Francesco e l’Altrachiesa – le risposte di Marcello Vigli

Marcello Vigli, cdb di SanPaolo –Roma
Otto domande di “Micromega” pubblicate sul numero dedicato a papa Francesco del settembre 2015

1) Il papa si è proposto di rinnovare profondamente gli assetti di potere finanziari e della curia. Su un fronte come sull’altro però, nonostante parecchi segnali di “buona volontà”, ancora non sembra vi siano stati cambiamenti davvero rilevanti. Come valuta l’azione di questo pontefice nell’intervenire concretamente, nelle nomine come nelle riforme, sulle contraddizioni che ancora caratterizzano la struttura ecclesiastica?

Gli interventi del papa sugli assetti della Curia sono stati e sono coerenti con la sua convinzione di dovere essere papa per tutta la Comunità ecclesiale e non solo per la sua componente progressista. In questa prospettiva leggo il suo tentativo di promuovere un allentamento del centralismo autoritario della Santa Sede e di rimuovere le malversazioni negli uffici finanziari e le inefficienze delle Congregazioni. Per riorganizzare il sistema finanziario ha rinnovato e ridimensionato lo Ior e unificato le altre strutture finanziarie, senza riuscire a semplificare le procedure. La Santa Sede resta una potenza finanziaria, anche se più coerente con la sua finalità. Solo nel tempo sarà possibile valutare se ha ottenuto che non sia più soggetto di speculazioni, scandali, frodi, riciclaggio. Per la riforma della Curia ha come obiettivo strategico di rendere effettiva la collegialità. Intesa quale strumento del decentramento dell’autorità papale, essa promuove: con il Sinodo dei vescovi, in quanto espressione dell’episcopato mondiale, un soggetto dotato di poteri e competenze proprie, e, con il rafforzamento delle Conferenze episcopali locali, centri di reale autonomia.
Sulla possibilità che il nuovo soggetto promuova nel breve tempo un rinnovamento adeguato, non lasciano ben sperare né gli orientamenti prevalenti fra i vescovi in gran parte selezionati da papa Wojtyla, né le resistenze della Curia in difesa dell’attuale struttura, funzionale all’esercizio di un potere assoluto e non intaccata sostanzialmente dalle riforme di Paolo VI e Giovanni Paolo II, né la discrezione con cui papa Francesco procede alle nuove nomine, in contrasto con la severità e l’intransigenza con cui fustiga corrotti e carrieristi.

2) Molti teologi, intellettuali, preti e religiosi della chiesa conciliare e progressista hanno recentemente firmato un appello per difendere il papa dagli attacchi mossi a loro avviso da autorevoli esponenti e poteri della conservazione che agiscono contro Francesco a livello ecclesiale come nella sfera mondana. Se è vero che lo stile di Francesco risulta indigesto al settore più tradizionalista delle gerarchie, non sarebbe tuttavia un atto di coerenza da parte di questo papa la riabilitazione di tutti coloro che hanno variamente subito la censura, l’emarginazione, addirittura la sanzione canonica da parte della chiesa, sotto i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI?

La richiesta avanzata nell’appello oltre che legittima è opportuna perché rivela la presenza nella Chiesa di una forte domanda di cambiamento, ma, a mio avviso, è anche segno di saggia prudenza non aver accolto la proposta in esso contenuta. La riabilitazione richiesta sarebbe certo un atto di coerenza, ma offrirebbe agli autorevoli esponenti e poteri della conservazione motivo per indicarla come segno ulteriore della discontinuità del papato di Francesco da quello dei suoi predecessori, che hanno comminato le sanzioni. Un segno che papa Francesco intende pur dare, come ha dimostrato con la beatificazione di monsignor Romero, evitando, però, di darlo su questioni di “dottrina” sulle quali la comunità ecclesiale è, in generale, meno disponibile al cambiamento. Non a caso i cinque cardinali Muller, Caffarra, Burke, Brandmuller e Velasio di Paolis, per ottenere consensi al loro disaccordo nei suoi confronti, hanno intitolato un libro che critica il suo operato con un vero grido di battaglia : “Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella Chiesa cattolica”.

3) Il sinodo non si è finora espresso su nessuna delle questioni cruciali che riguardano la famiglia, i divorziati risposati, le unioni gay. Ed è evidente che le resistenze al rinnovamento che si sono manifestate in modo talvolta maggioritario nella prima fase, giocheranno un ruolo di freno anche nella seconda. Non ritiene che il papa potrebbe (analogamente a quanto fece Paolo VI con l’Humanae vitae ma in evidente diversa direzione) esprimersi attraverso un’enciclica su tematiche che sono ormai divenute di prepotente urgenza?

