Questioni di genere di P.Greco

Pietro Greco
Rocca n°8/2015

Se esiste o meno una «teoria del gender» (un’ideologia di genere) è questione molto controversa. Una cosa è certa: non esiste alcuna «teoria scientifica del gender». Esistono invece – da almeno sessant’anni – dei «gender studies», degli «studi di genere»: ovvero, degli studi interdisciplinari sulla «identità di genere» e sulla «rappresentazione di genere» che, quasi sempre, si sovrappongono agli studi sulla sessualità. I «gender studies» riguardano l’analisi scientifica della identità e della rappresentazione di genere, ma anche della sessualità, femminile, maschile e Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender).

Non è facile ricostruire l’origine di questi studi. Qualcuno la fa risalire a Sigmund Freud e qualcun altro alle critiche alla teoria psicoanalitica dell’austriaco (per esempio quelle di Jacques Lacan). C’è chi li considera nati in ambito filosofico, con la pubblicazione nel 1949 da parte di Simone de Beauvoir di Le Deuxième Sexe (Il secondo sesso), libro in cui l’esistenzialista francese sostiene: «Donna non si nasce, donna si diventa».

C’è chi ne attribuisce la nascita allo psicologo e sessuologo John William Money che nel 1955 definì una distinzione tra sesso biologico e ruolo di genere, introducendo la parola «gender» (genere, appunto) nell’ambito della psicologia e della sociologia. La difficoltà a definirne l’origine (ovvero, la pluralità delle origini) non è casuale.

Gli «studi di genere» sono, infatti, molto eterogenei. Talvolta si intrecciano, ma spesso corrono in parallelo senza incontrarsi. Cosicché, come abbiamo detto, non c’è alcuna teoria scientifica unificante. Tuttavia c’è un generale accordo a considerare i complessi comportamenti che, in modo diretto o indiretto, afferiscono alla sfera sessuale come il frutto di almeno quattro dimensioni diverse, anche se non del tutto indipendenti e a loro volta complessi: il sesso biologico, l’identità di genere, il ruolo di genere, l’orientamento sessuale.

Il sesso biologico

In passato era (relativamente) semplice distinguere l’umanità in due sessi ben definiti: il femminile e il maschile. Le evidenze erano (e sono) macroscopiche: date come erano (e come sono) dagli organi sessuali. Certo, la natura presenta delle ambiguità. Ci sono specie animali in cui i due sessi sono confusi. E, sia pure raramente, anche tra gli Homo sapiens c’è qualche ambiguità. Non a caso tra i personaggi della mitologia greca c’è un figlio di Ermes e di Afrodite, Ermafrodito, che manifesta genitali sia maschili che femminili.

Oggi la differenza tra i due sessi è confermata a livello molecolare: sono femmine gli individui che hanno due cromosomi X e sono maschi coloro che hanno un cromosoma Y e uno X. Qualcuno potrebbe far assurgere questa a prova assoluta dell’esistenza di due e due soli sessi. La coppia di cromosomi sessuali è l’essenza della diversità sessuale. Ma la natura si fa talvolta beffe delle nostre attitudini tassonomiche. Malgrado la chiarezza del linguaggio cromosomico – XX, femmina; XY, maschio – la manifestazione degli organi sessuali non solo copre uno spettro molto ampio per forme e grandezza ma anche per le qualità considerate essenziali.

Insomma, non sempre è facile attribuire univocamente le caratteristiche di un individuo a uno e a uno solo dei due sessi. Si calcola che circa il 2% degli umani hanno caratteri, più o meno essenziali, di entrambi i sessi. Lo spettro va da qualità considerate secondarie (maschi senza peli e femmine coi peli) a caratteri considerati primari. In questo secondo caso si parla di ermafroditismo.

