Alla ricerca del Gesù storico. Intervista a Mauro Pesce e Adriana Destro

Valerio Gigante
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Un libro che, come l’altro che l’aveva preceduto a firma degli stessi autori, si pone l’obiettivo di condurre un’indagine rigorosa e scientifica su Gesù, cercando di sfrondare dall’uomo e dalla sua avventura terrena il mito che successivamente gli è stato costruito attorno. Ma oltre a questo, la Morte di Gesù (Mondadori 2014, 356 pp., 15,30 euro), testo scritto a quattro mani dallo storico e biblista Mauro Pesce e dall’antropologa Adriana Destro, tenta anche di individuare i destinatari della predicazione di Gesù, di ricostruire il clima culturale che ne segnò il successo e di capire cosa, nei comportamenti di quest’uomo proveniente dalla Galilea, abbia tanto acceso gli entusiasmi di folle sempre più consistenti di seguaci ma anche la paura, il risentimento e l’odio di molti altri.

Punto di partenza dell’indagine sono – certo – i testi dei vangeli canonici, ma anche gli “apocrifi”, che già a partire dal II sec. d. C. la Chiesa ha progressivamente rifiutato come divinamente ispirati. Questi ultimi costituiscono una miniera preziosa di informazioni utili a mettere a fuoco, attraverso le lenti dell’antropologia e della storia sociale, una serie di dati che hanno trovato più di una conferma in altri testi e che colmano alcune lacune presenti nei canonici riguardanti la vita di Gesù, gli ambienti che frequentava, gli interlocutori ai quali si rivolgeva. Separare Gesù da Cristo è – in questi tempi caratterizzati da un forte ritorno di interesse per la ricerca gesuana ma anche da un forte afflato teologizzante e spiritualizzante (oltre che da un indubbio fine politico-religioso, basti pensare ad esempio al Gesù raccontato da Ratzinger) – missione particolarmente complessa. Ma che può riuscire a riportare pienamente (e laicamente) quest’importantissima figura storica nell’ambito del dibattito intellettuale odierno, al fine di stabilire, come scrivono Pesce e Destro nella loro introduzione, “un contatto tra la sua vicenda e la nostra cultura, che dal cristianesimo è costantemente modellata”.

Su alcune delle tante questioni che il libro solleva abbiamo posto alcune domande agli autori.

Assieme avevate già scritto L’uomo Gesù. Giorni, luoghi, incontri di una vita. La particolarità di quel volume consisteva nell’affiancare ai metodi consolidati – ma tuttora contestati dalla teologia ufficiale – della critica storica, quelli della moderna analisi antropologica. Cosa aggiunge questo nuovo volume a quella riflessione sulla vita del Gesù storico?

Non ci scostiamo certamente da quei metodi perché nell’approccio antropologico, unito a quello storico, la nostra riflessione non è mutata. Abbiamo però approfondito molti aspetti ben consapevoli delle difficoltà di arrivare con certezza alla figura storica di Gesù. Nel nuovo libro non parliamo di come si svolgeva la sua vita, ma della morte come inizio di una spiegazione e di una rilettura di tutta la sua vicenda.
Riteniamo che, nel caso di Gesù, tutto cominciò dalla sua fine. La nostra riflessione parte dalla convinzione che la sua uccisione sia il punto di partenza sia per coloro che ebbero l’esperienza di un contatto diretto con lui, sia per coloro che in seguito in lui credettero.
La domanda fondamentale del libro La morte di Gesù è: “Cosa capitò ai seguaci quando Gesù venne ucciso all’improvviso?”. E ancora: Essi si aspettavano questa morte? Furono colti da paura? Come nacquero le loro nuove aspettative? Per rispondere a questi interrogativi abbiamo indagato sulla morte di grandi personalità del mondo antico o più prossime a noi. Abbiamo visto che i loro seguaci erano sempre obbligati a ripensare tutta l’attività e il messaggio del leader morto per continuare a esistere come gruppo che si rivolge alla società.
Abbiamo perciò cominciato ad analizzare i vangeli e altri documenti lasciati dai seguaci di Gesù nei primi due secoli, e ci siamo resi conto che coloro che gli erano sopravvissuti (e anche le generazioni successive) avevano riletto e re-interpretato la vita di Gesù alla luce della sua fine violenta, con l’intento di legittimarlo e di difendere i gruppi di persone che credevano in lui.
Un’altra novità di questo libro sta nell’attenzione spiccatissima ai testi e alla loro varietà. Molto più che in passato abbiamo cercato di vedere ciò che è attendibile storicamente nei racconti che ci sono pervenuti e anche comprendere le ragioni delle loro notevoli differenze.
Riteniamo che la diversità dei testi sia di grande aiuto nella ricostruzione del Gesù storico: permette di dare rilievo a molti punti di vista su quello che accadde. Resta il fatto che esistono contraddizioni fra i testi che sono spiegabili in termini di conoscenze parziali, differenze dei luoghi di reperimento delle notizie, diversità di ambienti dei destinatari, distanze fisiche. Gli evangelisti non hanno conosciuto Gesù non si conoscevano fra loro e avevano strategie espositive differenziate.
Di fronte alla divergenza e pluralità delle testimonianze, abbiamo cercato di elaborare un’analisi critica delle fonti, che possiamo definire “metodo di rinvenimento delle tracce storiche involontarie”. Anche questo è un aspetto sostanzialmente nuovo del libro.

