“Ideologia gender”: dal mondo cattolico due voci fuori dal coro di I.Colanicchia

Ingrid Colanicchia
Adista Notizie n° 28 del 01/08/2015

È da qualche anno che la dicitura “ideologia gender” ha fatto la sua comparsa nell’agenda della Chiesa. Già nel discorso prenatalizio alla Curia del dicembre 2012 papa Ratzinger si era scagliato contro quella che definiva una «nuova filosofia della sessualità» mettendo in guardia dalla «profonda erroneità di questa teoria». E se per mesi dopo l’elezione al soglio pontificio il suo successore non ha preso parola sull’argomento, a partire dal gennaio di quest’anno – quando in occasione del colloquio con i giornalisti sul volo di ritorno dalle Filippine ha affrontato per la prima volta la questione in modo esplicito – papa Francesco è tornato spesso e volentieri a stigmatizzare presunte “colonizzazioni ideologiche” della famiglia e derivati.

Di certo ne saranno ben contenti tutti quei movimenti e associazioni del mondo ecclesiale che della lotta alla cosiddetta “ideologia gender” sembrano aver fatto la loro unica ragione di vita. Basti pensare che, in occasione del Family Day dello scorso 20 giugno, il fondatore del Cammino Neocatecumenale, Kiko Argüello, dal palco si è sentito libero di affermare: «Il Santo Padre sta con noi». A dimostrazione però che la Chiesa non è un monolite e che sulla questione ci sono posizioni molto diverse in seno alla comunità, stanno almeno due significative prese di posizione di queste settimane.

«Il rispetto delle differenze ci rende migliori»

Prima di tutto quella delle religiose comboniane, che il 9 luglio scorso, dalle pagine del loro mensile, Combonifem, sono intervenute sulla questione tentando di fare un po’ di chiarezza. «La questione sul genere ci accompagna sin dalla nascita – esordiscono – dal fiocco rosa o azzurro che mamma e papà sono soliti appendere alla porta per annunciare il lieto evento. Poi, accanto alle prime tutine, a differenziarci per bene arrivano i giocattoli: bamboline per lei, macchinette per lui; cucinetta e pentolini per lei, costruzioni e meccano per lui». «Spesso – proseguono – questa schematizzazione delle attività femminili e maschili è riportata anche nei libri della scuola primaria, certo quelli più datati, ma pare ancora in uso in diversi istituti, di certo lo è nella pubblicità, dove è mamma quella che porta in tavola le pietanze e dove i pannolini sono diversi per lei e lui e non solo perché i bimbi sono fisicamente differenti, ma perché già da piccini vengono differenziati nelle ambizioni. Insomma – proseguono – la questione di genere ci circonda in ogni momento della vita. Il genere sì, ma il gender? Cos’è questa “benedetta” teoria del gender, pericolosissima per i nostri bambini e bambine, insidiosa nei programmi scolastici tanto da far parlare alcuni di “un’emergenza educativa” che minaccia di diffondere l’omosessualità tra i banchi (ammesso poi che possa esser contagiosa…)?», si chiedono le comboniane. «Nel grande calderone gender ci si mette dentro un po’ di tutto, in particolare ciò che ha a che fare con la sessualità. Perché pare essere proprio questo il tema che fa “paura”, che non si vorrebbe affrontare con i più piccoli, salvo poi ritrovarsi davanti a gravi distorsioni dei rapporti tra i generi, alla non accettazione e discriminazione delle diversità da quel che “così è per natura”. Come se l’educazione affettiva e sessuale si possa (o si debba) ritardare o peggio boicottare». «C’è tanto davvero su questo tema del gender – proseguono – ma, fortunatamente, viviamo in un tempo in cui le informazioni sono facilmente accessibili. Per cui vi invitiamo a non fermarvi al sentito dire, a non sposare acriticamente quel che si dice, ma a leggere e affrontare (non sempre ahinoi è possibile) un sereno dibattito, forti delle fonti d’informazioni che esistono e del fatto che, oramai è dimostrato, le politiche educative attente al genere sono un’arma per combattere le diseguaglianze. Mai come in questo tempo ne abbiamo bisogno. Il rispetto per le differenze, la conoscenza di queste, al di là di stereotipi e paure – è la loro conclusione – può solo renderci una società migliore».

