Francesco e l’Altrachiesa – le risposte di Vittorio Bellavite

Vittorio Bellavite, coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa
Otto domande di “Micromega” pubblicate sul numero dedicato a papa Francesco del settembre 2015

1) Il papa si è proposto di rinnovare profondamente gli assetti di potere finanziari e della curia. Su un fronte come sull’altro però, nonostante parecchi segnali di “buona volontà”, ancora non sembra vi siano stati cambiamenti davvero rilevanti. Come valuta l’azione di questo pontefice nell’intervenire concretamente, nelle nomine come nelle riforme, sulle contraddizioni che ancora caratterizzano la struttura ecclesiastica?

La riforma della curia vaticana è in ritardo ma l’impresa è effettivamente complessa. Con questo papa il cambiamento di prospettiva dovrebbe esserci. Per ora, però, da quel poco che si sa, temiamo che essa finisca solo con una razionalizzazione, magari buona, per richiamare all’ordine le tante gestioni semi indipendenti della curia vaticana, per semplificare, accorpare e anche eliminare alcuni dicasteri e uffici. Non sappiamo, però, se si andrà al cuore del problema, che dovrebbe consistere – se si vuole prendere sul serio il Concilio Vaticano II – in una forte decentralizzazione alle strutture periferiche del mondo cattolico, in una spogliazione di alcuni poteri che, per motivi storici, il papato ha assunto e poi riservato a sé. In particolare, la riforma, per essere profonda, dovrebbe comportare la messa in discussione dello stesso metodo di nomina dei vescovi, che adesso dipende in modo completo dal papa e dalla curia. Ci vorrebbe una qualche reale partecipazione del clero e del popolo come diceva Antonio Rosmini 170 anni fa!
In sostanza, a nostro giudizio la riforma della Curia deve essere fondata su un modo diverso di pensare alla Chiesa, alla sua comunione interna e anche alla sua organizzazione. Nei discorsi e nei testi di Francesco ci sono delle indicazioni su un modo diverso di concepire la concreta incarnazione della Chiesa, alla luce del capitolo II della costituzione Lumen gentium del Concilio Vaticano II, quello sul “Popolo di Dio”. La nuova struttura degli otto cardinali, con il Segretario di Stato, che affiancano il papa, continua a fare progetti, a sentire tutti e a prendere tempo, ma non ci convince molto. Occorrerebbe, secondo noi, come prima cosa, attuare con più coraggio la collegialità episcopale enunciata dal Concilio. Il rilancio del Sinodo dei vescovi, avviato da Francesco, va in questa direzione. Nel passato, invece, l’Assemblea sinodale ha avuto una funzione quasi solamente d’immagine. A livello periferico, poi, bisognerà pensare a nuove strutture, magari anche sperimentali, in cui la base cattolica abbia poteri decisionali. Le donne che sono l’anima quotidiana di due terzi delle strutture di base (parrocchie, scuole, interventi sociali…) rimarranno ancora a fare da tappezzeria quando si tratta di decidere i modi concreti della vita cristiana? Tutto ciò dovrà comportare maturazioni culturali importanti in tutto il Popolo di Dio, spesso ostaggio della stessa mentalità gerarchica che criticano.
Quanto alla questione dello IOR, si pensava che una sua chiusura fosse un obiettivo veramente possibile e che esso fosse stato, nel conclave del 2013, proposto da molti cardinali, che erano giunti al limite della sopportazione per i numerosi e vergognosi scandali durati troppi anni. Papa Francesco ha bloccato questa ipotesi. Però, se lo IOR deve restare, papa Francesco mi pare si sia incamminato sulla strada giusta. L’ex segretario di Stato, Tarcisio Bertone, la vera anima nera di prima, è del tutto fuori gioco, monsignor Carlo Maria Viganò ed Ettore Gotti Tedeschi nella sostanza sono risultati vincenti perché la loro reazione agli imbrogli e al malgoverno era fondata. Da quello che si capisce, si è passati ai fatti, alla trasparenza, liquidando affaristi e imbroglioni di ogni tipo. Resta la struttura, sempre a rischio di nuove degenerazioni. Sarebbe stato meglio smantellarla e attribuire – è una mia ipotesi- le risorse, con la collaborazione dei titolari dei beni depositati nello IOR che sono soprattutto gli ordini religiosi, a una pluralità di soggetti dalla gestione trasparente e fortemente controllata, legati a specifici scopi ben individuati (per esempio: cultura, interventi di prevenzione dei conflitti e di difesa nonviolenta, interventi caritativi e di formazione nei paesi svantaggiati….).

