Francia: «Rinunciamo all’eucarestia in solidarietà con chi ne è escluso». di I.Colanicchia

Ingrid Colanicchia
Adista Notizie n. 41 del 22/11/2014

Niente eucarestia fino al prossimo Sinodo in solidarietà con quanti ne sono esclusi. È quello che hanno annunciato, invitando altri fedeli ad aderire, Anne Soupa e Christine Pedotti, fondatrici prima del Comité de la jupe – il “Comitato della gonna”, movimento nato dall’esigenza di vedere riconosciuta pari dignità alle donne nella Chiesa cattolica –, e poi della Conferenza dei battezzati e delle battezzate di Francia.

«Nei fatti, solo i divorziati risposati, che sono considerati peccatori, più specificamente, adulteri, sono esclusi dall’eucaristica», spiegano sul sito che hanno realizzato per promuovere l’iniziativa (http://communionpourtous.com/). «Il loro primo matrimonio è sempre considerato valido e la loro nuova unione li mette in stato di peccato permanente. Non possono confessarsi perché non possono pentirsi e manifestare l’intenzione sincera di non ricadere nel loro peccato. Le unioni omosessuali stabili (oggi, in Francia, i matrimoni di persone dello stesso sesso) ricadono evidentemente sotto la stessa condanna». «Gli esempi sono molteplici – proseguono – ma la regola, così com’è espressa, non entra nei particolari. Non conosce alcun carattere progressivo o graduale, solo il “tutto o niente”. Questo vicolo cieco è stato uno dei temi della prima tappa del Sinodo sulla famiglia. Per uscire da questa impasse, alcuni promuovono quella che definiscono “la comunione di desiderio”, che consiste nell’unirsi con l’intenzione alla comunione eucaristica senza parteciparvi realmente. Questa soluzione ci sembra decisamente negativa – è l’opinione di Soupa e Pedotti – ma noi la sperimenteremo, perché accetteremo volontariamente di metterci in questa situazione».

«Perché lo facciamo?»: «Pensiamo che l’esclusione “di fatto” di molti membri della Chiesa sia una grave sofferenza non solo per coloro che sono esclusi, ma anche per la Chiesa intera, che è come mutilata, ferita da questa esclusione che pratica su stessa». «Manifestiamo anche che la comunione eucaristica non è un atto privato, una sorta di soliloquio tra il credente e il suo Dio, ma un atto che è celebrato e nel quale tutta la comunità, tutta la Chiesa è impegnata». La scelta di questo digiuno, proseguono, la «viviamo come una preghiera rivolta a Dio affinché illumini coloro che hanno la responsabilità di far vivere la comunione, i vescovi e il papa, durante la prossima tappa del Sinodo».

In termini concreti, «quando andremo a messa, al momento della processione di comunione avanzeremo verso il celebrante con le mani incrociate sul petto e chiederemo la sua benedizione. È il gesto che fanno i bambini che non hanno ancora l’età per fare la comunione e che certi preti raccomandano ai divorziati risposati».

«Il nostro gesto – che sarà accompagnato da un simbolo di riconoscimento, un distintivo da appuntare con la scritta “Sono in comunione con i miei fratelli e le mie sorelle divorziati/e risposati/e e omosessuali” – è veramente un digiuno, non uno sciopero, nella misura in cui non chiediamo niente a nessuno, se non a Dio nella preghiera affinché ci illumini e faccia conoscere ciò che è buono per la sua Chiesa. Iniziamo questa esperienza portando una domanda», concludono: «La risposta non spetta a noi».