La Chiesa omofoba di A.Antonelli

don Aldo Antonelli
parroco ad Antrosano

Le notizie che ci vengono dalle cronache nazionali e internazionali non sono altro che frustate sulla carne viva e già piagata del cittadino, impotente spettatore suo malgrado. Alla guerra fratricida della Siria, agli attentati terroristici dei filorussi in Ucraina e all’invasione assassina e ladra della Palestina da parte di Israele, fa da pendant in casa nostra, disarmata ma non meno violenta, la riesumazione di un condannato e plurindagato, che vuole riciclarsi come statista, con la sua compassionevole claque, ringalluzzita da un verdetto di secondo grado che non ha niente di definitivo. A cui si aggiunge, sempre in termini di cronaca casereccia, il vergognoso licenziamento di una professoressa lesbica da parte di una Madre Superiora fobica, presso l’istituto cattolico parificato Sacro Cuore di Trento.

Cronaca nazionale ed internazionale, cronache civili e religiose si intrecciano in una trama che nulla ha di consistente se non il degrado umano e spirituale di un mondo allo sfascio. A dispetto delle conclamate volontà di risorgimento della nostra classe politica e della stessa, fragile, primavera francescana della Chiesa. Non ci sono più nel mondo, se mai ce ne fossero state, isole felici: né nella società civile, né nella chiesa.

In quest’ultima, in particolare, esistono e resistono sacche di arrogante presunzione e di autocefala ottusità da far concorrenza perfino a certi noti fondamentalismi talebani. A rimuovere certi macigni nella chiesa è impotente anche la denuncia di papa Francesco che, citando S.Tommaso d’Aquino, nota come certe norme possono «trasformare la nostra religione in una schiavitù, quando “la misericordia di Dio ha voluto che fosse libera”» (Evangelii Gaudium; n. 43). Il comportamento veramente vergognoso di questa suora lo trovo condannato dalle stesse parole di Papa Francesco, quando nella citata esortazione apostolica, al numero 94, bolla come “mondano” e affatto evangelico «il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che (…) si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato. È una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare»!

Nell’intervista pubblicata da Repubblica il 21 c.m. appare solare la distanza culturale e perfino etica tra la professoressa “laica” e la sua direttrice “religiosa”; là dove la professoressa dichiara che i suoi datori di lavoro sono gli studenti, quando invece la direttrice appare preoccupata e tutta presa dalla difesa del “buon nome” dell’Istituto: la coscienza del lavoro contro la cultura dell’apparenza. Inutile chiedersi dove risiede la vera moralità!

Superfluo anche domandarsi a quale strano vangelo appartiene una chiesa che invece di lavorare alla crescita delle competenze professionali si chiude nell’accertamento delle tendenze genitali. Se avessi in parrocchia, per disgrazia, una scuola “cattolica”, non esiterei ad invitare la professoressa “Silvia” come insegnante. Ricordo che qualche anno fa scrissi una lettera di solidarietà ad una professoressa sospesa dall’insegnamento in una scuola cattolica delle Marche perché divorziata. Sarebbe bello se papa Francesco scrivesse una lettera di rimprovero e di rimozione alla Suora e una lettera di solidarietà e di richiamo in servizio all’Insegnante.