«Ammetteteci al servizio parrocchiale». L’appello dei preti sposati di E.Cucuzza

Eletta Cucuzza
Adista Notizie n. 11 del 21/03/2015

I preti sposati riuniti nell’associazione “Vocatio” hanno scritto a papa Francesco. La lettera gli è stata inviata nel settembre scorso. Finora non hanno ricevuto risposta, come chiedevano, ma una indiretta conferma che la loro lettera sia finita nell’apposita cartellina del pontefice è loro giunta dall’incontro del papa con i preti sposati il 19 febbraio scorso (v. Adista Notizie n. 9/15). A seguito di ciò, i mittenti hanno deciso di renderla pubblica.

«Pensiamo di aver risposto ad una duplice vocazione, quella del presbiterato e quella del matrimonio», scrivono i firmatari, «convinti» che tra le due non ci sia conflittualità, tanto è vero che «molti di noi, quando è loro consentito, collaborano anche attivamente alla vita ecclesiale locale o diocesana». Se «i pastori devono sentire l’odore delle pecore», aggiungono riprendendo una famosa frase di Francesco, «molti vescovi non sentono più nel loro “gregge” l’“odore” di preti sposati. Molto spesso un vescovo cessa di essere vescovo di quel suo prete che si sposa e così succede che anche la Chiesa locale si dimentichi non solo di quel prete, ma della sua famiglia». Il sacerdote sposato e la moglie «spesso non sanno a chi rivolgersi per ottenere un aiuto concreto in un percorso che faccia chiarezza per entrambi», per scoprire «se il loro sia un vero amore» o «lo sbocco per vivere una sessualità che si avverte inibita o proibita».

Al papa i preti di “Vocatio” chiedono di «suggerire ai vescovi, nel rispetto delle tradizioni e delle “maturazioni locali”, di tenere in ogni diocesi un censimento dei preti che si sposano e di mantenere i contatti con loro in un dialogo fraterno», nonché di «incoraggiare e promuovere un movimento reciproco: preti e donne in crisi possono essere aiutati da famiglie di preti sposati e preti nel ministero possono utilmente confrontarsi con le famiglie del loro confratelli». «Ci sentiamo – è la chiusa della lettera – pietre vive di un edificio che vorremmo continuare a costruire con la stessa generosità ed il medesimo entusiasmo che ci ha spinto ad essere per i fratelli testimoni della Parola e del Pane della Vita».

Una seconda lettera i preti sposati l’hanno inviata, sempre lo scorso settembre, a tutti i vescovi italiani. In essa rilevano: «Ci sembra di cogliere una sostanziale indifferenza delle istituzioni nei confronti dei preti sposati», «lasciati in una sorta di limbo di emarginazione pastorale». Sarebbero invece «opportuni gesti di comunione ecclesiale fra i vescovi e i preti sposati e le loro spose», «incontri per guardarsi negli occhi con l’empatia di fratelli, discepoli dello stesso Maestro». Poiché per annunciare il Vangelo «la messe è molta e gli operai sono pochi», aggiungono riferendosi alla scarsità di vocazioni sacerdotali, «conviene confidare nella forza del seme da gettare a piene mani», «anziché limitare quell’annuncio, pensando alla difesa di leggi umane e storiche». «Per alcuni fra noi – scrivono infine – sono ancora aperte le ferite causate da vari comportamenti della gerarchia, ma altri sono disponibili a collaborare (alla luce del sole) alla crescita del Regno di Dio anche attraverso la sua Chiesa».

Di questa lettera e dell’apertura dimostrata da Bergoglio verso i preti sposati abbiamo parlato con Rosario Mocciaro, segretario nazionale di “Vocatio”, docente prima alla Sapienza e ora alla Nicolò Cusano di Psicologia dello sviluppo e membro della Comunità di Base di San Paolo di Roma. Di seguito l’intervista che ci ha rilasciato.