2) Molti teologi, intellettuali, preti e religiosi della chiesa conciliare e progressista hanno recentemente firmato un appello per difendere il papa dagli attacchi mossi a loro avviso da autorevoli esponenti e poteri della conservazione che agiscono contro Francesco a livello despiù tradizionalista delle gerarchie, non sarebbe tuttavia un atto di coerenza da parte di questo papa la riabilitazione di tutti coloro che hanno variamente subito la censura, l’emarginazione, addirittura la sanzione canonica da parte della chiesa, sotto i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI?

Anche noi abbiamo firmato l’Appello pro-Francesco all’inizio dell’anno. Esso nacque come reazione immediata all’intervento di Vittorio Messori sul “Corriere” che il 24 dicembre 2014 aveva attaccato il papa in modo plateale. E, inoltre, facendo capire allora, e in un successivo intervento, che egli aveva scritto quell’articolo perché qualcuno – sottinteso: qualche potente nemico di Francesco, ad alto livello – glielo aveva chiesto. Era perciò necessario, a nostro parere, reagire a caldo. Infatti lo schieramento contro il papa brontola in continuazione, esercita lobby neanche troppo nascoste, organizza convegni, dispone di tante risorse, ha il consenso di alcuni potenti movimenti di destra e gioca su più tavoli (come nella violazione dell’embargo sull’enciclica sull’ambiente fatta il 15 giugno dal sito dell’Espresso, operazione direttamente anti-Francesco). In conclusione chi non è d’accordo con la lobby dei conservatori deve reagire ed anche organizzarsi.
Il problema della riabilitazione dei troppi emarginati nei decenni postconciliari (tra questi moltissimi nostri amici) lo abbiamo posto fin dall’inizio dopo la elezione di Francesco. Aspettiamo e chiediamo con grande forza, a voce alta, la riabilitazione, pubblica ed esplicita, delle persone – teologi, teologhe, pensatori, vescovi, laici, uomini e donne – ingiustamente puniti o emarginati nella Chiesa nei cinquant’anni postconciliari, dopo aver grandemente arricchito la teologia e la pastorale. Fino ad ora intuiamo l’esistenza di contatti underground di Bergoglio e dei suoi collaboratori con qualche situazione dell’area dell’ex-dissenso. Interventi espliciti di riconoscimento degli errori fatti nel passato però non ci sono ancora stati. La presenza del papa emerito rende d’altra parte difficile dire e fare esplicitamente il contrario di prima. La beatificazione di Romero è stata comunque un primo passo, perché essa era stata ostacolata per tanti anni e in tutti i modi.

3) Il sinodo non si è finora espresso su nessuna delle questioni cruciali che riguardano la famiglia, i divorziati risposati, le unioni gay. Ed è evidente che le resistenze al rinnovamento che si sono manifestate in modo talvolta maggioritario nella prima fase, giocheranno un ruolo di freno anche nella seconda. Non ritiene che il papa potrebbe (analogamente a quanto fece Paolo VI con l’Humanae vitae ma in evidente diversa direzione) esprimersi attraverso un’enciclica su tematiche che sono ormai divenute di prepotente urgenza?

