Scuola e crisi della politica di M.Vigli

Marcello Vigli
www.italialaica.it

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Quel pasticciaccio brutto di viale Trastevere è il titolo dell’articolo in cui la rivista scolastica Tuttoscuola commenta il ritiro del provvedimento del governo che imponeva la restituzione (in comode rate mensili” di 150 euro!!) delle somme già percepite dai docenti di ruolo, quali scatti di anzianità per l’anno 2013 non dovuti.

La reazione dei sindacati della scuola, della maggior parte dell’opinione pubblica – fatta eccezione dei “ex-bocciati” convinti che gli insegnanti sono troppo pagati per il poco lavoro che svolgono – e delle forze politiche ed infine l’intervento di Renzi hanno costretto il ministro Saccomanni a cedere alla protesta del ministro Carrozza. Non s’intende in questa sede rilevare le sperequazioni che questa “vittoria” mantiene fra docenti di ruolo e precari, né tantomeno addentrarsi sulla necessità di affrontare il problema della remunerazione del lavoro degli insegnanti in una prospettiva complessiva. In essa è strettamente connesso con quello della loro formazione, del loro impiego all’interno del rinnovamento della cultura scolastica, dei metodi d’insegnamento e delle strutture nelle quali operano, s’intende solo rilevare che l’episodio è gravemente sintomatico.

Non è solo un segno della confusione che prevale nell’azione dell’esecutivo – negli stessi giorni è incappato nell’incidente istituzionale sul decreto Salva Roma e ancora si attorciglia nelle incertezze sulla tassazione sugli immobili – ma testimonia anche che non si è invertita, come pure si era enfaticamente proclamato, la tendenza innescata con i governi Berlusconi di deprimere la scuola statale sottraendole risorse. Il progetto di Luigi Berlinguer di coinvolgere, con la concessione della parità alle scuole private, il cosiddetto mondo cattolico nel rilancio di quella statale si è definitivamente rivelato fallimentare. In perfetta continuità, da Moratti a Gelmini passando per Fioroni per finire a Profumo, il nuovo ordinamento paritario ha consentito di destinare risorse alle scuole ex-private mentre si sottraevano alle statali, direttamente, con tagli al bilancio della Pubblica Istruzione o, indirettamente, attraverso il ridimensionamento del numero dei docenti e delle scuole ispirato ad una logica aziendalistica.

A dire il vero questa logica si era imposta già ai tempi del nuovismo craxiano, per affermarsi nei successivi governi di centro sinistra alla ricerca dell’efficienza e della “offerta formativa”, autonomamente formulata nelle singole scuole, destinate a produrre “competenze” per il mercato del lavoro prima che formazione degli studenti all’inserimento consapevole nella vita sociale e politica.

Così, quando il mercato del lavoro è entrato in crisi, la scuola ha perso valore ed è parso ovvio considerarla un settore assistenziale e non un investimento produttivo. Poteva ben essere ridimensionata come parcheggio, che tenesse ragazzi e giovani lontani proprio da quel mercato o si limitasse a fornire poche eccellenze e molta mano d’opera non qualificata, ben diversa dalla scuola come sede primaria per la formazione alla cittadinanza prevista nella Costituzione e fondata su una etica laica che ha fra i suoi principi inderogabili un semplice “comandamento”: il tuo interesse privato non confligga con l’interesse generale.

Si può intenderlo, se si vuole, come traduzione dell’evangelico ama il prossimo tuo come e stesso, o del detto popolare non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te, ma costituisce la regola prima della convivenza democratica. Democrazia è infatti il regime che fissa i limiti entro i quali gli interessi dei singoli possono/devono confliggere fra loro nel quadro del sistema legislativo. Non sono, però, sufficienti le leggi a rendere pacifica la convivenza civile è necessaria la coscienza civica.

Questa i giovani possono/devono formarsela a scuola, non certo nella scuola azienda tantomeno nelle scuole private, pur se paritarie. In queste si apprende che ci sono un’etica superiore alle altre ed un’autorità alternativa, che può derogare dalle leggi perché deriva da Dio e non dal popolo in nome del quale esse sono promulgate. In essa, strutturalmente, non si educa all’uguaglianza ma si legittimano differenze e privilegi. Una scuola statale declassata ed una scuola paritaria concorrenziale sul piano dell’efficienza e dell’offerta di “optional” – le quattro pagine pubblicitarie su la Repubblica di venerdì 10 gennaio, interamente dedicate a pubblicizzare le prestazioni dei più prestigiosi istituti paritari della capitale, ne sono un esempio – hanno privato intere generazioni di quella formazione che li fa cittadini e non sudditi con dovere di voto per questo o quel gruppo della oligarchia al potere dall’avvento della seconda Repubblica.

I generosi tentativi di rovesciarla dal basso non trovano consonanza nella società civile colpita dalla crisi, ma ancor più resa succuba da una diffusa cultura che non coniuga la legittima esaltazione dell’individuo con il valore della solidarietà. E’ difficile individuare quanto questa sia determinante nella larga prevalenza della corruzione nella società a tutti i livelli, ma è certo che la sua presenza all’interno di tutti i ceti e di tutti settori pubblici e privati significa che nasce da un comune sentire non riducibile alla tradizionale “mancanza di senso dello stato”.

Attinge alla generale assenza di solidarietà sociale. Chi non si arrende e pensa, che a fianco dell’azione politica per rinnovare la legalità costituzionale nella gestione dei pubblici poteri sia necessario un profondo rinnovamento culturale, deve porre fra gli strumenti per realizzarlo un deciso impegno per il rilancio della funzione politica della scuola come sede primaria della formazione alla cittadinanza e alla solidarietà.

E’ questa funzione che la rende non obsoleta nell’era del “fai da te” con i sempre più sofisticati strumenti informatici e la esige pubblica/statale. Solo in essa, necessariamente ispirata alla cultura della laicità, tutte le culture e tutte le fedi possono trovare spazio di dialogo e di confronto, e i giovani di tutte le condizioni sociali possono imparare a convivere nel reciproco rispetto fondato su una comune cittadinanza.

Per scoprirlo non è necessario il sondaggio online sulla scuola, lanciato dal ministro Carrozza, quasi una ricerca di mercato, un test, composto da dieci domande e risposte preconfezionate proposto a tutti e non solo agli interessati e agli addetti ai lavori!!