Scuola di stato confessionalizzata di M.Vigli

Marcello Vigli
www.italialaica.it | 13.05.2014

Lo Stato democratico non deve pretendere il monopolio dell’educazione. Deve riconoscere la libertà e il diritto nativo dei genitori di educare i figli secondo le proprie visioni, dentro un quadro generale garantito dallo Stato. Non a caso non si parla più di scuole private ma di scuole paritarie. In queste parole, pronunciate sabato 10 maggio dal cardinale Bagnasco nel dare il via all’incontro con Papa Francesco – promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana nell’ambito del progetto “La Chiesa per la Scuola” – che ha portato in piazza San Pietro oltre trecentomila studenti, insegnanti e genitori, si deve ricercare il vero obiettivo della manifestazione dissimulato nel titolo fortemente evocativo: We care .

La maggioranza dei manifestanti, il doppio di quelli previsti alla vigilia, venivano dalle Scuole cattoliche, ma ne sono arrivati molti anche dalle statali su sollecitazione del Miur. Mentre appare ovvia la mobilitazione delle prime, non lo è la partecipazione delle Scuole statali: non di singoli studenti o insegnanti intervenuti a titolo personale perché cattolici, ma di dirigenti che hanno legittimato le loro dichiarazioni e testimonianze rendendo noto il loro ruolo.

Simbolicamente questa anomalia è evidente nella presenza della ministra della Pubblica Istruzione Stefania Giannini.

Senza indulgere nella individuazione delle ragioni personali – da ricercare secondo alcuni nella sua carica di segretario politico di Scelta Civica e nella candidatura alle Europee nella lista “Scelta Europea – si deve evidenziare il significato politico dell’operazione. La ministra ha parlato dopo il cardinale Bagnasco evidenziando la subalternità del Miur all’iniziativa della Cei e soprattutto confermando la visione dei rapporti fra scuola cattolica e scuola di stato fondata sul riconoscimento della piena parità fra le due nell’esercitare la funzione pubblica della formazione delle nuove generazioni, funzionale a garantire il diritto delle famiglie ad educare i figli secondo i propri valori. È cancellata così la radicale e ineliminabile diversità fra scuola privata e scuola di stato, la cui cultura è fondata, invece, sui valori “comuni”, fissati nel preambolo della Carta Costituzionale, e sui diritti in essa riconosciuti come irrinunciabili.

Solo eccezionalmente la Costituzione riconosce il diritto ad istituire scuole proprie a quegli enti e a quei cittadini che ritengono i loro valori particolari sostitutivi e non aggiuntivi a quelli comuni.

C’è chi intende rendere normale tale eccezionalità negando specificità e primato della Scuola della Repubblica!

“Vanno superate vecchie incrostazioni ideologiche. Si tratta di scegliere con decisione il modello europeo, cioè la libertà di scelta educativa per le famiglie e gli studenti. Serve un modello integrato, dove un bene pubblico, come l`istruzione, può essere gestito da soggetti diversi.

Lo ha dichiarato la ministra Giannini rendendosi responsabile di un così palese disconoscimento della legalità costituzionale.

Non si tratta infatti solo di una banale inosservanza, come quando, appena nominata, ha perpetuato la legittimazione del finanziamento pubblico alle scuole private secondo l’interpretazione estensiva ormai in voga, della legge che le ha costituite “paritarie” a certe condizioni. L’intero assetto istituzionale viene sconvolto con la proclamazione così sfacciata della pari dignità ed importanza delle due gambe del sistema scolastico nazionale: le scuole pubbliche e quelle private-paritarie, nella stragrande maggioranza confessionali.

Ci sono le premesse per confessionalizzare la Scuola della Repubblica, che la Costituzione vuole laica e democratica.

In questa prospettiva diventano secondarie, pur se non irrilevanti, le conseguenze pratiche di questa assimilazione che si concretizzeranno in ulteriori trasferimenti economici a favore delle paritarie a dispetto del “senza oneri per lo Stato” previsto dalla Costituzione.

In verità, come molti hanno sottolineato, questo aspetto non è stato rilanciato durante la manifestazione nelle dichiarazioni ufficiali, anzi è stato quasi sottaciuto, se non del tutto ignorato. Si è preferito esaltare la funzione educativa della scuola e riaffermare la necessità che essa sia esercitata secondo le esigenze dei tempi che stanno vivendo le nuove generazioni. Analisi e proposte, in gran parte condivisili, si sono susseguite integrate con sapiente regia nel carattere festoso della manifestazione, durante la quale si sono alternati canti, racconti di esperienze personali e ricordi di scuola, letture di brani di autori tra cui Don Milani e Daniel Pennac; tra i partecipanti, Giulio Scarpati, Fiorella Mannoia, Jury Chechi, Veronica Pivetti.

Lo ha confermato il Papa “Si vede che questa manifestazione non è ‘contro’, è ‘per’. Non è un lamento, è una festa, una festa per la scuola. Sappiamo bene che ci sono problemi e cose che non vanno, lo sappiamo, ma voi siete qui, noi siamo qui perché amiamo la scuola”.

Evidente l’intento di dare un segno di cambiamento, all’insegna del messaggio della scuola di Barbiana e del suo fondatore, fino a ieri delegittimato.

La presenza e l’insegnamento di don Milani sono infatti sembrati essere il filo conduttore utilizzato per tessere la tela del messaggio della manifestazione. A lui ha fatto riferimento esplicito lo stesso papa nel suo intervento centrato sull’impegno dei cattolici per la scuola, con un radicale rovesciamento dell’ostracismo tradizionale: Don Milani è stato un grande educatore.

Con lui il rapporto dei cattolici con la scuola sembra cambiare radicalmente dalla scuola per la Chiesa alla Chiesa per la scuola.

I verità questo passaggio, evocato nel sessantotto dai cattolici del “dissenso” e sistematicamente ignorato e contestato dai clericali, ha ben altro significato. Non è finalizzato alla conquista confessionale della scuola di Stato. Prevede lo smantellamento definitivo della “scuola cattolica” – ormai sempre più promossa da gruppi integralisti per il dissolversi delle congregazioni storicamente nate per “fare” scuola quando lo stato non se ne occupava – e propone che i cattolici si impegnino nelle scuole statali non come portatori di valori particolari, fondati sulla loro concezione ideologico/religiosa, ma come cittadini fedeli alla Costituzione testimoni di una fede vissuta laicamente e avversi ad ogni proselitismo.