Una provocazione di augurio per il sinodo sulla famiglia: Maria l’adultera di G.Codrignani

Giancarla Codrignani

Il silenzio di Gesù davanti all’adultera è sempre apparso enigmatico. I teologi, almeno in questo caso, non osano immaginare. Forse è più facile per una donna cercare almeno di contestualizzare, tenendo conto dei troppo lenti riconoscimenti religiosi e sociali che (non) vengono attribuiti al loro genere. Oggi in Palestina la condizione femminile non è tanto diversa da quando ci viveva la “sacra famiglia”: le donne lavorano, ma l’autonomia è sempre relativa, tanto più nella compressione costante della guerra e dei suoi disastri. Comunque, che parole tracciava sulla polvere Gesù? o forse erano solo segni per non dover guardare negli occhi nessuno? davvero non si può dire concretamente.

Ma un pensiero deve essergli venuto. Sua madre, in fondo, aveva corso quel rischio. Un prete dirà che no, non è pensabile, era tutto voluto e, quindi, seguito direttamente da Dio. Invece nessuno a Nazaret aveva visto l’angelo o ricevuto informazioni in sogno: per la gente, se si fosse venuto a sapere che Maria era incinta e per giunta non del suo ragazzo, il rischio non era il pettegolezzo, ma la lapidazione.

Le differenzti redazioni dei Vangeli non ostacolano libere interpretazioni, vista, in questo caso, l’inconsistenza delle dispute teologiche. Infatti Matteo pensa a rimettere a posto le cose: la vergine incinta produceva pur sempre imbarazzo e per questo era essenziale raccontare anche il sogno del fidanzato che comandava di sposare la ragazza ormai promessa a Dio. A me piace di più Luca, che lascia Maria nella solitudine della decisione liberamente assunta e nel vuoto di quello che sarebbe accaduto con Giuseppe. Il Protovangelo apocrifo di Giacomo conferma la voce misteriosa che inquieta Maria al rientro dal pozzo e l’apparizione che la coglie mentre, turbata, sta filando: anche secondo questo testo è lei che si assume la responsabilità di accettare l’annuncio.

A prescindere dalla fede e dalle sue simbologie, dobbiamo tener conto del costume e della legge. La ragazza incinta anche dalle nostre parti fa ancora mormorare, almeno per malizia. In area mediorientale solo la misoginia e il nazionalismo impediscono di prendere in considerazione l’evolversi dell’istituzione “famiglia”, da noi in grande trasformazione per la necessità di cancellare i pregiudizi escludenti e le discriminazioni disumane. Oggi in Palestina e in gran parte del mondo – che pur aspira a vivere come l’Occidente pubblicizzato sugli schermi tv – le donne sono subalterne all’uomo e fanno figli per aumentare la superiorità numerica della nazione. La legge ebraica – anche se i patriarchi e i loro figli si concedevano abusi e violenze (chiedere a Tamar o alla compagna del giudice) – puniva l’adulterio come oggi lo punisce la sharia (anche nell’Islam senza contestualizzare il Corano) e riteneva più colpevole la donna, per tradizione convalidata dal tempio. I Romani, che erano più realisti, se giudicavano più colpevole la donna era per una ragione di tutta evidenza: l’adultera poteva portare un figlio a rubare una parte del patrimonio, che era più importante dell’ “onore” e della virtù. Ma nell’Israele tra il primo e il secondo secolo un ragazzo non avrebbe mai sposato una ragazza compromessa e in attesa di un figlio non suo e la legge, che giudicava colpevole la donna, prevedeva la lapidazione.

La nascita di Gesù fu davvero singolare: vide come protagonisti una donna responsabile delle proprie scelte e due maschi (perché Dio lo si rappresenta maschio) esemplari. Dio infatti sottomette il suo progetto al consenso di Maria e la ragazza prossima alle nozze accetta quella che potrebbe essere una rischiosa alternativa. Il fidanzato, imprevedibilmente, le crede, la rispetta, l’accompagna. Accetterà anche lui l’impegno preso con l’angelo. Se la giovane donna palestinese può diventare madre di Gesù e madre della Chiesa è non solo perché ha una sua straordinaria personalità, ma perché i suoi uomini (Dio compreso) sono rappresentanti di un genere che conosce nella donna l’altro da sè che non si può dominare o forzare. Sono gentili, rispettano se stessi prima ancora della donna. Una lezione di grandezza e di nonviolenza.

Davanti all’adultera da lapidare, Gesù, dunque, forse pensa alla sua mamma. E agli uomini che non sono come Giuseppe; e ad una legge antica che andrebbe rinnovata anche in questa penalizzazione dell’umano quando è femminile. Gesù indica i limiti dei comportamenti sociali senza fare mai il legislatore: con la frusta condanna la corruzione, con le “beatitudini” indica la stella polare di una legge diversa, che non è neppure legge ma libera scelta sui fini.

A chi gli chiede che cosa pensa del ripudio, risponde che “l’uomo non deve dividere ciò che Dio ha unito”. Anche qui sembra che rifiuti la trappola che gli viene posta davanti dai farisei confermando non la legge, ma la volontà di Dio. Dio ama l’umanità (e perfino la Chiesa); e, se l’amore è la cosa più seria di questo mondo, non è poi detto che i figli di Dio ne siamo sempre all’altezza. Nel matrimonio Dio unisce l’amore, almeno a partire dal Vaticano II che – per la prima volta – fa dell’amore il fondamento del matrimonio. Tutti, anche quanti non sono cristiani, pensano che sia “per sempre”, ma le creature umane sono ancora limitate nel loro processo evolutivo e non sempre – con colpa o senza colpa – ce la fanno. Ma i vincoli liberamente assunti non possono mai, per la legge dell’amore, essere capestri….