Appello a un dialogo fecondo

Del 16 luglio scorso è invece la lettera aperta delle Sante Lucie, un gruppo di donne di Parma, tutte a vario titolo impegnate nella vita della Chiesa diocesana, che hanno deciso di rivolgersi direttamente ai/alle responsabili di associazioni e movimenti cattolici locali per invitarli al dialogo. «Ci siamo trovate la prima volta nel 2013 per rispondere alle domande del Questionario in vista del Sinodo; era il 13 dicembre, e da qui è nato il nome del gruppo. In questi mesi – spiegano ai destinatari della loro missiva – ci siamo confrontate sui temi del genere a partire dalle nostre diverse prospettive e competenze, e abbiamo sentito la necessità di condividere con voi alcune riflessioni».

«Ci rivolgiamo a voi – esordiscono – condividendo la stessa fede e il medesimo desiderio di essere al servizio della società umana, per esprimere la nostra preoccupazione riguardo ai metodi e ai toni che ha assunto il dibattito sulla questione della cosiddetta “ideologia gender”». «Quotidiani e periodici cattolici, membri della gerarchia ecclesiastica, laici e religiosi appaiono impegnati in una battaglia contro un “terribile nemico” che sarebbe appunto l’ideologia gender sostenuta da potenti lobby. Non intendiamo entrare in questa sede nel merito delle tante e diversissime questioni che vengono sollevate sull’argomento», scrivono, spiegando che quel che interessa loro sono soprattutto il metodo e il linguaggio usati in questa “battaglia” che, proseguono, «non ci trovano d’accordo per diversi motivi». Prima di tutto «la logica “amico/nemico” sta alla base della violenza e noi la rifiutiamo decisamente. Crediamo che si possa esprimere il più netto dissenso sulle idee senza per questo demonizzare o descrivere in modo caricaturale chi le sostiene, e che si debbano riferire correttamente le posizioni a cui ci si oppone: un’attenzione spesso disattesa in molti interventi che abbiamo letto e ascoltato in questi mesi».

Spesso poi, proseguono le Sante Lucie, «si confondono i piani al punto che non si capisce più di che cosa si sta discutendo: un conto è discutere del ddl “Scalfarotto” il cui intento dichiarato è combattere le discriminazioni contro le persone omosessuali, o del ddl “Cirinnà”, altro è discutere del gender in filosofia, altro ancora ragionare di gender studies; un conto è parlare degli “Standard dell’OMS per l’Educazione Sessuale in Europa”, altro è confrontarsi con chi ritiene che sia rovinoso per la famiglia mettere in discussione i tradizionali ruoli maschili e femminili e impegnarsi nella decostruzione degli stereotipi». «Abbiamo notato anche che spesso si evocano documenti normativi, additandoli come pericolosi, senza citarli in modo corretto, a volte addirittura falsificandoli, a volte estrapolando le frasi dal loro contesto. Basti qui pensare, oltre alla campagna contro i già citati Standard OMS, alle polemiche prima sul ddl “Fedeli” e ora sul comma 16 dell’art. 1 della legge 107 del 13 luglio 2015 (“Buona scuola”), che non ha altra finalità se non quella di promuovere il principio di pari opportunità e di prevenire e contrastare ogni forma di discriminazione e di violenza basata sul sesso e sull’orientamento sessuale: si tratta di un’applicazione degli art. 3 e 51 della Costituzione e quindi stupiscono la contrarietà con cui è stato accolto e le interpretazioni distorte di cui è stato oggetto».

Riguardo a tutti i temi che vengono evocati quando si parla di “ideologia gender”, proseguono, «ci sono, crediamo legittimamente, pareri diversi tra persone e gruppi che pure hanno la stessa fede cattolica, sia nel merito che nel metodo individuato per intervenire nel dibattito in corso nella società civile. Le posizioni e i linguaggi espressi nella manifestazione svoltasi il 20 giugno a Roma, per esempio, non erano rappresentativi dell’intero mondo cattolico, e diverse associazioni ecclesiali hanno deciso di non prendervi parte. Tuttavia – scrivono ancora – anche al netto di una certa malafede per esigenze di “audience”, qualcosa nella comunicazione di questo pluralismo non deve aver funzionato, se i mass media hanno spesso sintetizzato, e continuano a farlo, con titoli come “Cattolici in piazza contro…”».

L’appello del gruppo è quindi a far sì che «la ricerca e l’impegno su questi temi si sviluppino nel rispetto del pluralismo intra-ecclesiale e basandosi su un’informazione ampia, corretta e verificata. In mancanza di questo – concludono – ci pare che sia molto difficile, sia all’interno della Chiesa che nel rapporto con altri soggetti culturali e religiosi, istruire un confronto e un dialogo che assumano la complessità e siano realmente ponderati e costruttivi».