Papa Francesco di B.A.Bellerate

Bruno A. Bellerate
Roma

Prendo il coraggio a due mani, perché voler scrivere, oggi, qualcosa sul vescovo di Roma, è una scommessa, con tutto ciò che su di lui si è detto e scritto: dall’uomo dell’anno di Time, ai libri e libretti che si sono susseguiti, anno dopo anno, alle numerose e lunghe interviste, da quella alla Civiltà Cattolica a quelle di Scalfari, talora e in parte corrette dal portavoce ufficiale del Vaticano, p. Lombardi.

D’altra parte, si sono moltiplicate anche le connotazioni: dal “rivoluzionario” al “riformista”; dal “sincero, ma timido” al “diplomatico e prudente”, dal “riservato” all’”espansivo” e “aperto”, dal “progressista” al “conservatore” e così via. Forse, però, c’è ancora spazio per qualche riflessione che ne consideri la figura e l’opera non in base a collaudate classificazioni, ma nella concretezza dei suoi comportamenti e delle sue idee. Questo mi propongo di fare in un breve, ma spero denso e corretto contributo.

Bergoglio e l’istituzione Chiesa

Sono noti i suoi atteggiamenti e le sue posizioni nei confronti del tradizionale rituale pontificio, nel suo linguaggio, anzitutto. Dal “Buona sera” della sua apparizione sul balcone di S.Pietro, alla richiesta di preghiere, ai successivi e frequenti inviti alla preghiera silenziosa, alla semplicità della comunicazione, a tutti, sempre comprensibile e, frequentemente, in dialogo (per scritto o a voce).

Sotto questo profilo è stato particolarmente significativo l’incontro con i giovani nella Corea del Sud, il 15/08 u.s., nel quale è prevalsa molto più l’improvvisazione sui testi scritti, da lui stesso giustificata con il principio per cui ai giovani si deve parlare con il cuore e non con fogli di carta. E ne ha dato prova, scusandosi per la povertà del suo inglese e chiedendo, per questo, di poter parlare in italiano.

Il tutto comprova la sua scelta di voler demitizzare le parole del vescovo di Roma, per certo, non voce di nuova e continua rivelazione, bensì strumento del tutto umano e comprensibile di comunicazione con tutti. Da questo punto di vista, è meno attento, forse, agli aggiornamenti dell’esegesi o della teologia, utilizzando invece linguaggi e categorie più accessibili al grande pubblico, più tradizionalista. In questa linea, mi pare che si debba interpretare la sua affermazione, in occasione della beatificazione dei numerosi martiri coreani: “Sulla fede non si devono accettare compromessi.”

Da richiamare anche il suo alloggio a S.Marta, il suo modo di vestire, l’uso di automobili modeste e non protette, il salire in aereo e scenderne con la borsa in mano, come un qualunque passeggero.

Pure innovativo il suo concedersi facilmente a interviste aperte, senza limiti di tempo; il parlare, se interpellato, di sé, con modestia, priva, però, di rituali riserve, come farebbe un comune mortale, senza particolari incombenze.

Inoltre, significativi e concreti i suoi, pur ridotti, interventi sullo IOR, sui curiali e sui gestori del potere ecclesiastico; il suo ricorso e uso della sinodalità, persino con la creazione di un apposito Consiglio e di varie commissioni per specifici interventi, come sullo stesso IOR. Ai prossimi Sinodi ha infatti delegato decisioni importanti, da molti sollecitate.

Non manca mai di palesare un certo disagio nell’impersonare un’autorità e un’autorità che vari suoi predecessori interpretarono come divina e perciò irrinunciabile: tale è stato il convincimento di Giovanni Paolo II, per fortuna contraddetto, poi, dalla rinuncia di Benedetto XVI.

Di fatto, non impone mai un suo parere o una sua scelta senza passare per i diretti responsabili e, spesso, invitando i “pastori” ad assumere le proprie responsabilità, vivendo però a contatto con i loro fedeli o, con sue parole, “a puzzare di pecore”. Per questo, finora, non ha ancora preso una posizione esplicita su tematiche attuali e scottanti, come taluni pretenderebbero.

Non è incline a condanne (“Chi sono io per giudicare?”), benché sia stato più chiaro ed esplicito dei suoi predecessori nei confronti dei mafiosi, senza “ambiguità” o “doppiezza”. Rigetta con decisione ogni forma di competizione, mentre incita alla collaborazione, che è la traduzione operativa del dialogo, di cui sopra. Tuttavia non manca di prudenza e di rispetto per l’ordine. In questa linea mi sembra che si possa porre il suo recente intervento, nel luglio scorso, sullo scambio della pace, all’interno della celebrazione eucaristica.