Per la prima volta un Sinodo dei vescovi è stato all’attenzione dell’opinione pubblica, non solo di quella cattolica. Quindi c’è qualcosa di nuovo. Opinioni di cui fino a dieci anni fa in pochi parlavamo (divorziati risposati, relazioni omosessuali….) sono ora al centro delle discussioni del Sinodo. Le resistenze al cambiamento ci sono e sono molto forti; i conservatori faranno le barricate per impedire qualsiasi innovazione. Noi abbiamo chiesto invano una diversa composizione del Sinodo per permettere che le opinioni di base venissero valorizzate e non bloccate. La posizione di Francesco è difficile. Suppongo che l’indizione di un Giubileo della misericordia sia quanto egli ha pensato per indicare che una soluzione può essere trovata mediante uno “sbocco” di tipo pastorale all’impasse. Il ricorso alla misericordia dovrebbe essere il messaggio per accogliere e riaccogliere tutti nella Chiesa, una soluzione prioritaria rispetto a quella “dottrinale” che, senza essere sconfessata esplicitamente, diventerebbe una specie di risposta di serie B al problema , lasciando così alla prassi delle singole chiese la possibilità di comportamenti diversi nell’ambito di principi generali (per esempio conferma del valore della stabilità del matrimonio oppure della centralità del rapporto di coppia uomo/donna ma senza escludere altre forme ecc….). Sarebbe molto importante che il Sinodo dica chiaramente che le situazioni “difficili” possono essere risolte facendo riferimento al primato della coscienza individuale che è uno dei capisaldi del messaggio conciliare. Queste sono alcune mie personali ipotesi di sbocco della situazione, dette a voce alta in una situazione aperta per tutti, anche per il papa.
Per quanto riguarda il nostro contributo alle questioni discusse abbiamo già scritto come la pensiamo rispondendo ai questionari proposti alla consultazione dalla segreteria del Sinodo ( si possono leggere su www.noisiamochiesa.org cliccando sul motore di ricerca interno). Ora stiamo facendo una ricerca su come, nella storia, la Chiesa ha parlato della famiglia. Lo ha fatto, nella dottrina e nella pastorale, in modo molto diverso nel tempo. Ma , allora, diciamo noi, non ci sono prescrizioni intangibili che non sarebbe possibile per la Chiesa mai modificare perché parte non derogabile del messaggio del Vangelo, come sostengono con accanimento i conservatori e i fondamentalisti. Mi pare che essi stiano costruendo una resistenza alla riforma fondata sulla sabbia, sia dal punto di vista teologico che pastorale.
Una nuova enciclica per risolvere le questioni controverse mi sembra in contraddizione col metodo usato investendo il Sinodo dei problemi aperti. Poi ci sarebbe una parte della Chiesa che non la recepirebbe. In queste cose il metodo stesso è un contenuto. Il Sinodo si troverà di fronte a scelte che non sarà facile siano considerate solo pastorali, nel caso che siano decise . Esse coinvolgeranno anche la dottrina. Sostenere sempre la continuità di tutto nella Chiesa (come faceva papa Benedetto quando parlava del Concilio) non regge. La storia della Chiesa ci insegna che molte volte i cambiamenti ci sono stati. Per rifarmi a cosa comunemente risaputa, tra quanto diceva il Sillabo di Pio IX e il Concilio Vaticano II ci sono veramente dottrine diverse, anzi opposte. La questione più prossima riguarderà la Humanae Vitae, l’enciclica che proibisce la contraccezione artificiale. Il fatto che molti e molte del mondo teologico, e grandissima parte dei coniugi cattolici, ritengano insostenibile l’impianto biblico e teologico del testo di papa Montini, è un fatto chiaro di “non ricezione”. L’Enciclica non è stata accettata dal Popolo di Dio in modo costante e quasi dovunque . E’ questo un dato teologico con il quale il magistero dovrebbe onestamente confrontarsi. Non mi pare possibile continuare oltre nella difesa di quell’enciclica e, nel contempo, assicurare misericordia continua ai penitenti che vanno a confessarsi per non averla rispettata. Bisognerebbe cancellare l’insegnamento di quel testo o, se non altro, ignorarlo del tutto e così, indirettamente, considerarlo decaduto.

