Il moralismo cattolico come istupidimento di A.Esposito

Alessandro Esposito (*)
http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/ 22 settembre 2014

Ogniqualvolta cerco di farmi persuaso che la societas christiana non sia altro che un lontano e nefasto ricordo archiviato negli annali dell’oscurantismo medievale, lo vedo pervicacemente riesumato dal cattolicesimo istituzionale e dal credito che esso, ahimè, ancora riscuote. Non ci sarebbe di fatto da preoccuparsi di fronte a questo fenomeno triviale, non foss’altro che esso annovera tutt’oggi un certo ingiustificabile e non trascurabile séguito.

Tutti gli occhi del mondo cattolico e dei suoi accoliti e finti critici sono concentrati sull’evento clou, il sinodo dei vescovi che, dal 5 al 21 di ottobre, discetterà nell’ameno contesto vaticano sull’argomento (ai vescovi del tutto ignoto per mancanza d’esperienza diretta in merito): Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione. Temi cardine, manco a dirlo, la relazione tra persone dello stesso sesso (la cui presa in considerazione è motivata dal riconoscimento in molti Paesi della legittimità giuridica di tali unioni, con conseguente cordoglio dei moralisti benpensanti) e, udite udite, il reinserimento a pieno titolo nella comunità ecclesiale delle persone divorziate e risposate. Non c’è che dire: tema, quest’ultimo, di un’attualità sconvolgente, specie in considerazione del fatto che un Paese moralmente bigotto come il nostro ha di recente celebrato il quarantesimo anniversario della conquista referendaria della liceità del divorzio. Ma forse Oltretevere questo particolare si ignora (volutamente).

Senza voler infierire rimandando alle posizioni oltranziste richiamate nel volume significativamente intitolato Permanere nella volontà di Cristo[1], che annovera tra i suoi autori cinque celebri porporati e le cui linee generali tralascio di menzionare per rispetto all’umano intelletto che quest’opera calpesta impunemente, mi limito a passare in rassegna gli articoli del documento preparatorio che i vescovi hanno ricevuto in vista del dibattito.[2]

Incomincio dall’appassionante tema divorziati risposati. Ecco che cosa dice, in proposito, l’articolo 90 del documento citato:

«Piuttosto consistente è il numero di coloro che considerano con una certa noncuranza la propria situazione irregolare»

Degno di un verbale da vigile urbano. Ma non basta: l’articolo 92 è, se possibile, ancora più esilarante:

«In altri casi, non si percepisce come sia la propria situazione irregolare il motivo per non poter ricevere i sacramenti; piuttosto, si ritiene che la colpa sia della Chiesa che non ammette tali circostanze. In ciò, si segnala anche il rischio di una mentalità rivendicativa nei confronti dei sacramenti»

Questo goffo tentativo di pseudo rilettura freudiana del risentimento del fedele nei confronti della sua chiesa, che in tal modo può rivestire il ruolo a lei più congeniale, quello della vittima, è a dir poco patetico.

Ma, dulcis in fundo, il meglio lo regala l’articolo 97, che dichiara:
«Alcuni fanno notare che l’accettazione coraggiosa della condizione di separati rimasti fedeli al vincolo, segnata da sofferenza e solitudine, costituisce una grande testimonianza cristiana».

La solita morale della sofferenza auto inflitta elevata a valore, la prostrazione dell’animo come fedeltà alla logica dell’eteronomia che assicura cieca obbedienza all’istituzione e al suo impianto giuridico degno delle aberranti descrizioni Orwelliane.

Il trionfo dell’ipocrisia, però, ha luogo naturalmente di fronte al tema Circa l’unione di persone dello stesso sesso, il cui incipit, costituito dall’articolo 110, è sufficiente a chiarire tutta la prospettiva del documento in materia:

«Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. […] nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali “devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione”»

Commovente. Un nitido esempio di accoglienza del diverso fondato sulla compassione intesa nel suo senso più deteriore e melenso.

Mi domando: possibile che, in totale assenza di senso critico, non sgorghi dalle viscere dei cattolici per lo meno un moto di indignazione? Che cosa è lecito attendersi da un sinodo che parte da presupposti quali quelli testé menzionati? È mai possibile che il cattolicesimo sia ancora succube di queste (inqualificabili) direttive dettate dall’alto? A quando l’uscita da quello che Kant definiva magistralmente come «stato di minorità»?

Tuonava, inascoltato, l’amato Nietzsche:

«Il costume rappresenta le esperienze di uomini passati circa ciò che si presumeva utile o nocivo. Ma il sentimento del costume (eticità) non si riferisce a quelle esperienze come tali, bensì all’età, alla sacralità, all’indiscutibilità del costume. E con ciò, questo sentimento agisce contro il fatto che si facciano nuove esperienze e si correggano i costumi. Cioè: l’eticità agisce contro la nascita di nuovi e migliori costumi. Essa instupidisce».[3]

(*) pastore valdese in Argentina

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NOTE
[1] Il libro uscirà in contemporanea in Italia e negli Stati Uniti mercoledì primo ottobre 2014. Per avere un’idea dei suoi contenuti generali, è possibile consultare l’esauriente articolo a firma di Paolo Rodari, apparso sul numero del quotidiano La Repubblica di venerdì 19 ottobre 2014 (http://www.repubblica.it/esteri/2014/09/19/news/sinodo_battaglia_su_divorziati-96122161/)
[2] http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20140626_instrumentum-laboris-familia_it.html
[3] Friedrich Nietzsche, Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali, Newton Compton editori, Roma, 1990. Traduzione a cura di Fabrizio Desideri (cit. p. 35, I/19).