L’ecumenismo riscritto da Enzo Bianchi e Alberto Melloni

Sandro Magister
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È una realtà, questa, numericamente molto piccola, ma portatrice di un modello di Chiesa che piace a non pochi cattolici progressisti. Riconosce al papa un primato d’onore, ma non accetta che egli sia infallibile né che abbia giurisdizione sui vescovi. Fa eleggere i vescovi da sinodi composti di chierici e laici. Nella messa dà la comunione eucaristica a tutti, basta che siano battezzati in una delle varie confessioni cristiane. Amministra l’assoluzione collettiva dei peccati. Consente le seconde nozze ai divorziati.

Propugna inoltre un ritorno alla fede delle origini e riconosce come pienamente ecumenici solo i primi sette concili, quelli del primo millennio, quando le Chiese d’Occidente e d’Oriente erano ancora indivise.

E su quest’ultimo punto converge con quanto sostiene da tempo la cattolica “scuola di Bologna”, fondata da Giuseppe Dossetti e Giuseppe Alberigo e oggi diretta da Alberto Melloni, famosa in tutto il mondo per aver scritto e diffuso in cinque volumi tradotti in più lingue la storia del Concilio Vaticano II indiscutibilmente di maggiore successo, sebbene più volte stroncata da parte vaticana.

Anche per i “bolognesi”, infatti, sono pienamente ecumenici solo i concili che hanno preceduto lo scisma tra Occidente ed Oriente, come risulta dalla loro edizione in più volumi dei “Conciliorum oecumenicorum generaliumque decreta”, criticata proprio per questo da “L’Osservatore Romano” del 3 giugno 2007 con una nota ufficiale non firmata attribuita a Walter Brandmüller, oggi cardinale.

Quell’anno e negli anni successivi il professor Melloni si impegnò non poco per ricucire questo strappo e l’altro provocato dalla storia del Vaticano II.

Nel 2011 le inventò tutte per ingraziarsi Benedetto XVI. Propose al papa di pregare davanti a tre icone russe fatte arrivare da Mosca per festeggiare l’edizione critica del concilio Niceno II curata dallo stesso Melloni. Gli chiese un’udienza pubblica nella quale fargli benedire una sua riedizione in facsimile della Bibbia di Marco Polo, da inviare poi in Cina “dove abbiamo contatti significativi”.

Ma senza successo. “Non si vede la possibilità di un coinvolgimento di Sua Santità nelle menzionate iniziative”, scrisse gelido a Melloni il sostituto delle segreteria di Stato Angelo Becciu. Anche perché “permangono le riserve di carattere dottrinale”.

Ma questo avveniva regnante Benedetto XVI. Perché con l’attuale papa la “scuola di Bologna” è convinta di avere la strada spianata.

Una nomina, un convegno internazionale, un grandioso progetto editoriale. Sono questi tre atti a inaugurare il nuovo corso “bolognese”. Tutti e tre all’insegna dell’ecumenismo.

La nomina, decisa da papa Francesco lo scorso 22 luglio, è quella di fratel Enzo Bianchi, fondatore e priore del monastero interconfessionale di Bose, a consultore del pontificio consiglio per l’unità dei cristiani.

Bianchi, 71 anni, è nato e vive in Piemonte, ma è da anni la suprema guida indiscussa della “scuola di Bologna”. È l’unico membro a vita del consiglio d’amministrazione della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII che vi sovrintende. Ed è anche l’unico a cui Melloni – molto autoritario con i suoi sottoposti – obbedisce con reverenziale timore.

Immediatamente dopo la nomina, in un’intervista a Vatican Insider, Bianchi svelò così le sue aspettative in materia di ecumenismo:

“Credo che papa Francesco voglia raggiungere l’unità dei cristiani anche riformando il papato. Un papato che non fa più paura, ha detto il patriarca ecumenico Bartolomeo al quale il papa è legato da amicizia. La riforma del papato significa un nuovo equilibrio tra sinodalità e primato. Questo aiuterebbe a creare un nuovo stile del primato papale e del governo dei vescovi”.

Il convegno internazionale che l’istituto bolognese capitanato da Bianchi e Melloni ha convocato a Bose dal 26 al 28 novembre avrà precisamente il compito di preparare il terreno a questa riforma del papato, ritenuto nella sua forma attuale il principale ostacolo all’unione dei cristiani.

“Storicizzare l’ecumenismo”: è questo il titolo dato al convegno, al quale prenderanno parte numerosi studiosi anche di altissimo livello, come i tedeschi Jürgen Miethke e Franz-Xaver Bischof.

Compito immediato del convegno sarà di ricostruire la storia del movimento per l’unità dei cristiani dal XIX secolo a oggi, reperendo e analizzando fonti, documenti, avvenimenti, personaggi, progetti.

