Libia, governo prova a fare la voce grossa

Michele Giorgio
Nena News

Il governo libico e le autorità locali provano a fare la voce grossa. Alla milizia di Misurata, responsabile degli scontri a Tripoli in cui venerdì sono rimaste uccise 43 persone (e 460 ferite), è stato intimato di lasciare la capitale entro 72 ore. Ma nessuno si fa illusioni, la partita resta aperta. E che a Tripoli la situazione sia tornata sotto controllo è vero solo nei comunicati ufficiali. Lo sanno bene gli abitanti della città che ieri hanno continuato lo sciopero generale in solidarietà con le famiglie delle vittime del “venerdì nero”. In interi quartieri e nel centro storico c’è stata una serrata di negozi, uffici, banche, scuole e dell’università.

Regna l’anarchia. Ne sa qualcosa proprio il vicepresidente dei servizi di intelligence Mustafa Noah, prelevato domenica da uomini armati nel parcheggio dell’aeroporto di Tripoli, caricato a forza su un’automobile e portato via. Noah poi è stato liberato dai suoi sequestratori. Un sequestro-lampo, che ricorda quello recente del premier Ali Zeidan, avvenuto con un’azione veloce e indisturbata, a conferma del caos in cui è sprofondata la Libia, preda di milizie armate rivali di ex ribelli ma anche di jihadisti islamici armati, che rifiutano di deporre le armi due anni dopo la guerra civile terminata con l’esecuzione a sangue freddo dell’ex leader, il colonnello Muammar Gheddafi.

E la violenza non riguarda solo Tripoli ma anche la seconda città del Paese, Bengasi, che potrebbe diventare la «capitale» dei tanti che invocano l’«indipendenza» della Cirenaica. Ieri mattina il governatore militare di Bengasi, il colonnello Abdullah Al Saity, è sfuggito a un tentato omicidio. Un’autobomba è esplosa al passaggio del suo convoglio. Domenica sera invece era stato assassinato Yusuf Al Atrash, il responsabile dell’ufficio dei servizi segreti della città di Ajilat.

Non sono immuni dalle violenze i giornalisti. Reporters senza frontiere e l’Unione Generale dei giornalisti arabi denunciano l’uccisione di Salah Hafiana mentre copriva gli scontri di venerdì per l’agenzia di stampa Fassato. Altri due giornalisti, Issam Az Zbir, di un’agenzia di stampa spagnola, e Abdel Manim Al Maryami sono stati feriti nel quartiere di Ghargur. Sempre venerdì un gruppo armato ha fatto irruzione nei locali della tv Tobactus, devastandoli. Lo scorso agosto Ezzedine Qusad, giovane presentatore della tv Libya Hurra, fu freddato da uomini armati all’uscita della moschea a Bengasi.

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Libia, via le milizie da Tripoli

redazione
Nena News

Gli abitanti di Tripoli non ci stanno più. E annunciano tre giorni di disobbedienza civile: scuole, ristoranti, negozi e università resteranno chiusi per protestare contro le violenze quasi quotidiane, causate dalle milizie armate, che nel week end hanno raggiunto cifre allarmanti: 43 morti e più di 450 feriti. L’annuncio dello sciopero generale è stato dato ieri, seguito da un comunicato diffuso ieri notte dal Consiglio locale di Misurata che esorta le milizie originarie dalla città costiera a lasciare la capitale libica entro tre giorni.

Nel comunicato, la leadership della città portuale a duecento chilometri a est di Tripoli, composta dagli amministratori ma anche dai comandanti degli ex-combattenti, ha chiesto a tutti “gli ex-ribelli della città di Misurata che sono a Tripoli, di qualsiasi gruppo, di lasciare la città in meno di 72 ore”. L’esercito questa mattina ha dispiegato centinaia di uomini e alcuni veicoli blindati in tutta la città.

La sollevazione generale contro le milizie, formazioni di ex-ribelli armate fino ai denti che spadroneggiano nelle città libiche forti della debolezza dello Stato, è esplosa a seguito degli scontri che hanno infiammato Tripoli nel fine settimana. Le violenze sono iniziate venerdì scorso nel quartiere di Ghargur, quando un gruppo di un centinaio di persone si è radunato davanti al quartier generale della milizia. Un corteo pacifico, secondo i testimoni, contro cui però alcuni guerriglieri hanno aperto il fuoco dai tetti delle ville vicine. I manifestanti sono fuggiti, ma alcuni di loro sarebbero tornati sul posto armati. Poi è cominciato lo scontro con le milizie rivali. Nei combattimenti, proseguiti anche sabato, hanno perso la vita circa 43 persone.

Il malcontento nei confronti della Brigata di Misurata, inizialmente acclamata dalle folle tripoline per la sua strenua resistenza all’assedio operato dall’esercito di Muammar Gheddafi, è cresciuta rapidamente negli ultimi tempi. I miliziani, che rifiutano l’invito del governo di consegnare le armi e integrarsi nell’esercito nazionale, continuano a scontrarsi con i rivali nelle strade per il controllo del territorio e a seminare il panico tra i politici. Dopo il rapimento lampo, lo scorso mese del premier Ali Zeidan, ieri alcuni uomini armati hanno rapito il numero due dell’intelligence libica Mustafah Nuh per poi liberarlo questa mattina. Nelle stesse ore, invece, il governatore militare di Benghazi Abdallah al-Saati è scampato a un attentato nel sobborgo di al-Hadeq, costato la vita a un uomo della sua scorta.

E mentre la Libia lotta per strappare le armi dalle mani dei suoi miliziani, gli Stati Uniti stanno valutando la possibilità di lanciare una missione di addestramento delle forze di sicurezza libiche: lo ha annunciato l’ammiraglio William McRaven, a capo dello United States Special Operations Command nel corso di una conferenza. L’obiettivo è quello di formare un gruppo di 5-7 mila soldati regolari e un’unità più piccola di forze specializzate nella lotta al terrorismo. Come ha confermato McRaven, la Nato avrebbe già inviato alcuni dei suoi esperti in Libia, per capire come e dove addestrare i militari locali. Un problema in più per il governo Zeidan, ma uno in meno per Washington: il nuovo approccio nella lotta al terrorismo internazionale, secondo McRaven, si potrebbe così limitare al coinvolgimento delle forze locali “molto più che sulla presenza di truppe americane sul terreno”.