I diritti delle donne, una battaglia ancora in corso

Gianfranca Fois
cagliari.globalist.it

Nel settembre del 1792, pochi giorni dopo la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, Olympe de Gouges presentò all’Assemblea nazionale, perché venisse approvata, la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina con la quale chiedeva quell’uguaglianza di diritti fra donne e uomini di cui non si faceva alcun cenno nella prima.

Questo è uno solo degli atti politici di Olympe che in modo autorevole e determinato partecipò alle vicende della Rivoluzione francese assumendosi la responsabilità delle sue idee sino a finire ghigliottinata. Sono passati da allora più di due secoli e la ghigliottina non è più in funzione, perciò risulta veramente sconcertante che la maggior parte delle donne che fanno politica in Italia si presenti non con proprie idee e proprie storie o saperi ma come replicanti di idee e di modi maschili e prive di storie che non siano all’ombra di qualche uomo politico.

Sto pensando, come solo ultimo esempio, alla formazione dell’ultimo governo, se Renzi avesse voluto veramente cambiare intraprendendo una nuova strada avrebbe potuto fare un governo, ad esempio, con 10 donne e 6 uomini. Perché 8 e 8? forse pensa alle donne come l’altra metà del cielo (orrore!)? Che Renzi poi volesse buttare solo fumo negli occhi lo si è capito al momento della nomina di viceministri e sottosegretari, a grandissima maggioranza uomini.

Inoltre con tante donne in Italia brave, competenti e capaci doveva proprio sceglierne otto mediocri (come i loro colleghi maschi), senza storia e senza che dalle loro labbra sia uscita una sola parola che mostri un diverso approccio verso la politica, verso i problemi da affrontare e soprattutto senza nuove idee, nuovo sguardo, nuove prospettive, nuove parole fuori dall’armamentario cotto e stracotto dei loro colleghi? Eppure le parole che si usano sono importantissime perché servono a costruire il nostro pensiero e perché disegnano e riflettono i rapporti di potere, questo è il motivo per cui le donne le considerano un luogo di confronto strategico. Penso però che non sia importante il numero delle donne che entrano nelle istituzioni, ma è importante la qualità e quindi il merito, la libertà da tutele e stereotipi maschili, l’intelligenza e le capacità. Insomma ciò che è importante è il modo in cui si arriva al potere e i riferimenti, gli orizzonti culturali e simbolici con i quali lo si vuole gestire.

Sicuramente un modello alto le nostre politiche l’hanno nelle nostre Madri costituenti (21 su 558 rappresentanti) che sono riuscite a far inserire norme che riconoscessero pari diritti delle donne e a favore della famiglia, e quindi a favore dell’intera società, grazie alla rete di relazione che sono state in grado di creare fra donne di diverso orientamento ma anche con i loro colleghi maschi. Si trattava inoltre di tempi difficilissimi per le donne italiane, non solo per le terribili conseguenze della guerra ma anche perché il paese era quasi completamente imbevuto di un’arcaica cultura patriarcale. D’altra parte anche negli altri paesi europei le donne sono riuscite a far approvare e a rendere operative leggi che riguardano non solo le donne stesse ma anche aspetti economici, tutela per minori, servizi, basta dare uno sguardo alle loro legislazioni.

L’Italia invece da decenni si riempie la bocca con le parole “famiglia” e “figli”, addirittura ci sono state anche patetiche manifestazioni, ma è il paese che meno fa nei loro confronti. E infatti c’è stata anche una reprimenda dell’ONU per l’eccessivo carico che grava sulle donne italiane costrette a barcamenarsi tra lavoro dentro e fuori casa senza quei servizi che possono alleggerirle. Non entrerò nel merito di tutto ciò che non si è fatto, e che si sarebbe dovuto fare, e alle tante cose che si possono fare, accenno solo ad alcuni aspetti per cui la situazione delle donne in Italia, già drammatica di per sé, potrebbe addirittura peggiorare.

E’ in corso in Europa un tentativo di far tornare indietro alcune conquiste delle donne, abbiamo visto le importanti limitazioni all’aborto in Spagna da parte del governo di destra di Mariano Rajoy, il respingimento, da parte del Parlamento europeo, per soli 7 voti del rapporto Estrela, dal nome della parlamentare europea portoghese che l’ha presentato, che impegnava gli Stati membri, nelle loro politiche sociali, a mettere al centro i diritti sessuali e riproduttivi, la lotta alla discriminazione di genere e di orientamento sessuale, l’autonomia di scelta delle donne. In Francia inoltre ci sono state manifestazioni contro l’aborto, l’educazione sessuale a scuola e i matrimoni gay. In Italia sono stati, con i tagli alla spesa pubblica, depotenziati i consultori, la stessa tardiva legge anti stalking del 2009 presenta numerosi punti deboli, solo in parte sanati nel 2013, e non risolve il problema della violenza sulle donne anche a causa della scarsità dei fondi destinati, e dimezzati in Sardegna dalla Giunta Cappellacci, per cui ad esempio a Cagliari esistono solo due case per donne maltrattate e di queste soltanto una accoglie anche i bambini.

Infine ricorrere all’aborto sta diventando sempre più difficile, aumenta in modo esponenziale il numero dei medici obiettori di coscienza che a breve manifesteranno a Milano contro l’aborto per l’abolizione della legge 194 e, nel frattempo, manifestano davanti a ospedali pubblici il primo sabato del mese dei mesi dispari per raccogliere le firme. In Grecia l’interruzione volontaria della gravidanza non è più a carico del servizio sanitario nazionale, in entrambi i paesi perciò si torna, per le donne meno abbienti, all’aborto clandestino. La storia ci ha insegnato che proprio nei periodi di più acuta crisi economica e sociale il potere spinge per far fare passi indietro alle conquiste delle donne ma la perdita dei diritti delle donne sono perdite e passi indietro per tutti, per l’intera società.

Nonostante la situazione sia aggravata dal timore che alle prossime elezione europee si affermino quelle forze di destra che stanno cavalcando contro l’Europa il malcontento dei cittadini disperati per la grave crisi economica e che sono portatrici di istanze razziste, omofobiche e contrarie all’autodeterminazione della donna, spero che anche in Italia si possa affermare un modo veramente diverso di fare politica e una nuova cultura di responsabilità collettiva di uomini e donne. Vorrei terminare citando, con amaro ottimismo, la vicenda di una giovane sarda, 34 anni, che ci racconta Michela Murgia.

Il suo nome è Alice Pilia, è una degli otto super esperti, unica di nazionalità italiana, che pianificano la semplificazione delle politiche del Parlamento inglese. E’ un’esperta di politiche non coercitive, di un’amministrazione pubblica che apra le porte alla partecipazione dei cittadini e alla condivisione delle scelte. In Italia il massimo cui avrebbe potuto aspirare sarebbe stato il lavoro in un call center.