Wojtyla: anche i santi sbagliano

Renato Pierri

Con tutto il rispetto per i devoti di papa Giovanni Paolo II, qualche osservazione a margine del suo pontificato, dopo l’onore degli altari

Un grandissimo papa, Giovanni Paolo II, per credenti e non credenti, e per i fedeli e la Chiesa anche un grandissimo santo. Possibile dirne male? Al massimo posso permettermi di accennare perché avrebbe potuto essere ancora più grande e ancora più santo se, oltre a cambiare la storia del mondo, avesse tentato di trasformare la Chiesa; se l’avesse resa, ad esempio, meno ricca e meno potente (il Signore inveiva contro i ricchi e i potenti); se non avesse messo aborto ed eutanasia sullo stesso piano dell’omicidio (Evangelium vitae), e soprattutto del delitto commesso da Caino, trascurando il particolare che all’origine del fratricidio biblico c’erano la gelosia, l’ira, l’odio, sentimenti che non possono essere, ovviamente, all’origine dell’aborto e dell’eutanasia. Più grande e più santo se non avesse invocato punizioni per chi pratica l’aborto; se non avesse negato, con formula non suscettibile di revisione, il sacerdozio alle donne; se avesse detto ai sacerdoti che rifiutare l’Eucaristia ai divorziati risposati significa mettersi in una posizione diversa da Gesù, che offrì a tutti il pane spezzato; se avesse riconosciuto che non è possibile, in base al Vangelo e alla ragione, ritenere peccato grave gli atti di omosessualità; se avesse riconosciuto la liceità del ricorso ai contraccettivi artificiali; se ai diritti dell’embrione avesse anteposto i diritti delle donne; se non avesse creduto in una strana Madonna, Nostra Signora di Fatima, che avrebbe sacrificato creature innocenti, e si sarebbe preoccupata delle vittime del comunismo, e non di quelle del nazismo.

— — —

Su D di Repubblica n. 889, Umberto Galimberti risponde al mio articolo pubblicato in anticipo da Affaritaliani il 23 aprile, col titolo “Giovanni Paolo II, possibile dirne male?”, e poi da Espresso.it col titolo “Wojtyla, santo ma non troppo”. Galimberti intitola, invece: “Wojtila: anche i santi sbagliano”. Che cosa posso aggiungere alla risposta di Galimberti, se non che, non riesco a considerare santa una persona che tante volte e tanto gravemente si è allontanata da Cristo? (Renato Pierri)

Le sue perplessità circa la santificazione di Giovanni Paolo II erano, per motivi diversi, condivise anche dal cardinal Martini che, richiesto di un parere nel processo di canonizzazione del Pontefice, dichiarò: «Non vorrei sottolineare più di tanto la necessità della sua canonizzazione, poiché mi pare che basti la testimonianza storica della sua dedizione seria alla Chiesa e al servizio delle anime». Pur riconoscendo che «Giovanni Paolo II fu un servitore zelante e fedele della Chiesa», il card. Martini aggiunse: «Non saprei dire se abbia perseverato nel suo compito anche più del dovuto, tenuto conto della sua salute. Personalmente riterrei che aveva motivi per ritirarsi un po’ prima».

Infine l’Arcivescovo di Milano definì «infelice» la scelta da parte di Giovanni Paolo II di alcuni suoi collaboratori, oltre a rimproverargli di aver «trascurato di fatto le Chiese locali, dando eccessivo appoggio ai movimenti». Da parte mia posso solo aggiungere che nonostante l’esposizione mediatica e i frequenti bagni di folla, Giovanni Paolo II fu un papa medioevale che non capi quasi nulla della modernità. Subordinando, come voleva Tommaso d’Aquino, la ragione alla fede, dimostrò una sfiducia radicale nell’uomo, che non sarebbe in grado di governare se stesso se non attraverso la tutela della fede. Una fede assunta come “verità assoluta”, rendendo di fatto impossibile un dialogo con le altre fedi.

Con questa premessa, l’ecumenismo con le altre religioni tanto ostentato si risolveva in un rapporto di buona educazione. In ambito morale Wojtyla mantenne una rigidità dottrinale in ordine ai problemi connessi alla contraccezione (che avrebbe potuto contrastare l’epidemia da AIDS in Africa), all’aborto, alla fecondazione artificiale, al fine vita, al divorzio, mascherando questa intransigenza e intolleranza con la promozione di una religione delle emozioni, che mobilitava i cuori nella devozione di Padre Pio, della Madonna di Fatima, dei miracoli, dei segni del ciclo, alimentando in questo modo l’aspetto più scadente della fede religiosa.

Avverso alla teologia della liberazione dell’America latina che si batteva per il riscatto dei poveri, non esitò a sostenere l’Opus Dei di cui santificò il fondatore. Sul piano politico, dopo aver dedicato i primi due anni di pontificato alla causa polacca, non esitò ad apparire sul balcone col dittatore cileno Pinochet. E a beatificare il cardinale Stepinac, che pur essendone a conoscenza non disse una parola sui campi di concentramento in Croazia in cui erano rinchiusi i comunisti della Serbia. Dopo la dissoluzione della Jugoslavia non esitò a promuovere, con Khol, il riconoscimento dei due paesi cattolici Slovenia e Croazia, senza riconoscere il paese ortodosso, e forse comunista, che era la Serbia. Scelte di campo che, a mio parere, non si addicono propriamente a un Pastore universale. E tutto ciò sia detto con rispetto, ma anche senza reticenza, per tutti coloro che nutrono una sincera devozione per Giovanni Paolo II

Umberto Galimberti