Uomini che odiano le donne (ma ammazzano gli uomini) di CM.Calamani

Cecilia M. Calamani
www.cronachelaiche.it

Il brutale assassinio di Ismaele, il diciasettenne sgozzato per presunte avances alla ragazza di un suo “amico”, apre una questione di cui non si preoccupano né i media, che da copione estivo non lesinano i dettagli più truci, né i sedicenti gruppi femministi, sempre pronti a stracciarsi le vesti per un centimetro di pelle scoperto nei cartelloni pubblicitari.
La questione è la seguente: c’è bisogno che venga uccisa una donna per urlare al “femminicidio”? Se ci si ferma alla forma lessicale dell’orrido neologismo che indica, appunto, l’omicidio di una donna in quanto tale, la risposta non può che essere affermativa, ma forse bisogna andare un po’ oltre. Ismaele è vittima della stessa mentalità maschilista e violenta che condanna a morte più di un centinaio di donne ogni anno, colpevoli di non voler essere oggetti di proprietà del marito/compagno/fidanzato di turno. Nel caso in questione, a ben guardare, non c’è nulla di diverso se non il sesso della vittima. Ismaele, ci riferisce doviziosamente la stampa nostrana, avrebbe osato avvicinarsi alla ragazza del suo aguzzino, firmando la sua condanna a morte. Un movente mostruoso ma non dissimile da quello dei tanti casi omologhi di omicidio di una donna “per amore”, come titolano spesso i nostri quotidiani, dimenticando che amore e orrore sono due termini antitetici.

In questo agghiacciante sottobosco culturale che ancora vuole, nel 2015, l’appartenenza di un essere umano a un altro pena la violenza più brutale, spicca la voce di Ambera, la ragazza di Igli, l’assassino reo confesso: «Lo amo, lo aspetterò per sempre, ha ucciso per me». No, Igli non ha ucciso per lei ma contro di lei, contro la sua libertà di vivere e di scegliere. Nonostante ciò lei lo promuove da vile carnefice a eroe romantico, condannando se stessa a una trappola di possesso maniacale e perverso che mette in pericolo la sua vita e quella di chi incautamente le si avvicina. E mentre questo messaggio riabilita tragicamente il delitto d’onore e ribalta ogni logica di liberazione femminile, l’omicidio dell’adolescente rimane confinato alla cronaca nera. Già, Ismaele era un ragazzo, un maschio.

Intanto gli italiani brava gente sono troppo occupati a discettare di una fantomatica “educazione gender” per capire che è proprio l’Istruzione lo snodo centrale su cui intervenire per evitare che una donna sia ancora considerata oggetto di proprietà alla stregua di un’automobile e che un gay sia massacrato di botte perché gli piacciono i maschi e non le femmine. Solo lì, tra i banchi di scuola, si può combattere lo stereotipo duro a morire del maschilismo patriarcale, insegnare il rispetto e l’inviolabilità delle scelte individuali in campo sessuale e affettivo. E mentre a 17 anni ancora si muore per questo, ci tocca sentire attoniti le sterili diatribe tra chi declama che questi argomenti renderebbero automaticamente pervertiti i nostri figli e chi quasi scusandosi assicura che no, nessuna “educazione al genere” verrà mai introdotta nella scuola italiana.

Ebbene, quando costoro faranno la consueta conta annuale delle donne ammazzate da uomini malati di possesso, accanto a Francesca, Giovanna, Laura e le altre scrivessero anche Ismaele. E magari spiegassero ad Ambera che il nome sarebbe potuto essere il suo.