La teoria del gender nel mirino dei nuovi crociati di L.Bianchi

Leonardo Bianchi
www.internazionale.it

Negli ultimi tempi la scuola è diventata il bersaglio preferito della propaganda dei movimenti ultracattolici. È nelle aule e tra i banchi che, secondo i nuovi crociati della famiglia, la potentissima lobby lesbica, gay, bisessuale e transgender (lgbt) starebbe cercando di inculcare nelle menti delle giovani generazioni la temibile “ideologia del gender”.

Sebbene non ci sia una definizione univoca, dal Vaticano in giù sono tutti concordi sul fatto che si tratti di qualcosa che sta corrodendo i pilastri della società. Recentemente perfino il papa è intervenuto sul tema, bollando la teoria del gender come una forma di colonizzazione ideologica non troppo lontana da quella operata dai totalitarismi del ventesimo secolo con i balilla o la gioventù hitleriana.

Per altri, invece, la teoria del gender è un gigantesco complotto in cui le Nazioni Unite, l’Unione europea e la sezione lgbt degli Illuminati tramano nell’ombra per legalizzare la pedofilia, somministrare “ormoni” ai bambini per farli diventare gay e – se resistono all’inevitabile – rinchiuderli in “campi di rieducazione”.

In Italia, uno dei veicoli utilizzati da questi spietati coloni sarebbe la “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, un progetto ministeriale adottato nel 2013 per recepire un programma del Consiglio d’Europa.

Nel 2014 questa strategia – affidata principalmente all’Ufficio nazionale antidiscriminazioni (Unar) – è stata sperimentata nelle scuole attraverso una serie di progetti, che hanno subìto una campagna di boicottaggio senza precedenti.

All’inizio del 2014 ha tenuto banco la questione dei libretti Unar, tre opuscoli divulgativi realizzati dall’istituto A.T. Beck e fatti ritirare a forza di attacchi della stampa cattolica e interventi a gamba tesa del solito cardinale Bagnasco, che non ha esitato a definire l’iniziativa come “una strategia persecutoria contro la famiglia” e “un attacco per destrutturare la persona e quindi destrutturare la società”.

Poco tempo dopo Lotta studentesca, associazione giovanile legata a Forza nuova, ha organizzato una manifestazione a Roma fuori del liceo Giulio Cesare con tanto di croci celtiche e striscioni che recitavano “Maschi selvatici/non checche isteriche” – perché alcuni insegnanti avevano deciso leggere in classe il romanzo di Melania Mazzucco Sei come sei, in cui si descrive una scena di sesso tra due ragazzi.

A novembre era scesa in campo la diocesi di Milano, che aveva chiesto agli insegnati di religione della zona di effettuare una sorta di schedatura delle scuole che si fossero macchiate dell’orribile peccato di parlare di omosessualità e identità di genere. All’incirca nello stesso periodo, il Forum delle associazioni familiari dell’Umbria aveva stilato un decalogo di “autodifesa” per combattere la teoria del gender.

Giusto per rendere l’idea del tono antisismico del documento, al punto sei si può leggere una cosa del genere: “Cosa fare se la scuola organizza lezioni o interventi sul gender per gli studenti: date l’allarme! Sentite tutti i genitori degli studenti coinvolti e convocate immediatamente una riunione informale, aperta anche agli insegnanti”.

Nei primi mesi del 2015 la propaganda ultracattolica è entrata trionfalmente nel settore dei video virali su internet. Alla fine di febbraio, infatti, il portale Notizie Provita ha pubblicato uno spot – o meglio: un sacrificio umano al dio del trash – per convincere gli infedeli a firmare una petizione contro la teoria del gender.