Senza dubbio il papa potrebbe farlo, ma con quale risultato? Se ignorasse l’orientamento dei vescovi costituenti il prossimo Sinodo che, a quanto rivela una prima ricognizione di quelli designati dalle conferenze episcopali, sembrano in maggioranza indisponibili ad abbandonare le posizioni tradizionali, sconfesserebbe proprio quella sinodalità che costituisce il fondamento della sua proposta di riforma. E’ probabile pertanto che cerchi una via mediana fra i due estremismi da lui stesso condannati nel suo intervento conclusivo alla precedente sessione del Sinodo quando, pur respingendo le tesi degli aperturisti, non ha sposato quelle dei tradizionalisti. Da allora è intervenuto decine di volte su aborto, divorzio e omosessualità, parlando da “figlio della Chiesa” fedele alla tradizione e in linea con i suoi predecessori, senza dire una parola a sostegno, ma neppure di condanna, delle “aperture” reclamate dai novatori. Non ignora certo che queste, in parte, sono già attuate nella comunità ecclesiale, con il diffondesi della prassi di assolvere e ammettere alla comunione i divorziati risposati, e che hanno trovato giustificazione in due documenti divulgati proprio in questi giorni dagli episcopati tedesco e svizzero, a commento delle risposte date dai fedeli al questionario sull’argomento proposto dalla Santa Sede in preparazione della prossima sessione del Sinodo. Soprattutto ha piena consapevolezza della sfida lanciata alla gerarchia dal successo del referendum che nell’Irlanda cattolica ha restituito piena cittadinanza agli omosessuali.

4) La lotta alle posizioni di rendita e ai privilegi ecclesiastici, che Francesco ha con diverse dichiarazioni mostrato di voler fare propria, non dovrebbe accompagnarsi ad atti concreti, come la rinuncia ad alcuni degli innumerevoli privilegi concordatari di cui godono la chiesa ed il Vaticano nel nostro Paese? Ad esempio l’8 per mille, l’esenzione o la riduzione di alcune tassazioni, le rendite che derivano dalle speculazioni immobiliari (specie nell’emergenza abitativa e in quella dell’accoglienza di senzatetto e migranti che caratterizzano la nostra epoca)…

Indubbiamente la costante riaffermazione della povertà come attributo primo della Chiesa dovrebbe avere, come ovvio corollario, non solo la fine dell’uso speculativo delle sue proprietà immobiliari, ma anche la rinuncia alle esenzioni concesse alla Santa Sede con il Trattato del 1929, che chiuse la Questione romana, e ai finanziamenti di cui gode la Chiesa italiana per il Concordato del 1984.
La prime sono inerenti all’esistenza stessa della Santa Sede come Stato sovrano, gli altri, invece sostengono strutture e attività che in molti altri Paesi sono autofinanziate. La Conferenza episcopale, destinataria dell’otto per mille, è contraria a rinunciare a questo ed altri finanziamenti statali e locali. Per sostituirli, infatti, non è in grado di ottenere dai fedeli un sufficiente autofinanziamento. Lo si può arguire dal divario fra quanti di loro destinano l’otto per mille, tratto dal bilancio dello Stato, alla chiesa cattolica e quanti, in percentuale irrisoria, utilizzano la contribuzione diretta, a loro carico pur favorita dall’esenzione fiscale, prevista dalla stessa legge 222/1985.

5) Rispetto al ruolo dei laici e della donne nella chiesa, in cosa vede visibili e reali cambiamenti nell’azione di questo pontificato? E’ possibile che il sacerdozio femminile resti un tabù, un rifiuto catafratto proprio mentre la chiesa anglicana, la meno distante da quella cattolica tra le Chiese riformate, ha consacrato una donna addirittura vescovo?

Nella predicazione e nei documenti di papa Francesco, il ruolo della donna nella chiesa e nella società è ampiamente rivalutato. La recente denuncia dello scandalo costituito dalla minore retribuzione, offerta alle donne a parità di prestazioni, ne è un esempio. Non c’è, invece, nessuna concessione alla richiesta, minoritaria ma diffusa nella comunità ecclesiale, di conferire loro il sacerdozio. Tale rivendicazione mantiene quindi tutto il suo valore di proposta radicale ed eversiva. C’è però da chiedersi se sarebbe veramente innovativa la presenza della donna nelle file del clero, se questo resta un corpo separato nella comunità ecclesiale. Il carattere autoritario dell’attuale struttura ecclesiastica, fondato su una rigida divisione del Popolo di Dio in pecore e pastori sarebbe, infatti, rafforzato se a questi si aggiungessero le “pastore”.

6) Come valuta l’episodio avvenuto alcuni mesi fa sotto questo pontificato della scomunica di Martha Heizer, presidente di Noi Siamo Chiesa internazionale ed Ehemann Gert, suo marito, per aver celebrato l’eucarestia nella propria casa, assieme alla loro comunità ma senza la presenza di un prete? Non sarebbe stato opportuno che il papa che predica una chiesa aperta, tollerante, inclusiva, fermasse questo provvedimento, anche in considerazione del fatto che Noi Siamo Chiesa è in prima fila in molti paesi del mondo su temi “spinosi” ed attuali come il celibato presbiterale, il sacerdozio femminile, la collegialità, i divorziati risposati, i gay, la povertà, il contrasto alla pedofilia tra il clero?