4) La lotta alle posizioni di rendita e ai privilegi ecclesiastici, che Francesco ha con diverse dichiarazioni mostrato di voler fare propria, non dovrebbe accompagnarsi ad atti concreti, come la rinuncia ad alcuni degli innumerevoli privilegi concordatari di cui godono la chiesa ed il Vaticano nel nostro Paese? Ad esempio l’8 per mille, l’esenzione o la riduzione di alcune tassazioni, le rendite che derivano dalle speculazioni immobiliari (specie nell’emergenza abitativa e in quella dell’accoglienza di senzatetto e migranti che caratterizzano la nostra epoca)…

Le parole di papa Francesco su Chiesa povera e dei poveri sono state di netta contraddizione con la situazione precedente. Esse sono state bene percepite dall’opinione pubblica che le ha ritenute genuine. Le sue parole erano rivolte a tutto l’universo cattolico perché il problema delle risorse e della loro gestione riguarda il complesso dell’enorme quantità di strutture di ogni tipo che la chiesa cattolica ha in tutto il mondo (scuole, collegi, strutture sanitarie, beni diocesani e parrocchiali..). Per il nostro paese il vero problema è la Conferenza episcopale italiana. Il papa non è nelle condizioni concrete di poter mettere in discussione il Concordato o qualche suo istituto. Nei suoi discorsi ai vescovi italiani (maggio 2014 e 2015) Francesco è stato molto severo nei loro confronti. E’ anche intervenuto concretamente, per esempio, con una scelta di discontinuità, con la nomina di Mons. Nunzio Galantino a segretario della CEI. Egli ha creato le premesse perché si inizi a discutere nella Chiesa italiana dei privilegi, dell’ottopermille ecc… Ciò finora è però avvenuto poco o niente . I vescovi non vogliono sentire parlare di tali questioni. Si accontentano di dire che la Chiesa fa molti interventi sociali e che le risorse sono necessarie. Il che è vero ma non basta per niente. In realtà in molti settori della Chiesa, si fa sempre più chiara la consapevolezza che sono le regole di distribuzione delle risorse (ed anche il loro ammontare) che vanno messe in discussione e ciò ovviamente in relazione con il Vangelo.
Noi riteniamo che, come primo passo, ci vorrebbe più trasparenza, più pubblicità. Attualmente i bilanci delle curie e degli Istituti diocesani per il sostentamento del clero (che, col Concordato Craxi-Casaroli, hanno avocato a sé tutti i beni della Chiesa, i famosi “benefizi”) sono segreti. Dei fondi dell’ottopermille per obbligo di legge la CEI deve rendere nota la ripartizione generale per grandissime voci (quelle che si leggono sui giornali quando viene richiesta la firma per la Chiesa nella dichiarazione dei redditi) e poi basta. In assenza di voci di spesa disaggregate, è difficile esprimere giudizi molto analitici. Si può dire però che le retribuzioni del clero e gli interventi pastorali sono fortemente supportati con questi fondi. Anche l’Avvenire , il quotidiano della Conferenza Episcopale, riceve indirettamente fondi dall’ottopermille mediante un circuito di movimenti di denaro, tortuoso e molto discutibile, che non viene reso pubblico, perché la legge n. 222/1985 che istituisce il sistema, non prevede tra le voci previste a cui destinare il gettito (culto, clero, carità) quella per la comunicazione. E’ probabile che, con un sistema simile, sia finanziata anche la televisione della CEI, Sat2000. Ogni diocesi dovrebbe poi rendere pubbliche le voci di spesa dei fondi dell’ottopermille che riceve dalla CEI per impieghi di carità. Anche qui, se ne sa poco e male, ognuna delle 226 diocesi fa per suo conto. In generale queste informazioni sono semiclandestine e poco chiare. Per quanto riguarda le parrocchie ci risulta che la situazione sia a macchia di leopardo. Alcune pubblicano bilanci fondati e comprensibili, altre bilanci sintetici e difficili da capire, altre non pubblicano niente. Se nella Chiesa italiana ci fosse una informazione generale e completa sulla gestione delle risorse si potrebbe cominciare, per ogni sede dove si incassa e si spende, a porsi obiettivi concreti, perlomeno di sobrietà e a favore delle situazioni di maggiore bisogno, anche a modificare le destinazioni, a tagliare spese inutili, a creare maggiore perequazione tra le diverse strutture, a permettere che dei laici denuncino, se del caso, la mala gestione con dati concreti e facciano proposte alternative .