Bergoglio e la povertà

Ne ha fatto una bandiera, sia nel suo comportamento, come visto, sia nei suoi interventi di ogni tipo.

Ovviamente non disquisisce sulla povertà in astratto, ma ne parla in quanto incarnata negli umani. In questo si richiama, in primo luogo ai testi rivelati, in particolare ai vangeli, tenendo, però, anche presenti le dichiarazioni del Vaticano II, nonché delle successive prese di posizione di sinodi e assemblee ecclesiali dell’ America latina, soprattutto, ed, entro certi limiti, della stessa teologia della liberazione.

Infatti non insiste soltanto sulla centralità di questa tematica nei comportamenti e nelle scelte degli ecclesiastici, ma anche perché palese manifestazione di un’ingiustizia sociale, per cui una assai ridotta minoranza possiede e gestisce la quasi totalità dei beni, escludendone ed emarginando la stragrande maggioranza degli umani, spesso, privi persino dell’indispensabile per vivere con dignità, garantita solo da un lavoro sicuro e giustamente retribuito.

D’altra parte, facendo di necessità virtù, talune scelte, atteggiamenti e condotte sono molto più di casa tra i poveri, più inclini alla solidarietà e condivisione, sia pure per ottenere ciò che soli non potrebbero avere: “Vis unita fortior”, “El pueblo unido jamàs serà vencido”!

Di qui l’estensione dell’atteggiamento di povertà, oltre al suo significato e ruolo economico, a una scelta personale, che ne assuma gli aspetti positivi, come dichiarato nel Vangelo e comma tipico del messaggio cristiano.

Nella categoria dei poveri, Bergoglio include anche i piccoli e gli ammalati, tutti coloro cioè che per la loro condizione vengono a trovarsi in un reale isolamento e relativa emarginazione. Questi, al contrario, sono i suoi preferiti, come ha dimostrato e sta dimostrando giorno per giorno, laddove gli è possibile (non certo nell’ambito di una mal tollerata, ma inevitabile, per il suo stesso ruolo, diplomazia). E’ noto che ha incaricato un curiale di fiducia per aiutare economicamente barboni e bisognosi. Per questo, d’altro canto, evita, nei limiti del possibile, ricevimenti e apparizioni con i potenti della terra: anzi sollecita anche gli altri responsabili della pastorale e di comunità a farlo.

Bergoglio e la società civile

Dall’alto della sua posizione e per sua responsabilità personale il vescovo di Roma non può non essere e sentirsi coinvolto nei problemi sociali, che competono e affliggono il suo gregge.

Questa percezione è tanto sentita e condivisa dalla gente, che in tanti, e più che mai, si rivolgono direttamente a lui con lettere, telefonate e messaggi di vario genere. Spesso si tratta di questioni personali, altre volte di interessi comuni. Anzi, a parer mio, talora mi sembra che si esageri, volendo coinvolgerlo in questioni specifiche che non mi sembrano di sua pertinenza, come nel caso degli OGM. E’ vero che ci preoccupano, ma sono chiaramente inclusi nella difesa, nel rispetto e nella cura della “natura”, su cui frequentemente torna.

Altro tema fondamentale in questo ambito è il discorso sulla pace, sulla riduzione degli armamenti e sul rigetto assoluto e definitivo delle guerre, richiesto d’altronde dalla loro moltiplicazione in questi anni, tanto che si parla di una terza guerra mondiale a spizzichi. In questa linea si è collocato anche Bergoglio, parlando con i giornalisti, nel suo viaggio di ritorno dalla Corea a Roma.

In tale contesto, ha chiaramente affermato, pensando all’Irak: ”E’ lecito fermare l’ingiusto aggressore: è un diritto dell’umanità. Fermare, però, non bombardare o fare guerra” e, in ogni caso, “non per decisione di un unico stato, ma dell’ONU.” Affermazione molto forte, decisa, a titolo personale però, come, a volte, era già successo su queste tematiche, senza alcuna intenzione di coinvolgere il suo ruolo di vescovo di Roma, benché si tratti di una tesi tradizionale. In merito, ha pure ripreso affermazioni dei suoi predecessori, in particolare di Benedetto XV, sull’indiscutibile ingiustizia e inutilità della guerra stessa.

Più dei papi precedenti, invece, Bergoglio ha denunciato e condannato la prevalenza politica dell’ economia di mercato, delle finanze, gestite e dominate da pochi, mettendo il dito nella piaga, che inficia l’umanità intera. Orizzonti più vasti e inclusivi, i suoi, ma anche più puntuali di quanto avessero esposto i suoi predecessori.

E, con questo, mi pare di poter chiudere, senza pretese, le mie personali e attuali riflessioni sulla figura tanto discussa del vescovo di Roma: riflessioni che, giustamente, non tutti condivideranno.