A distanza di un anno l’episodio appare notevolmente ridimensionato come fatto interno alla chiesa austriaca. Solo incidentalmente ha coinvolto il Movimento Noi Siamo Chiesa, che, infatti, pur esprimendo e ottenendo solidarietà per la sua Presidente, non ne ha fatto motivo di mobilitazione. Pur nota da tempo la celebrazione domestica dell’eucarestia organizzata da Martha Heizer e da suo marito è stata oggetto del provvedimento del Sant’Uffizio su segnalazione del vescovo di Innsbruck perché essi avevano accettato la presenza della televisione. Normale quindi l’intervento repressivo, valido il respingerlo da parte degli interessati, misurata la reazione di Noi Siamo Chiesa, comprensibile il silenzio del papa. I suoi interventi sono commisurati alla sensibilità di un miliardo di fedeli, non all’onorabilità ecclesiale di Noi Siamo Chiesa, che, per di più, sulle questioni spinose proposte all’esame del Sinodo ha orientamenti ben lontani dalla mediazione che il papa si propone di raggiungere!

7) A proposito del tema della pedofilia nella chiesa, oltre al giusto e sacrosanto contrasto ai preti pedofili ed al loro allontanamento e denuncia alle autorità civili (che però in Italia la Cei non ha reso obbligatorio per i vescovi), non sarebbe necessario un profondo ripensamento della formazione dei preti e dell’istituzione del seminario? Su questo fronte ritiene che il papa stia agendo o agirà nel prossimo futuro?

Non sono in grado di sapere se il papa stia maturando specifiche azioni e interventi sul fronte della formazione del clero, appare, invece, evidente il divario fra il rigore da lui chiesto nella valutazione dell’opera dei preti in servizio e la reticenza dei vescovi, specie in Italia, ad intervenire con rigore contro gli indegni anche quando sono accusati di pedofilia. Penso, invece, che non sia facile trovare una soluzione adeguata ai tempi, permanendo l’attuale struttura ecclesiastica, senza una radicale ridefinizione del ruolo e della funzione del prete nella comunità ecclesiale, anche per la complessità delle diverse situazioni locali. In Italia, ad esempio, agli ampi settori di cattolicesimo tradizionale si sono aggiunti gruppi, minoritari ma significativi, che potremmo definire conciliari e comunitari. Questi rifiutano il pastore delegato dal vescovo a pascolare il gregge, ben accetto invece fra i fedeli consumatori di sacro. Per questi serve un pastore dinamico ed esperto di marketing religioso, quelli vorrebbero piuttosto un “esperto”, primus inter pares magari scelto da loro stessi, che li aiuti a maturare discernimento e consapevolezza per essere membri corresponsabili della comunità.

8) Papa Francesco ha dichiarato ripetutamente di voler dialogare con il mondo ateo senza intenti di “proselitismo”, e di voler rispettare le regole della democrazia pluralista. Come si conciliano queste affermazioni con la reiterata pretesa che le leggi degli Stati sovrani, che riguardano tutti i cittadini, debbano continuare a essere modellate sulla morale della Chiesa cattolica in questioni cruciali come l’eutanasia, quando perfino in seno alla Chiesa voci autorevolissime (da ultimo Hans Küng) hanno sostenuto la liceità dell’eutanasia e in taluni casi addirittura il suo carattere peculiarmente cristiano?

Ha fatto storia la frase attribuita a Pio XI: dalla cattedra di Pietro le cose si vedono diversamente che dalla cattedra di Ambrogio, in risposta a chi gli chiedeva, appena papa, di procedere alla istituzione nella Università cattolica di una facoltà di medicina con sede a Roma, da lui stesso auspicata quando era arcivescovo di Milano. Un suo successore l’ha autorizzata! Il papa non può che fare il papa in sintonia con il suo tempo, cercando di coglierne i segni. Se si dichiara disponibile a dialogare con il mondo è un papa che fa bene il suo mestiere, perché la Chiesa, che è chiamato a governare, non è solo ente di consumo spirituale per il suoi fedeli, ma strumento per la diffusione del messaggio evangelico. Altrettanto coerente è, però, il suo impegno nel chiedere e pretendere, purché nel pieno rispetto della democrazia pluralista, che gli Stati abbiano leggi conformi ai principi morali condivisi dalla gran massa dei fedeli: l’eutanasia non è ancora fra questi. Buon per lui se trova politici, succubi o interessati, che lo accontentano! Ne possono, invece, legittimamente auspicare la legalizzazione Hans Küng e con lui tanti altri buoni e illustri cattolici, ma senza pretendere che lo faccia il papa, pur se aperto al dialogo e alieno dal proselitismo. Devono piuttosto impegnarsi per ottenere un’ampia condivisione delle loro proposte all’interno della comunità ecclesiale facendosene apertamente promotori, senza mimetizzare il loro “dissenso” né pretendere di essere legittimati. Quando l’eutanasia sarà diventata opinione comune nella Chiesa i teologi troveranno facilmente giustificazioni per il papa che archivierà la secolare resistenza alla sua legalizzazione.