5) Rispetto al ruolo dei laici e della donne nella chiesa, in cosa vede visibili e reali cambiamenti nell’azione di questo pontificato? E’ possibile che il sacerdozio femminile resti un tabù, un rifiuto catafratto proprio mentre la chiesa anglicana, la meno distante da quella cattolica tra le Chiese riformate, ha consacrato una donna addirittura vescovo?

Per quanto riguarda il ruolo dei laici la decisione più interessante di papa Francesco è stata quella di avviare una consultazione della base della Chiesa sui problemi della famiglia, prima del Sinodo dello scorso ottobre e in previsione di quello dell’ottobre prossimo. Di essa sono stati protagonisti i laici, che si stanno facendo sentire, mentre l’apparato ecclesiastico se ne occupa a piacimento e spesso, come in Italia, tiene la consultazione ai margini della vita ecclesiale e non rende pubbliche le risposte. Dalle notizie che abbiamo le risposte sono tutt’altro che conformiste, vanno controcorrente nei confronti della “vulgata” contenuta nel Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 e della predicazione ecclesiastica quotidiana. Papa Francesco ha anche mandato abbastanza spesso messaggi tipo quello dello scorso 18 maggio quando, parlando ai vescovi italiani, ha detto “ i laici che hanno una formazione cristiana autentica, non dovrebbero aver bisogno del Vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo!” In Italia non hanno aspettato questa parola del papa un centinaio di associazioni di base e 22 riviste che, dal 2012 ad oggi, hanno organizzato quattro incontri con il nome di “Chiesadituttichiesadeipoveri” per ricordare i cinquant’anni dal Concilio. In questi convegni sono state dette parole in assoluta libertà, controcorrente. La stampa laica e cattolica ha ignorato queste iniziative. Ora avranno un seguito quando dal 20 al 22 novembre a Roma ci sarà un incontro mondiale “A Church, inspired from the Gospel, for the world” autorganizzato da movimenti e associazioni che vogliono ricordare i 50 anni dalla conclusione del Concilio e pensare al futuro della testimonianza cristiana. Comunque, siamo ancora agli inizi nella modifica dei rapporti tra chi appartiene allo stato clericale e tutti gli altri (suore comprese). Bisogna tenere presente che la situazione in Italia è più difficile che in altri paesi.
Sulle donne la linea di Francesco è stata fino ad oggi piuttosto timida. Oltre a tante affermazioni generali abbiamo l’impressione che egli non conosca bene le elaborazioni della teologia “femminista” di molte teologhe (che di ciò giustamente si lamentano). E’ necessario uno spazio maggiore per l’elaborazione concreta di proposte da parte delle donne e un maggiore recepimento da parte della Chiesa “maschile”. Va segnalato che nel recente rinnovo della Commissione Teologica Internazionale sono state nominate cinque donne, due religiose e tre laiche, mentre nella precedente Commissione le donne erano solo due. Tra le priorità di Francesco mancano però, fino ad oggi, scelte per facilitare una discussione sulla possibilità che i ministeri siano allargati alle donne (questo è quanto noi proponiamo da sempre). Il Card. Martini sosteneva che non ci sono ostacoli di tipo teologico su questa strada; d’altronde tante elaborazioni teologiche ci sono già state in questa direzione. Bisognerebbe riuscire a creare un’opinione diffusa nel popolo cristiano favorevole al ministero femminile , con i tempi necessari ma senza subire ricatti da parte dei fondamentalisti.
Però Francesco ha chiuso da poche settimane un conflitto aspro tra la curia vaticana e la gran parte delle suore USA che hanno preso sul serio il Concilio e che sono organizzate nella efficiente LCWR (Leadership Conference of Women Religious). Solo il suo intervento ha permesso che esse non fossero duramente sconfessate con conseguenze inimmaginabili. Questo scontro ha interessato, direttamente o indirettamente, il cattolicesimo in tutto il mondo. Bisognerà però vedere, in concreto, se sarà realmente garantita in futuro la libertà di ricerca teologica, e di prassi pastorali audaci, in questi anni coraggiosamente proposte dalle religiose statunitensi.

