Buono, sufficiente, bocciato. Le pagelle in economia dei tre ultimi papi

Sandro Magister
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Prosegue sempre più animata la discussione sulle posizioni degli ultimi papi in materia d’economia, dopo la pubblicazione su “L’Espresso” di una nota che individuava una certa incoerenza negli interventi di papa Francesco:

Il pendolo di Bergoglio, tra capitalismo e rivoluzione

C’è chi teme di avere altre “brutte sorprese” dall’enciclica sull’ecologia che lo stesso Francesco ha detto di stare preparando (e l’ha detto proprio nel discorso del 28 ottobre ai “movimenti popolari” che ha più sollevato perplessità tra gli esperti).

“Speriamo che l’enciclica – ci ha scritto un economista cattolico molto stimato – non diventi il pretesto per far passare concetti, come ad esempio quello dello ’sviluppo sostenibile’, estranei alla tradizione del magistero sociale e di certo controversi”.

“Bisognerebbe aiutare il papa a farsi ben consigliare” – ci ha scritto un altro economista di primo piano – perché anche Benedetto XVI “avrebbe corso seri rischi se avesse preso per buone le stesure iniziali della ‘Caritas in veritate’ scritte da Stefano Zamagni e da Mario Toso”. (Per la cronaca, Mario Toso, oggi vescovo e segretario del pontificio consiglio della giustizia e della pace, è un tifoso entusiastico proprio del citato discorso di papa Francesco ai “movimenti popolari”).

In genere, sulle posizioni di Jorge Mario Bergoglio in materia d’economia i giudizi degli esperti sono negativi o perlomeno in sospeso: “staremo a vedere”.

La discussione è aperta, invece, sui predecessori. C’è chi li accomuna in una critica complessiva della dottrina sociale della Chiesa. E chi invece li difende.

Ci ha scritto ad esempio Flavio Felice, docente alla Pontificia Università Lateranense e alla LUISS di Roma, presidente del Centro studi e ricerche Tocqueville-Acton e membro dell’American Enterprise Institute di Washington:

“Credo anch’io che non si debba confondere il magistero sociale di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI con quello di papa Francesco. Soprattutto quello di Giovanni Paolo II è un pensiero originale e pieno di riferimenti alla tradizione delle scienze sociali. È profondamente ingiusto sostenere che il magistero sociale è ideologia, perché almeno quello di Karol Wojtyla non lo è stato. Vi si rintracciano gli echi di Popper, Hayek, Novak… In parte, lo stesso discorso vale anche per Benedetto: sebbene le fonti siano diverse, vi sono in lui importantissimi riferimenti ad eminenti autori delle scienze sociali”.

Il professor Felice si compiace che, in un precedente post di “Settimo cielo” su questo argomento si sia fatto richiamo a Peter Drucker, “un autore sul quale ho lavorato e che trovo illuminante”.

E consiglia la lettura di un suo articolo su “Avvenire” per comprendere come il concetto di “bene comune”, che è cardine della dottrina sociale degli ultimi papi, si radichi nel “personalismo liberale” sia del beato Antonio Rosmini che dell’economista austriaco Friedrich August von Hayek:

La giustizia sociale e il possibile incontro tra cattolici e liberali

Ma in difesa del concetto di “bene comune” nella dottrina sociale della Chiesa è intervenuto anche un non economista, studioso di filosofia e di diritto, il magistrato amministrativo Francesco Arzillo, di Roma. Il quale ci ha inviato la seguente lettera.

Gentile Magister,

trovo francamente sorprendenti le perplessità sollevate nei confronti della dottrina sociale della Chiesa in alcuni scritti recentemente pubblicati su “Settimo cielo”. È noto che questa dottrina non nasce con gli ultimi papi, ma risale – nella sua forma contemporanea – all’Ottocento, con l’enciclica “Rerum novarum”.

L’elaborazione ottocentesca a sua volta non nasce dal nulla, ma presuppone la dottrina morale classica da san Tommaso in poi e risponde all’esigenza di “leggere” cristianamente le grandi novità dell’economia e della società uscite dalla rivoluzione industriale, con i successivi sviluppi.

Questo corpus dottrinale è sicuramente complesso; esso non intende affatto operare una sorta di semplificazione paraideologica – e quindi inefficace – nei confronti di una realtà politica, economica e sociale in continua e oggi vorticosa evoluzione.

