Partire dai frutti per analizzare le radici. Un’indagine su Comunione e Liberazione di L.Kocci

Luca Kocci
Adista Notizie n. 19 del 24/05/2014

C’è una parabola evangelica, quella dell’albero e dei frutti, raccontata da Gesù al termine del Discorso della Montagna che in un certo senso invita a cercare le cause strutturali delle responsabilità individuali, non per azzerarle ma per comprenderle meglio. «Ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi – dice Gesù –; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere» (Mt 7,15-20).

Sembra trarre ispirazione da qui l’indagine su Comunione e Liberazione condotta da Luciano Caimi, Guido Formigoni, Franco Monaco, Filippo Pizzolato e Luigi F. Pizzolato (Il caso Cl nella Chiesa e nella società italiana. Spunti per una discussione, Trento, Il Margine, 2014, pp. 104, euro 9), esponenti autorevoli del mondo cattolico-democratico lombardo, dall’Azione Cattolica alla Fuci, passando per Città dell’Uomo. Non un’inchiesta che va a scandagliare i legami politico-affaristici del mondo ciellino, ma un viaggio dentro Cl – attraverso la storia, la teologia, l’ecclesiologia, la pedagogia e la visione sociale del movimento fondato da don Luigi Giussani – per tentare di comprenderne ed analizzarne la natura profonda e il ruolo nella società e soprattutto nella Chiesa italiana. «Di fronte alla moltiplicazione di scandali politici e giudiziari che hanno per protagonisti uomini organici a Cl o comunque formatisi alla scuola del movimento – scrivono gli autori –, ci sembra ormai che esista un “problema Comunione e Liberazione” non solo nella società, ma più specificamente nella Chiesa italiana», per cui è doveroso chiedersi «se e in che misura quelle vicende problematiche nascano da deviazioni personali e occasionali, oppure se le radici di quei casi affondino in qualche modo nell’ispirazione e nell’impianto di Cl».

L’operazione è dunque quella di mettere da parte i «frutti», di cui spesso si occupano le cronache giornalistiche e le inchieste giudiziarie, per analizzare «l’albero» e le sue radici. A partire dai fondamenti teologici di Gioventù studentesca (l’esperienza nata nell’alveo dell’Azione Cattolica ambrosiana di cui Giussani divenne assistente nel 1954, facendole gradualmente assumere forme movimentiste e sempre più autonome dalla Chiesa milanese) e di Comunione e Liberazione, nata nel 1969 proprio dalle “ceneri” di Gs. Una proposta teologica semplice e complessivamente tradizionale che però, grazie anche al carisma di Giussani, riesce ad aggregare un gran numero di adolescenti e giovani: Dio, attraverso la realtà, fa sorgere negli essere umani una domanda sul significato ultimo della vita, che si raggiunge pienamente nell’incontro con Cristo e con la Chiesa. Ma «se il cristiano può dire che in termini ontologici, oggettivi, l’uomo è essere religioso (anche a sua insaputa) – notano gli autori – ciò non toglie che dal punto di vista cognitivo egli possa anche non percepirsi come tale e che quindi necessiti di un cammino di apprendimento, dove il percorso non può essere rimpiazzato dal traguardo», mentre quello proposto da Giussani resta «un percorso confermativo più che fondativo, apparendo utile solo a chi è già dentro l’orizzonte del credere». E infatti il “metodo Cl” si riduce spesso al racconto delle proprie esperienze e rischia facilmente di scadere nel «narcisismo» e di sostituire «l’humanum commune» con un «religiosum commune». La nostra sensazione, scrivono gli autori, è «che da qui derivi una certa chiusura di Cl al dialogo», affermando per esempio «che la propria identità “precede il dialogo e lo fonda”» e creando «una identità di gruppo in opposizione». Una posizione «così preconciliare da apparire anticonciliare».

«Cristo si attua in noi»

La conseguenza è che Cl «concepisce una evangelizzazione per e sul mondo, ma non con il mondo». E questo rapporto «porta Cl ad assumere in politica posizioni che rimontano ad una nostalgia della cristianità, intesa come pervasione nelle strutture socio politiche della presenza cristiana che non cerca il dialogo mediativo, ma di far vincere le posizioni confessionali». Inoltre, aggiungono, «mentre la mediazione non è prevista a livello di confronto di idee in vista di conclusioni pratiche il più possibile condivise, è ben praticata in termini compromissori a livello di potere». «Le radici di una spregiudicatezza pratica negli adepti, a vario titolo, di Cl non affondano quindi solo nella perenne debolezza dell’uomo che “vede il meglio et al peggior s’appiglia” (Petrarca, Canzoniere, CCLXIV, 136) per cedimento alle passioni. Ma anche in questo sottofondo di tipo teologico che teorizza, per così dire, l’inessenzialità della morale rispetto al credere».

Le conseguenze si vedono anche dal punto di vista ecclesiologico. L’annuncio evangelico viene ridotto al «fatto cristiano», per cui la comunità – che non è la Chiesa tutta, ma Cl e i suoi gruppi locali – assume in sé «tutto il deposito della fede»: «Cristo si attua in noi e tra noi attraverso la nostra compagnia», scrive Giussani nella Coscienza religiosa nell’uomo moderno (Milano, Jaca Book, 1985). La Chiesa allora non è sufficiente e Cl è una sorta di «Chiesa al quadrato». Quindi si produce separatezza e autoreferenzialità rispetto alla Chiesa locale (tranne nei casi in cui il vescovo è egli stesso ciellino) – e in caso di rimproveri da parte dell’autorità diocesana «scatta la logica dell’“esenzione” e il riferimento all’autorità sovraordinata del papa» – e appartenenza al gruppo «quasi di natura fusionale».

Presenza e appartenenza

L’impianto pedagogico di Cl non può che essere in continuità con l’indirizzo teologico ed ecclesiologico del movimento, per cui è posto l’accento sull’esperienza comunitaria e sul ruolo guida dell’autorità, a partire dall’autorità somma rappresentata da don Giussani. E nei luoghi neutri – o laici – come la scuola e l’università, si tratta di affermare una «presenza». Rispetto ad una «pedagogia della coscienza», Cl privilegia una sorta di «pedagogia dell’appartenenza, tendente a rafforzare i processi identificativi del singolo aderente con il gruppo, sotto il vigile controllo dell’autorità interna, garante dell’ortodossia del movimento».

La traduzione sul piano sociale è una particolare interpretazione della sussidiarietà, che si manifesta in una «svalutazione a priori dell’intervento pubblico assunto spregiativamente come statalista» e nella esaltazione della «libertà di scelta» – quindi buono scuola, sanità privata, ecc. – declinata però secondo un criterio «individualista», distante sia dalla Dottrina sociale della Chiesa che dalla Costituzione italiana. Esiste allora – scrivono gli autori – un «problema Cl» che è assai più ampio e più profondo delle cronache e delle inchieste giudiziarie. La questione «è oggetto di preoccupazioni e giudizi largamente sussurrati nella Chiesa italiana, anche tra i suoi pastori, e tuttavia raramente messa a tema con cristiana franchezza»: vorremmo contribuire ad «aprire una discussione schietta e fraterna».