Un tema che afferisce alla biologia è quello dei determinanti genetici dell’omosessualità. Si nasce omosessuali o lo si diventa? Il tema è controverso. Perché non ci sono prove definitive dell’esistenza di geni dell’omosessualità. È probabile, tuttavia, che ci sia una componente genetica che predispone all’omosessualità, che si attiva solo in presenza di altri cofattori, di natura ambientale e culturale. Insomma, già a livello biologico la natura umana (e non solo umana) manifesta una dose non banale di ambiguità. Forse non è un caso. In natura l’ambiguità e la diversità sono quasi sempre fattori positivi, selezionati nel corso dell’evoluzione per meglio sopravvivere ai cambiamenti ambientali.

L’identità di genere

Gli studi di genere concordano con il senso comune: si può appartenere a un certo sesso e «sentirsi» dell’altro sesso. Ci sono persone con un corpo maschile che si sentono femmine e viceversa. L’identità di genere è una percezione e attiene, dunque, alla sfera psicologica. Ciò non toglie che l’identità di genere ha (può avere) sia determinanti biologici sia determinanti sociali. L’intreccio di questi fattori non è mai deterministico.

Come dimostra la storia che ha avuto come co-protagonista John William Money e come protagonista David Reimer. David era nato maschio a Winnipeg in Canada. Ma, per una circoncisione mal riuscita, aveva perso il suo pene. L’idea che bastasse solo la presenza dell’organo genitale maschile a definire l’identità maschile portò la famiglia e i medici a creare, nel corpo di David, un simulacro di organo genitale femminile. Money poi, psicologo e sessuologo, lavorò per «convincerlo» a «sentirsi» donna. Ma più tardi un altro sessuologo, Milton Diamond, capì che David non si sentiva affatto femmina. E così il ragazzo, all’età di 15 anni, riprese a percepirsi come un maschio.

L’epilogo della vicenda – David morto suicida nel 2004, all’età di 39 anni – dimostra quanto complesso e drammatico sia il rapporto tra soma e psiche. Naturalmente ci sono molti altri casi in cui l’identità di genere si è trovata (e si trova) a confliggere con quella biologica e con il ruolo di genere: ovvero con quello che gli altri si aspettano da te.

Il ruolo di genere

Il ruolo di genere è, appunto, una costruzione sociale. Ti comporti come gli altri si aspettino che tu faccia. Ti comporti da maschio perché, avendo i caratteri maschili prevalenti, la gente si aspetta che tu ti comporti da maschio, anche se tu ti senti femmina. E viceversa. O, al contrario, reagisci al «ruolo di genere» che ti viene affibbiato e, non senza ostacoli e sofferenze, affermi la tua «identità di genere».

Il ruolo di genere, manco a dirlo, afferisce alla dimensione sociologica della persona. Ma non bisogna certo trascurare i determinanti biologici e psicologici. Nel ruolo di genere ricadono gli stereotipi di genere: del tipo il maschio è cacciatore e la femmina gli è sottomessa. Il ruolo di genere è così forte che spesso determina l’identità di genere.

Si forza se stessi, ci si «sente» di un sesso quando gli altri se lo aspettano da te e ci si comporta come gli altri si aspettano da te. Ecco perché Simone de Beauvoir diceva che «donna non si nasce, ma si diventa».

L’orientamento sessuale

Tutte le persone hanno (o non hanno) attrazione e affetto e amore per altre persone. Se questo orientamento è verso persone dell’altro sesso, è di tipo eterosessuale. Se è verso persone del medesimo sesso, è di tipo omosessuale. Se è per persone di entrambi i sessi, è bisessuale. C’è infine un orientamento che non prevede attrazione e/o amore per nessuno.

Alla luce di quanto abbiamo detto, l’orientamento sessuale può corrispondere o meno al sesso biologico, all’identità di genere e al ruolo di genere. E tutto questo con o senza stress e persino sofferenza. Gli «studi di genere» non danno giudizi morali. Non definiscono ciò che è «secondo» o «contro» natura.

La buona scienza aiuta gli uomini, non li giudica: di qualsiasi sesso biologico, identità di genere, ruolo di genere e orientamento sessuale. I giudizi morali afferiscono a un’altra dimensione non a quella strettamente scientifica. Per giudizi morali, vale quanto ha detto papa Francesco: chi sono io, per giudicare?