6) Come valuta l’episodio avvenuto alcuni mesi fa sotto questo pontificato della scomunica di Martha Heizer, presidente di Noi Siamo Chiesa internazionale ed Ehemann Gert, suo marito, per aver celebrato l’eucarestia nella propria casa, assieme alla loro comunità ma senza la presenza di un prete? Non sarebbe stato opportuno che il papa che predica una chiesa aperta, tollerante, inclusiva, fermasse questo provvedimento, anche in considerazione del fatto che Noi Siamo Chiesa è in prima fila in molti paesi del mondo su temi “spinosi” ed attuali come il celibato presbiterale, il sacerdozio femminile, la collegialità, i divorziati risposati, i gay, la povertà, il contrasto alla pedofilia tra il clero?

La nostra convinzione è che la scomunica di Martha Heizer e del marito sia stata una specie di manovra del card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (ex Sant’Uffizio) contro il papa. Martha, con pochi famigliari ed amici, celebrava l’Eucaristia in casa come fanno da tempo una buona parte delle Comunità cristiane di base (tutte quelle italiane) senza che essa sia presieduta da un prete in regola col diritto canonico. Martha peraltro non “rappresentava” IMWAC (International Movement We Are Church) in questa celebrazione; addirittura, a quel tempo, non ne era neanche la Presidente internazionale. Martha e il marito hanno deciso di non fare ricorso nei confronti del provvedimento del vescovo di Innsbruck Mons. Manfred Scheuer (che ha agito su invito di Müller dopo che la questione era rimasta ferma per un lungo tempo). Ci sono molti dubbi che il decreto del vescovo avesse fondamento nello stesso diritto canonico . Il noto canonista Francesco Zanchini ha argomentato con rigore che le norme a cui si è rifatto il vescovo sono state scritte e interpretate da sempre per sanzionare i diaconi o i sottodiaconi che pretendano di celebrare l’Eucaristia senza essere stati ancora ordinati preti. Martha e il marito, in quanto laici, non erano soggetti passibili di sanzioni canoniche di questo tipo. Per tutte queste ragioni Zanchini esclude «con assoluta certezza ogni e qualsiasi validità della dichiarazione di condanna, resa ultimamente dalla Congregazione per la dottrina della fede nei confronti della sig.ra Martha Heizer. Perché la Heizer non è diacono, perché non simulava di essere consacrata, perché nessuna delle persone presenti alle celebrazioni è stata mai tratta in inganno rispetto al significato di quelle liturgie”. (1). Le sezioni nazionali di IMWAC hanno reagito vivacemente contro il decreto del vescovo . Quanto alla possibilità che papa Francesco potesse sconfessare Müller e Scheuer ciò rientra indubbiamente nei poteri che gli competono in base all’ordinamento attuale della Chiesa cattolica. Si può però capire quanto sia per lui, nella pratica, molto difficile, un intervento così pesante. Per certi versi il decreto è stato un autogoal che si è fatto Müller perché esso non ha avuto le conseguenze traumatiche che egli forse si aspettava. Martha è stata confermata Presidente di We Are Church Austria e, da marzo, non è più presidente internazionale di IMWAC a causa di un normale avvicendamento interno già previsto da tempo.