Ma in realtà, il convegno farà da prologo a un progetto molto più ambizioso: una monumentale storia dell’ecumenismo, in tre grossi volumi scritti da decine di specialisti di tutto il mondo, da pubblicare entro il 2017.

Con questa grande e costosa impresa editoriale Bianchi – che ne è il vero ideatore –, Melloni e i “bolognesi” contano di ripetere il successo della precedente storia del concilio Vaticano II, con cui la nuova opera si pone in diretta continuità.

Una continuità anzitutto di metodo. Perché anche in questo secondo caso, come già nel precedente, la storia sarà costruita “a tesi”, cioè finalizzata non solo a descrivere ma a propugnare e a mettere in pratica una forma precisa di ecumenismo, quella già anticipata “in nuce” dal monastero di Bose.

È infatti convinzione di Bianchi – come si può leggere nella sua prefazione al recente volume di Brunetto Salvarani dal titolo “Non possiamo non dirci ecumenici”, edito da Gabrielli – che dopo gli anni “ardenti” del concilio Vaticano II l’ecumenismo “sia stato ripetutamente contraddetto, e ora si debba ricominciare da capo”. Perché per il priore di Bose il vero ecumenismo non è solo buon vicinato tra l’una e l’altra Chiesa o denominazione, ma “dovrebbe essere, semplicemente, la modalità, la forma dell’essere cristiani”. Di tutti i cristiani nell’unica Chiesa di Cristo.

Progetto ambiziosissimo, che sottintende una riforma integrale della Chiesa cattolica, a cominciare dalla decostruzione del papato nella sua forma attuale.

Per saperne di più su questo progetto c’è un documento illuminante. È il dossier consegnato ai cardinali dalla Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna, alla vigilia dell’ultimo conclave, nel marzo 2013.

Anche prima dei conclavi del 1978 e del 2005 i “bolognesi” consegnarono ai cardinali dei promemoria, con indicato per filo e per segno ciò che secondo loro il nuovo papa avrebbe dovuto fare nei primi cento giorni e dopo.

La differenza è che il dossier del 2013 non è un tutto unitario e organico, a firma collettiva, come i precedenti, ma un insieme di contributi disparati, ciascuno siglato dal rispettivo autore. Con Melloni che – nel sibillino cappello introduttivo – se la prende con la “dissoluzione dei vincoli di responsabilità” perpetrata da alcuni dei suoi sottoposti, rifiutatisi di aderire all’impresa.

Dal conclave, si sa, uscì eletto Jorge Mario Bergoglio. Il quale ha rivelato nel modo più scoperto quale sia la sua idea di ecumenismo nel discorso tenuto a Caserta il 27 luglio 2014 nel corso della visita all’amico pastore neopentecostale Giovanni Traettino:

“Noi siamo nell’epoca della globalizzazione, e pensiamo a cos’è la globalizzazione e a cosa sarebbe l’unità nella Chiesa: forse una sfera, dove tutti i punti sono equidistanti dal centro, tutti uguali? No! Questa è uniformità. E lo Spirito Santo non fa uniformità! Che figura possiamo trovare? Pensiamo al poliedro: il poliedro è una unità, ma con tutte le parti diverse; ognuna ha la sua peculiarità, il suo carisma. Questa è l’unità nella diversità. È in questa strada che noi cristiani facciamo ciò che chiamiamo col nome teologico di ecumenismo”.

Già altre volte papa Francesco – in particolare nella “Evangelii gaudium” – aveva usato la metafora del poliedro, ma per applicarla alla sola Chiesa cattolica e alla sua unità nella diversità.

Questa volta, invece, la metafora fa pensare a una più vasta ed ecumenica Chiesa di Cristo, nella quale la Chiesa cattolica sia una parte, alla pari di altre Chiese e denominazioni.

Non è facile armonizzare questa visione con quanto affermato dalla dichiarazione “Dominus Iesus” del 2000, caposaldo del magistero dei due precedenti papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI:

“Non possono i fedeli immaginarsi la Chiesa di Cristo come la somma – differenziata e in qualche modo unitaria insieme – delle Chiese e comunità ecclesiali; né hanno facoltà di pensare che la Chiesa di Cristo oggi non esista più in alcun luogo e che, perciò, debba esser soltanto oggetto di ricerca da parte di tutte le Chiese e comunità. Infatti gli elementi di questa Chiesa già data esistono, congiunti nella loro pienezza, nella Chiesa cattolica e, senza tale pienezza, nelle altre comunità”.

Ma sicuramente l’ecumenismo poliedrico fatto balenare da papa Francesco ha molto in comune con quello propugnato da Bianchi e Melloni.