Bergoglio e le donne, ovvero la trave e la pagliuzza di C.M.Calamani

Cecilia M. Calamani
www.cronachelaiche.it

«La disparità tra i sessi è un puro scandalo». La scoperta dell’acqua calda da parte del papa rimbalza sui media e apre il dibattito politico e sindacale sulla disuguaglianza dei trattamenti salariali tra uomini e donne. E mentre i giornalisti si affannano a tirare fuori dal cassetto statistiche, percentuali e studi sociali in appassionati dibattiti televisivi e radiofonici in nome del papa, nessuno nota che a pronunciare l’ovvio è un capo di Stato e nel contempo rappresentante di una religione che alle donne riserva un trattamento ben peggiore della disparità salariale: semplicemente non le fa “lavorare”, laddove per lavoro, nella Chiesa, si intende l’accesso agli ordini sacerdotali e quindi al sistema istituzionale che la governa. Ma le umili suore, relegate al ruolo di serve dei loro colleghi uomini, sono escluse dalla denuncia sociale del papa.

Qualunque assunto, per quanto corretto, andrebbe valutato nel suo contesto. Bergoglio che si scaglia contro la discriminazione delle donne è un po’ come Salvini che condanna il razzismo. Salvo il nobile contenuto di entrambe le affermazioni, la fonte, in entrambi i casi, ne denuncia la falsità. Il Catechismo della Chiesa cattolica si pronuncia sul “lavoro” delle donne in modo chiaro: «Il Signore Gesù ha scelto uomini per formare il collegio dei dodici Apostoli, e gli Apostoli hanno fatto lo stesso quando hanno scelto i collaboratori che sarebbero loro succeduti nel ministero […] La Chiesa si riconosce vincolata da questa scelta fatta dal Signore stesso. Per questo motivo l’ordinazione delle donne non è possibile» (art. VI, Il sacramento dell’ordine).

La Chiesa potrà condannare la disparità tra i sessi solo quando modificherà la sua dottrina misogina. Fino ad allora, qualunque esternazione dei suoi ministri ha il sapore della beffa.