Tutti i grandi momenti di riforma della Chiesa si sono espressi nella forma di un ritorno a Gesù, come anche voi in più occasioni avete ricordato. Da diversi anni c’è un forte interesse, che le case editrici rispecchiano nei loro cataloghi, verso la figura storica di Gesù. Resta però il tema, che voi più volte avete toccato in questi anni, di un approccio storico ai vangeli che la teologia cattolica, dopo la breve stagione post conciliare, tende a mettere in secondo piano rispetto ad una lettura spiritualizzante, che tende a rendere coerenti ed armonici tra loro anche passi che non lo sono…

Ha ragione: esiste una ricerca accanita in campo internazionale che non si arresta e anche in Italia la ricerca sul Gesù storico è ricominciata dopo il 2006. Ed è vero che in Italia la gerarchia ecclesiastica tende ad opporvisi.
In realtà, già i Vangeli, le lettere di Paolo e gli Atti degli apostoli iniziano a trasformare il senso degli eventi cercando di mostrare che la morte di Gesù si era svolta secondo un piano voluto da Dio e già in qualche modo depositato nelle Sacre scritture giudaiche. È quella che con una parola astrusa possiamo chiamare “scritturalizzazione” degli eventi. Ma una lettura attenta dei testi mostra che essi, nell’intento di darsi ragione della morte di Gesù, pervengono a interpretazioni divergenti.
La presa d’atto della trasformazione e delle diverse interpretazioni avvenute già alle origini pone inevitabilmente una serie di domande importanti alle teologie di oggi. Un confronto è inevitabile. Rifugiarsi in una lettura dei vangeli puramente spirituale che cerchi di mettere d’accordo e armonizzare le diverse interpretazioni non risolve il problema, perché cerca solo di evitarlo o procrastinarlo.

Lo avete scritto nella vostra introduzione: gli anacronismi, la conoscenza imprecisa dei tempi e dei luoghi degli eventi narrati sono tutti fatti innegabili e rendono difficile ricostruire in modo attendibile la vicenda di Gesù. Nonostante ciò, pensate lo stesso sia possibile un’indagine rigorosa sul Gesù storico? In che termini?

Noi pensiamo sia possibile. Non abbiamo un atteggiamento scettico pregiudiziale. Dai testi emergono, in alcuni casi, elementi che danno fondatezza a quanto è raccontato. In altri casi, invece ci sono tracce evidenti che smentiscono il racconto. Queste tracce sono di grande importanza perché permettono approcci conoscitivi difficili, ma non secondari, di quello che realmente accadde. Tutto il nostro libro è una disamina accurata di molte di queste tracce, secondo le prospettive metodologiche a cui abbiamo fatto cenno. Ne emerge un’immagine spesso inconsueta dell’azione di Gesù e delle reazioni che provocava, ma anche del modo con cui fu catturato, ucciso e sepolto. Ci fu veramente un processo a Gesù di fronte al sinedrio ebraico? Quali furono le accuse che gli vennero rivolte? I seguaci di Gesù seppero davvero dove era stato sepolto? A seppellire Gesù furono le autorità giudaiche o Giuseppe di Arimatea?
Alcuni apologeti si rendono conto che non possono ostacolare le ricerche storiche, sociologiche e antropologiche e allora cercano di screditarle dicendo che non sono attendibili perché arrivano a risultati divergenti e contraddittori. In realtà gli stessi vangeli ci offrono una pluralità originaria di differenti letture della figura di Gesù.
Ovviamente siamo ben consapevoli che le conoscenze umane sono sempre parziali e anche le indagini su Gesù non possono non esserlo.

