la seconda Intifada, Barghouti si è schierato con la resistenza a fianco degli ‘shabab'”.

In sostanza, il più importante prigioniero politico palestinese, ricorda la Morgantini, ha appoggiato le azioni della resistenza armata dirette contro i soldati israeliani ma non gli attentati dei kamikaze e, in tutti i casi, non ha mai partecipato ad azioni militari in prima persona. “Del resto – osserva la ex vice presidente del Parlamento Europeo – anche l’African National Congress aveva un braccio armato e, per questo, i suoi membri erano definiti ‘terroristi’ dagli oppositori politici. Personalmente sono per la resistenza popolare nonviolenta praticata dai Comitati Popolari contro il Muro e l’occupazione, ma non dobbiamo dimenticare che secondo la Convenzione di Ginevra un popolo sottoposto ad occupazione militare ha il diritto di resistere militarmente per arrivare all’indipendenza”.

La liberazione di Barghouti e degli altri detenuti palestinesi è diventata una questione politica internazionale. Di recente la stessa Morgantini, in un articolo pubblicato sul Manifesto, ha annunciato: “In Francia 40 Comuni hanno già dato la cittadinanza onoraria a Marwan, adesso bisogna estenderla in ogni Paese a partire dall’Italia”.

Israele ha sempre usato i prigionieri come ostaggi: “Negli accordi di Oslo, la leadership palestinese non è stata capace di far diventare prioritaria la questione dei prigionieri e di prendere esempio da Mandela il quale sosteneva che ‘solo gli uomini liberi possono negoziare’. Lui ha negoziato da uomo libero”, ricorda la Morgantini. Quando gli è stato riferito che avrebbe avuto inizio la campagna per la sua liberazione, Barghouti ha preteso che l’iniziativa fosse rivolta a tutti i prigionieri politici.

Il 5 dicembre la Morgantini, Nurit Peled El Hanan, Leila Shahid, Gianni Tognoni e altri saranno a Roma per presentare i risultati del tribunale Russell sulla Palestina e promuovere la campagna lanciata a Robben Island: “Stiamo raccogliendo le firme al fine di formare un comitato che sostenga la campagna di liberazione di Barghouti”.

Più in generale, il governo israeliano si oppone alla liberazione di Barghouti perché vuole impedire che persone tanto stimate dai palestinesi come Marwan possano essere libere di intraprendere azioni politiche: “In pratica Barghouti è un pericolo per il governo di Netanyahu – sottolinea la Morgantini – Israele non vuole trovare una soluzione al conflitto ma, al contrario, intende proseguire la colonizzazione dei territori palestinesi sperando che non esplodano altri movimenti di rivolta. Lo Stato israeliano, insomma, vuole rimanere impunito”.

Qualche anno fa, quando era in carica un governo laburista, Israele aveva ventilato la possibilità di liberare Barghouti nell’ambito di precisi accordi politici: “Oggi, con il governo attuale, è estremamente difficile che ciò avvenga anche perché tra i ministri israeliani sono presenti conservatori religiosi e coloni. Questi ultimi costituiscono il 40% dei militari”.

L’unica soluzione sembrerebbe essere quella di un’azione internazionale volta a fare pressione sul governo israeliano: “Due settimane fa Netanyahu ha annunciato che proseguirà la costruzione del muro sul confine con la Giordania, nella Valle del Giordano. Così occuperanno nuove terre appartenenti ai palestinesi”, denuncia la Morgantini alla quale chiediamo su cosa poggia la speranza di liberare Barghouti e gli altri palestinesi: “Nessuna delle persone che erano a Robben Island lo scorso 27 ottobre avrebbe mai potuto immaginare che Mandela sarebbe stato liberato. Vedere la sua cella vuota, diventata adesso un museo, è un segno di speranza. Per liberare Marwan è necessario esercitare una forte pressione sui nostri governi affinché mettano in atto politiche sanzionatorie e di boicottaggio nei confronti di Israele, oltre che di applicazione degli accordi firmati in precedenza”.

Barghouti ha trascorso, complessivamente, più di diciotto anni in carcere, non ha visto crescere i suoi figli. “Marwan – spiega Morgantini – è stato sequestrato a Ramallah il 15 aprile del 2002 dall’esercito israeliano, subito dopo l’operazione di aggressione militare ‘Scudo difensivo’, lanciata in tutti i territori occupati, che ha causato la distruzione delle città e di tutte le infrastrutture, dei ministeri, delle scuole e delle strade, l’istituzione di centinaia e centinaia di checkpoint, misure di coprifuoco, assassinii extraterritoriali e demolizioni di case. Barghouti, che è stato condannato per azioni di resistenza militare a cinque ergastoli e 40 anni di prigione, non ha riconosciuto la legittimità della Corte che lo giudicava, analogamente a quanto aveva fatto Mandela per il suo popolo, e ha rivendicato il diritto dei palestinesi alla libertà, alla pace e alla democrazia’. È ormai passata alla storia la fotografia che lo ritrae con i polsi ammanettati e sollevati sopra la testa.

Concludendo il messaggio scritto dalla cella numero 28 della prigione di Hadarim ai promotori della campagna di liberazione, Barghouti ha pronunciato queste parole che non possono lasciare indifferenti: “Permettetemi infine di dire qualcosa a tutti voi: quando vi verrà chiesto da che parte state, scegliete sempre la parte della libertà e della dignità contro l’oppressione, dei diritti umani contro la negazione dei diritti, della pace e della convivenza contro l’occupazione e l’apartheid. Solo così si può servire la causa della pace e agire per il progresso dell’umanità