Francesco ha incontrato cinque preti sposati, che hanno assistito alla sua messa in Santa Marta il 19 febbraio scorso. Come leggi questo avvenimento: solo un gesto di misericordia, un gesto di umiltà evangelica nel solco di “chi sono io per giudicare”, o una intenzionale apertura verso una realtà ormai corposa e divisiva sulla quale non si può continuare a chiudere gli occhi?

Non so se si sia trattato di una scelta intenzionale. Comunque abbiamo avuto modo in questi mesi di percepire segnali di apertura verso la tematica del prete sposato. Non dimentichiamo che il papa è sudamericano e in Sudamerica questo problema è particolarmente sentito. So che Jeronimo Podestá, vescovo argentino sposato [v. Adista Documenti n. 61/11], anche dopo aver lasciato l’episcopato era solito incontrare il vescovo Bergoglio. E così la moglie, Clelia Luro. La quale, dopo la morte del marito, ha mantenuto i rapporti con l’allora vescovo di Buenos Aires e, per quanto ci risulta, tale comunicazione non si è interrotta neanche dopo l’elezione pontificia. Attualmente, nell’ambiente nuovo in cui si è venuto a trovare, a Bergoglio si presentano maggiori difficoltà nell’affrontare realtà di questo tipo, ma quello che ha detto è chiaro: il problema dei sacerdoti sposati «è nella mia agenda».

La riammissione dei preti sposati al servizio del ministero ordinato, come anche l’eventuale istituzione dei “viri probati”, implica necessariamente il cambiamento da celibato obbligatorio a celibato opzionale?

Come associazione “Vocatio” abbiamo sempre coltivato una disponibilità abbastanza ampia su questo tema. Evidentemente non in tutti gli ambienti ecclesiastici c’è disponibilità a sperimentare l’opzionalità piena del celibato cosi come avviene nella Chiesa cattolica di rito orientale. Sappiano bene che non si può travasare tout court l’esperienza di quella Chiesa in quella cattolico-romana. Ma va sottolineato che, da quando l’associazione “Vocatio” è nata, nel 1980, il terreno culturale che gravita intorno alla questione preti sposati è profondamente cambiato. Oggi nessuno si meraviglia se un prete sceglie la vita matrimoniale, nessuno lo equipara a “prete deviato”. Se si arrivasse alla soluzione della riammissione dei preti sposati al servizio sacramentale, noi saremmo ben felici. Come si evince dalle lettere che abbiamo inviato al papa e ai vescovi, noi, perlomeno fino a che la disciplina ecclesiastica del celibato sacerdotale obbligatorio rimane quella che è, ci apriamo ad una fase interlocutoria, di preparazione: chiediamo che i vescovi italiani, come già alcuni fanno, diano la possibilità anche al prete che sceglie di sposarsi di continuare ad offrire il proprio contributo attivo alla predicazione, alla riflessione teologica, anche alla vita sacramentale, sia pure non nella pienezza. Questo chiaramente potrebbe preparare il terreno alla piena equiparazione tra clero celibatario e clero non celibatario.

Cosa pensi dei “presbiteri di comunità”, ovvero ministri formati ed eletti dalla comunità di appartenenza e ordinati come presbiteri per presiedere l’eucarestia nella loro comunità, magari anche “a tempo” (come proposto dal vescovo emerito Lobinger, v. Adista Notizie nn. 40/14 e 9/15)?

Li vedrei molto positivamente. Intanto credo che un indirizzo di questo genere servirebbe a sburocratizzare il ministero del prete, perché non potrebbe prescindere dal rapporto tra il presbitero e la sua comunità che lo riconosce. Chiaramente la comunità può anche esercitare su di lui un controllo, che è piuttosto opportuno, perché c’è sempre una possibilità di errore. Siamo dunque favorevoli, lo abbiamo rimarcato in vari convegni.