Nella cerchia dei seguaci di Gesù c’erano diverse donne, scrivete nel vostro libro. Aggiungendo che tutte avevano un ruolo rilevante, e non solo per l’aiuto materiale che potevano fornire. Partecipavano quindi integralmente al movimento gesuano. Per la teologia femminista è impensabile che non fossero presenti anche all'”ultima cena”. La teologia ufficiale lo nega, anche perché la presenza di donne nella cerchia ristretta dei discepoli di Gesù, e durante l’ultima cena in particolare, costringerebbe a rivedere questioni rilevanti, come il sacerdozio femminile. E anche nei Vangeli il ruolo delle donne appare non di rado occultato o minimizzato.

Questa domanda ci permette di sottolineare che il problema del ruolo delle donne nel movimento di Gesù è delicato e fondamentale. Noi, in questo nuovo libro, lo abbiamo affrontato certo in relazione soprattutto a singoli fatti, connessi alla morte di Gesù, al suo seppellimento e alla diffusione delle notizie sulla sua fine.
È molto verosimile che le seguaci fossero presenti all’ultima cena. Ma l’importanza della loro funzione nel movimento di Gesù, e anche nei decenni successivi, dipende da molte condizioni. Noi mettiamo in luce alcune circostanze che danno uno sfondo importante all’esistenza delle seguaci femminili e di tutte le donne. Gesù, ad esempio, si opponeva al diritto maschile di ripudiare le mogli. Questo suscitava forti opposizioni nel mondo circostante e dunque comportava conseguenze di vasta portata. Il rifiuto del ripudio garantisce una precisa collocazione delle donne e non può non aver avuto peso sull’intero seguito di Gesù.
Per il nostro discorso, la presenza delle donne alla croce e/o al seppellimento è sintomatica. Esse furono vere e proprie discepole di Gesù e le loro vicende ci offrono la base necessaria per la ricostruzione di dati circostanziati su tutta la storia del gruppo precedente la sua morte, e sulla ricostruzione della sua tragica vicenda. Ci siamo convinti che la prima trasmissione delle notizie della morte di Gesù non poteva non provenire da soggetti femminili. Il Vangelo di Luca insiste molto su questi aspetti. E sostiene che un vasto gruppo di donne fu, per lungo tempo, con Gesù sia in Galilea che a Gerusalemme.
Il ruolo così importante delle donne in Gesù e nel suo movimento verrà negato poco alla volta nei decenni successivi alla morte di Gesù perché le chiese verranno organizzate secondo i criteri dell’onore pubblico maschile. Il ruolo della direzione patriarcale dei nuclei domestici prenderà il sopravvento mettendo da parte le donne o confinandole entro ambiti tradizionali, inferiori, come abbiamo mostrato altrove.

Quello della resurrezione è un tema delicatissimo nell’esegesi dei vangeli. Nel libro fate riferimento a un’interpretazione della morte di Gesù che non teneva conto della sua risurrezione. E parlate della resurrezione come di una forma di riabilitazione rispetto all’uccisione violenta di Gesù. Cosa intendete?

Il fatto su cui si riflette troppo poco è che ci può essere risurrezione solo se c’è stata prima la morte. La risurrezione di Gesù acquista un valore rilevante in quanto è preceduta da una morte violenta e umiliante. La risurrezione può apparire la risposta o la soluzione che annulla il dramma, che colma il vuoto creato dalla morte.
Nel libro, noi riteniamo di poterci soffermare sulla morte, inizio di tutto, come il fatto reale, finale e ricostruibile di un’esistenza, senza doverci appoggiare sull’evento strepitoso della risurrezione. È la morte di Gesù che sconvolge i seguaci: essi non esultano affatto quando egli muore e non sembrano sperare subito nella sua risurrezione. Si impauriscono e molti si disperdono perché pensano che il progetto del loro leader sia stato perdente e che egli sia stato annientato. È la morte che, fin dai primissimi momenti, obbliga i seguaci a interrogarsi sul senso di tutta la vicenda di Gesù.
Gli autori dei testi protocristiani, dopo vari decenni, dedicarono molta importanza ai racconti (scritti e orali) della morte di Gesù di cui erano entrati in possesso. I loro scritti vollero mostrare che quella che era stata considerata una sconfitta, in realtà era una vittoria. La risurrezione dimostrava, ai loro occhi, che Dio aveva riabilitato colui che il potere politico romano aveva ucciso. Ad essa peraltro accostarono straordinari fenomeni cosmici (come il buio a mezzogiorno) per sottolineare proprio l’importanza, l’ enorme impatto, dell’orribile uccisione di Gesù.
Bisogna infine aggiungere che, per i primi seguaci, molto più importante della resurrezione era la convinzione che Gesù sarebbe ritornato presto, una seconda volta, per far iniziare il regno di Dio che aveva annunciato (e in cui i seguaci continuavano a credere).