Ultimamente, invece, il fronte della guerriglia si è spostato verso un asilo di Trieste, finito “nella bufera” per aver adottato il Gioco del rispetto – Pari e dispari, un progetto educativo risalente al 2013 e al quale il comune ha aderito. Il “modo di giocare” proposto da questa iniziativa, scrive Il Piccolo, non è andato giù ad alcuni genitori, che “si sono rivolti ai coordinatori per chiedere spiegazioni”. Tra questi genitori indignati, sostiene l’articolo del quotidiano triestino, ci sarebbero “alcuni padri e madri che prendono parte alle iniziative delle Sentinelle in piedi”.

Ma cos’è realmente questo gioco del rispetto? Stando all’opuscolo informativo, il progetto mira a “verificare le conoscenze e le credenze di bambini e bambine su cosa significa essere maschi o femmine, a rilevare la presenza di stereotipi di genere e ad attuare un primo intervento che permetta loro di esplicitare e riorganizzare i loro pensieri”.

Il gioco del rispetto, come spiegato nel sito e altrove, è fondamentalmente un “kit didattico composto da una scatola di giochi”, al cui interno si trovano un racconto, delle schede e dei “disegni di papà casalinghi, di mamme idrauliche, di papà calciatori e di mamme calciatrici”. Nei giochi previsti dal kit c’è anche quello chiamato “Se fossi”, in cui si può chiedere ai bambini e alle bambine “di indossare dei costumi da carnevale, come strega o principessa o cavaliere”.

In un comunicato stampa del 5 marzo 2015, la vicesindaca di Trieste Fabiana Martini ha cercato di spiegare gli scopi del progetto:

Il Gioco del rispetto lavora per l’abbattimento di tutti quegli stereotipi sociali che imprigionano maschi e femmine in ruoli che nulla hanno a che vedere con la loro natura. Per esempio, si mette in discussione lo stereotipo per cui i padri debbano essere dediti soltanto al lavoro e possano dedicare solo pochi minuti al giorno ai loro figli, così come le madri non siano in grado di ricoprire posizioni di responsabilità all’interno delle aziende. L’obiettivo è quindi quello di riequilibrare quella disparità tra uomini e donne che tanti danni sta oggi creando alla nostra società.

Come prevedibile, però, la precisazione non è servita assolutamente a nulla – anche perché la macchina della disinformazione, senza farsi troppi scrupoli, aveva già cominciato a spargere allarmismo e a evocare l’apocalisse lgbt. A inaugurare la polemica ci ha pensato il settimanale della diocesi di Trieste, Vita Nuova, che ha pubblicato una serie di articoli di denuncia sul tema. In uno di questi, Il comune di Trieste spieghi questa pubblica vergogna, l’autore sostiene che tale “gioco” sia “presentato con finta trasparenza ai genitori, mediante generici avvisi affissi nelle bacheche” e lo definisce come una specie di sopruso: “I figli non si toccano, né fisicamente né emotivamente: questa che viene proposta è violenza”.

In un altro pezzo, Come sovvertire la realtà, il progetto educativo è paragonato a una specie di piano ordito dall’anticristo per trascinare il paese in un vortice di depravazione demoniaca:

S’insegna che è del tutto indifferente la distinzione maschile/femminile, che è del tutto normale contrastare le leggi della natura, che le medesime leggi non hanno nulla di oggettivo, che l’uomo può gestire a piacere la realtà, che non esiste una mala gestione che procurerà delle sofferenze, che non esiste una buona gestione che salverà l’uomo, che la realtà si esaurisce nella sfera soggettiva, che non esiste uno stato oggettivo delle cose e dei fatti, che il mondo è posto dunque a caso, secondo la regola del capriccio, del piccolo piacere immediato, del presente senza futuro, degli effetti senza le cause, dei risultati senza una logica.

Il fine ultimo, chiosa l’articolo, è piuttosto palese: “C’è il tentativo […] non tanto di insegnare il rispetto tra le persone, ma d’indurre la nota ‘ideologia del gender’, che prevede l’assoluta libertà di scegliersi il sesso a capriccio”. La sfera pruriginoso-sessuale irrompe definitivamente nel dibattito grazie a certa stampa nazionale e a certi politici particolarmente attivi sui social network.