Il papa ha detto ai vescovi e alle Conferenze episcopali di avanzare proposte sulle nuove forme di servizio alla comunità ecclesiale (v. Adista Notizie n. 16/14). Su di essi è forse il caso di fare pressione dalla base ecclesiale. “Vocatio” l’ha fatto con la lettera inviata a settembre a tutta la gerarchia della Chiesa italiana. Avete avuto risposte? E vi hanno garantito un impegno nel senso auspicato da Bergoglio?

Siamo stati spinti a rivolgerci ai vertici ecclesiali dalla constatazione che ci sono stati in questi ultimi anni alcuni interessanti esempi di aperture di fatto, e sottolineo, di fatto: alcuni vescovi hanno scelto di tenere in considerazione i preti sposati, per lo meno non vietando la collaborazione di alcuni di loro alla vita pastorale delle parrocchie. Non so se questi stessi vescovi siano in condizione di ufficializzare questo tipo di aperture, anche se, in questa direzione, voglio segnalare un eccezione: per diversi anni, nella diocesi di Sessa Aurunca, il nostro attuale presidente, Giovanni Monteasi, è stato responsabile della pastorale sociale, nominato dal vescovo che lo ha preferito a tanti altri preti. È un esempio tangibile del cammino in atto, per quanto lento possa essere. Le risposte ufficiali a questa nostra lettera da parte dei vescovi italiani si contano sulle dita di una mano, ma anche da queste si percepisce che pure in Italia c’è un processo in fieri. Che certamente stride con la censura da parte del quotidiano dei vescovi Avvenire sulla questione dei preti sposati posta al papa durante l’incontro con il clero romano [v. “Fuoritesto” in Adista Notizie n. 9/15]. Segno che, se da una parte c’è fermento, dall’altra una grossa porzione dell’episcopato italiano resiste ad accogliere il servizio dei preti sposati.

È in previsione un vostro incontro con i vertici della Cei?

La lettera che abbiamo inviato a tutti i vescovi l’abbiamo consegnata in copia al segretario della Cei, mons. Nunzio Galantino. Si conclude con la frase «confidiamo di poterci incontrare e confrontare fraternamente». Finora non abbiamo avuto risposta. Perciò stiamo valutando, alla luce dell’incontro storico – perché tale riteniamo sia stata la presenza dei preti sposati alla messa del papa – in Santa Marta, se non sia giunto il momento di tornare a chiedere un incontro diretto.

Uno dei segni di discriminazione nella Chiesa è la negazione del sacerdozio alle donne. Qual è il vostro punto di vista in merito e prevedete un cambiamento?

Il sacerdozio alle donne non è uno dei temi principali sui quali si è impegnata la nostra riflessione in questi anni, ma riteniamo che, in una Chiesa in cui siano riconosciuti a tutti i fedeli pari dignità e pari diritti, dovrebbe essere un’apertura possibile. L’accesso delle donne al ministero ordinato esiste in tante altre Chiese e comunità cristiane. Penso però che dovremo attendere ancora lungo tempo perché sia ammesso dalla Chiesa cattolica.

C’è chi si spinge più in là e dice che non è per il sacerdozio femminile che bisogna battersi, ma per l’abolizione dell’ordinazione sacerdotale, che non è sacramento istituito da Gesù, il quale non voleva sacerdoti, inesistenti d’altronde nei primi quattro secoli del cristianesimo (vedi la ricerca del teologo svizzero Herbert Haag nel suo libro “Da Gesù al sacerdozio”, pubblicato dalla Claudiana nel 2001, Adista n. 26/01). Sei di questo parere?

Ho già sottolineato il valore del rapporto tra presbitero e comunità. Chiaramente la funzione precipua del presbitero è quella di servire la comunità, non quella di essere mediatore di salvezza, ché mediatore è solo Cristo. Interpretare in maniera così gerarchica e burocratica il sacerdozio può portare taluni a dire che tale funzione sarebbe la negazione di fatto dell’uguaglianza fra tutti all’interno della comunità. Personalmente concentrerei il significato del sacerdozio sulla funzione ministeriale di servizio alla comunità: credo sia il fondamento principale della vocazione del prete.