Si tratta di un insieme di enunciati di principio, di assoluto rilievo teologico e antropologico. Si tratta di indicare le basi dell’essere e dell’operare dell’uomo in società, alla luce della sua vocazione fondamentale in Cristo.

Questi enunciati si pongono sia come guida sia come pietra di paragone per l’elaborazione delle dottrine filosofico-giuridiche, politiche ed economiche affidate alla responsabilità dei credenti e più in generale degli uomini “di buona volontà”.

Quando si rileva che il concetto classico e imprescindibile di “bene comune” sembra vuoto, o che tuttora sembra mancare una teoria economica adeguata alla costruzione di un sistema che non riduca l’uomo a una sola dimensione, si formulano delle osservazioni suggestive ma forse non ben calibrate e indirizzate.

Data l’autonomia delle realtà terrene, e le responsabilità proprie dei laici nell’animarle e orientarle al Regno di Dio, non si può chiedere certo alla Chiesa di offrirci elaborazioni scientifiche e applicative, esonerandoci dalla relativa fatica: come non si chiede alla Chiesa – intesa come Chiesa docente – di fare ricerca fisica o biologica.

Per quanto riguarda – ad esempio – il concetto di “bene comune”, esistono anche in ambito cattolico alcuni filoni di ricerca storica e filosofica nei quali si coltiva questo tema in dialogo con la filosofia politica e giuridica contemporanea, che ne sta riscoprendo la portata euristica. Su queste tracce bisognerà lavorare per cercare di tradurre in concreto l’istanza di una società che abbia al suo centro la giusta relazione interumana.

Nel campo della teoria economica c’è effettivamente un grande lavoro da fare. Sarebbe erroneo però dare importanza solamente agli indirizzi riduttivistici di pensiero, che hanno accompagnato il radicamento del turbocapitalismo, trovando anche a volte riconoscimenti prestigiosi come il Nobel, ma che vengono opportunamente messi in discussione nell’epoca della crisi.

Esistono anche economisti che hanno presente la responsabilità sociale della loro disciplina e che possono dare un contributo per trovare soluzioni nuove, rispondenti anche alle istanze della dottrina sociale. A titolo di esempio, segnalo il contributo di Luigi Pasinetti, che è uno dei massimi economisti contemporanei, pur essendo estraneo agli orientamenti accademicamente dominanti. In un volumetto pubblicato nel 2012 per Vita e Pensiero, “Dottrina sociale della Chiesa e teoria economica”, si tenta un primo passo in questo senso, con interessanti rilievi di carattere metodologico, partendo dall’analisi del fenomeno della disoccupazione su basi istituzionali più ampie rispetto a quelle delle teorie che vanno per la maggiore.

In questo ambito, come e forse più che in altri, il Concilio Vaticano II attende ancora la sua autentica attuazione, ben oltre le sterili polemiche – queste sì paraideologiche – tra progressismo e tradizionalismo, entrambi impari rispetto alla drammatica natura delle questioni attualmente in gioco.

Cordialmente.
Francesco Arzillo

Da tutt’altra sponda, Leopoldo Salmaso, medico ed esperto di cooperazione internazionale, ci scrive che a proposito delle pur innegabili “piaghe” della dottrina sociale della Chiesa vanno tenute presenti due attenuanti: La prima è che “è meglio essere ignoranti che indottrinati dall’ortodossia economica neoliberista”. La seconda è che “papa Ratzinger era in contatto personale con Giacinto Auriti, il professore dell’università di Teramo che denunciò i vertici della Banca d’Italia per appropriazione indebita della moneta”.

Questo secondo elemento ritorna nel romanzo di fantaeconomia “Il Golpe Latino” che Salmaso ha pubblicato in terza edizione nel 2014 e può essere letto gratuitamente in pdf, con un curioso capitolo su “La Zecca vaticana”. In questo romanzo si immagina un’Europa “salvata dalla crisi per errore” grazie alle dottrine monetarie ed economiche di Auriti e di altri “maestri” quali l’anarchico tedesco Silvio Gesell, il pedagogista antroposofico austriaco Rudolf Steiner e il servo di Dio Julius K. Nyerere, padre fondatore della moderna Tanzania