L’angosciosa allerta è accompagnata da un articolo in cui si sostiene che il progetto – “una cretinata” – serve unicamente a “lavare i cervelli dei bambini” per farne “degli adulti progressisti in miniatura”.

Nell’articolo, inoltre, si tratteggia anche un’ipotetica “ora di pornografia” all’asilo con una descrizione che attinge a piene mani dai fotoromanzi anni settanta:

Immaginatevi una classe d’asilo, con i bambini che si auscultano, si esplorano, riconoscono le differenze genitali, così, spontaneamente, liberamente per imposizione didattica, con la maestra o il maestro che li guarda dall’alto della cattedra o sorveglia il ‘gioco’ sfilando tra i banchi, partecipando anche lui inevitabilmente all’esplorazione, e rispondete: questo è un gioco o una fantasia malata.

Per La Croce, la nuova avventura editoriale di Mario Adinolfi, quello che è successo a Trieste è invece la conferma che in Italia ormai vige la “dittatura del pensiero gender”, un nuovo tipo di totalitarismo che vuole “creare a tavolino una nuova razza che dovrà abitare nuove società, in un nuovo mondo” e muovere una “guerra aperta alla Creazione, al suo ordine naturale e alla distinzione antropologica tra maschio e femmina”.

In tutto ciò, naturalmente, non possono mancare gli immancabili status pazzeschi di Matteo Salvini, le tirate coatte del vicepresidente di CasaPound, Simone Di Stefano, e i blitz dei neofascisti di Forza nuova, che ancora una volta hanno salvato l’Italia cristiana mettendo un catenaccio sui cancelli della scuola.

Il punto è che, come ha specificato la vicesindaca di Trieste, il progetto non ha nulla a che fare con perversi “giochi del dottore”, esplorazioni genitali tra bambini e tentativi di “conversione” imposti dagli ayatollah omosessualisti:

Il Gioco del rispetto non affronta né i temi della sessualità, né quelli dell’affettività. Tra le proposte di gioco non ce n’è nessuna che riguardi l’educazione sessuale, né si toccano i temi dell’omosessualità, della corretta o non corretta composizione della famiglia.

Che i bambini non si “tocchino” maliziosamente lo conferma anche un genitore, che in una lettera inviata al sito Bora scrive:

Né io né gli altri genitori con i quali mi sono confrontato sulla questione riteniamo che le splendide insegnanti che curano i nostri figli con amore e professionalità […] debbano venire accusate di portare avanti un progetto ‘a sfondo sessuale’ che turba i bambini, quando questo non lo è.

Se si legge anche superficialmente il materiale, è davvero impossibile immaginarsi scene di bambini indifesi manovrati da criptopedofili di sinistra. Eppure, per gli ultras della tradizione è esattamente così.

Non si tratterebbe, insomma, di un progetto (che pure avrà i suoi limiti, come tutti gli altri) volto a “trasmettere il concetto dell’uguaglianza tra uomini e donne”, in un paese che in Europa è tra quelli che discrimina di più. No: saremmo di fronte all’inaccettabile sovversione dei valori immutabili della patria italica o, per usare ancora le parole di La Croce, un “laboratorio gender” che mira a “a operare una terribile sperimentazione sulla pelle dei piccoli: la società Frankenstein”.

Oltre alla violenza della campagna e al livello di strumentalizzazione, quello che colpisce nella vicenda dell’asilo di Trieste è anche, e soprattutto, l’insopportabile tono vittimistico che accompagna la polemica e contraddistingue l’intera propaganda integralista sul tema.

Ingigantendo a dismisura la pericolosità della teoria del gender, i movimenti cattolici e gli estremisti sono riusciti a trasformarsi in una maggioranza oppressa da nemici invincibili, da sobillatori infiltrati nelle scuole per corrompere i bambini e dalla Gestapo del “politicamente corretto” che gli vuole tappare la bocca. È così che chi solitamente discrimina diventa magicamente il discriminato, in un ribaltamento di ruoli e uno stravolgimento della realtà che ha il solito obiettivo: quello di cristalizzare lo status quo e stroncare qualsiasi cambiamento sociale.

Per arrivarci, la via più comoda è appunto quella di spacciarsi come vittime di oscure macchinazioni. Ma in tutto ciò, come ricorda Daniele Giglioli in Critica della vittima, non bisogna mai dimenticare che “l’ideologia vittimaria” è sempre “il primo travestimento delle ragioni dei forti”.

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Cara Prof, caro ministro Alfano, un giorno ricorderemo quando i gay non si potevano sposare, e diremo: come è successo?

Daria Bignardi
www.vanityfair.it

Scrivo da una piccola e bellissima città, Lubiana, in Slovenia, dove la scorsa settimana è stato approvato il matrimonio tra persone dello stesso sesso: basta superare il confine ormai, per sposarsi, e non è più una metafora.

Ma noi, quando lo supereremo questo confine? Mai, si direbbe, visto come siamo indietro. Mentre nel resto del mondo civile si sposa chi si vuole, da noi si esulta se il Tar dice no ad Alfano che aveva bloccato le trascrizioni, fatte dal Sindaco di Roma, dei matrimoni celebrati all’estero.

L’Italia è ancora il posto dove un professore di liceo può affiggere nella bacheca della scuola questo messaggio: «La natura ha stabilito di strutturare il corpo dell’uomo affinché si unisca a quello della donna. L’unica relazione in grado di generare la vita è quella tra uomo e donna e il matrimonio è il riconoscimento giuridico di questa relazione. Imporre l’uguaglianza di altri tipi di rapporto è una scelta priva di riscontro con la realtà».

È successo al Liceo Scientifico Leonardo da Vinci di Milano. «Imporre»? «Generare la vita»? «La natura ha deciso di strutturare il corpo»? Ma come parli? Io a questa professoressa i miei figli non li affiderei solo per come si esprime, non parliamo poi delle sue opinioni, che più che opinioni mi sembrano credenze.

Siamo indietro, molto indietro. Come ricorda Sebastiano Mauri ne Il giorno più felice della mia vita, siamo gli unici in Europa, insieme alla Grecia, a non avere una legge sui diritti delle coppie gay, eppure in tutto il mondo ormai ci sposa tra persone dello stesso sesso senza che questo metta minimamente in discussione la famiglia tradizionale, se questa è la preoccupazione degli oppositori.

La legge sui diritti civili sembrerebbe ora più vicina (stiamo a vedere, l’hanno promessa) ma il matrimonio è ancora un tabù, e lo sarà per un bel pezzo. Perché? Perché una persona omosessuale in Italia non puó nemmeno sognare che un giorno potrà sposarsi?

Perché siamo così arretrati? Ora il pilota automatico vuole che si dica: perchè siamo cattolici, perchè c’è il Vaticano. Ma sono cattolici anche in Spagna, dove il matrimonio è un diritto da anni!
«Pensavo che la scelta fosse tra amare una donna e un uomo, e bastasse che io, incurante dei miei desideri, continuassi a scegliere una donna. Poi ho capito invece che la scelta era tra l’essere felici e il fingere di esserlo», scrive Mauri, che nonostante fosse figlio di genitori progressisti e di sinistra ha capito a cinque anni di essere gay ma ha fatto coming out a trenta.

Ogni coppia ha il diritto di sposarsi, se lo desidera. È solo questione di tempo e accadrà, persino da noi, perché è naturale e inevitabile che accada. Poi ci chiederemo – noi magari saremo morti, o rincoglioniti, e se lo chiederanno i nostri figli, e ci faranno dei film – come è stato possibile che un tempo fossero negati diritti tanto elementari, come facciamo se ricordiamo i tempi in cui le donne o i neri non potevano votare.

«È assurdo che sia potuto accadere», penseremo: come è stato possibile che qualcuno potesse anche solo immaginare di negare un simile diritto a qualcuno perché donna o nero? Eh già. Come è possibile?