7) A proposito del tema della pedofilia nella chiesa, oltre al giusto e sacrosanto contrasto ai preti pedofili ed al loro allontanamento e denuncia alle autorità civili (che però in Italia la Cei non ha reso obbligatorio per i vescovi), non sarebbe necessario un profondo ripensamento della formazione dei preti e dell’istituzione del seminario? Su questo fronte ritiene che il papa stia agendo o agirà nel prossimo futuro?

Sulla questione della pedofilia con papa Francesco c’è stato un oggettivo passo in avanti rispetto a papa Benedetto, che aveva iniziato a fare qualcosa ma di cui non sono state per niente chiarite le sue responsabilità di quando era prefetto dell’ex- Sant’Ufficio.
Ora è nata una struttura indipendente che ha iniziato a reagire anche nei confronti di altri organi del Vaticano (vedi il caso del potente australiano card. George Pell accusato di avere coperto preti pedofili da Peter Saunders, membro di questa Commissione). Il papa ha iniziato a destituire anche dei vescovi. Doveva farlo. I suoi predecessori sono colpevoli di aver accettato la prassi di troppi vescovi di non occuparsi delle vittime ma solamente dei preti pedofili, per nasconderli. Ora Francesco ha istituito un Tribunale speciale per i vescovi colpevoli di aver coperto i preti pedofili. In Italia invece siamo fermi nel momento stesso in cui scandali scoppiano ogni giorno anche nel nostro paese. I vescovi, nelle loro decisioni collegiali, si rifanno all’attuale assenza di obbligo per legge di denunciare alla magistratura i preti pedofili per tenere tutto nell’ambito ecclesiastico. Non vogliono andare nella stessa linea delle altre conferenze episcopali europee che hanno anche istituito dei soggetti indipendenti per affrontare le situazioni a fianco delle vittime e dialogando con le curie e con la magistratura. Le vittime – questo il pensiero della Cei – devono parlare col vescovo, come se la sua figura fosse credibile dopo tutto quello che è successo in passato. “Noi Siamo Chiesa” ha scritto lettere di fuoco ai vescovi su tutto ciò. Ne è seguito un completo silenzio. Quanto alla formazione dei preti è difficile capire se un po’ di belle parole avranno qualche seguito. L’educazione dei preti è sempre stata chiusa ad un rapporto sereno con il sesso femminile e ciò è stato fonte di complessi, inibizioni e comportamenti abnormi di vario genere, spesso gravi.

8) Papa Francesco ha dichiarato ripetutamente di voler dialogare con il mondo ateo senza intenti di “proselitismo”, e di voler rispettare le regole della democrazia pluralista. Come si conciliano queste affermazioni con la reiterata pretesa che le leggi degli Stati sovrani, che riguardano tutti i cittadini, debbano continuare a essere modellate sulla morale della Chiesa cattolica in questioni cruciali come l’eutanasia, quando perfino in seno alla Chiesa voci autorevolissime (da ultimo Hans Küng) hanno sostenuto la liceità dell’eutanasia e in taluni casi addirittura il suo carattere peculiarmente cristiano?

A me pare che la volontà di papa Francesco di dialogare con i non credenti debba essere presa sul serio ed apra spazi di reciproca comprensione che prima erano ben più modesti. E’ la stessa linea del Card. Martini. Gli incontri con Eugenio Scalfari, le telefonate a Marco Pannella e ad Emma Bonino ecc… sono stati capiti abbastanza bene dalla cultura “laica”, a volte con entusiasmo. Mi pare che ciò sia anche la conseguenza del cul de sac in cui prima si erano infilati tanti uomini di Chiesa, a partire da papa Benedetto. L’immagine della Chiesa all’esterno è cambiata abbastanza sia presso uomini di cultura che presso quanti si ritengono esterni ad ogni sensibilità religiosa e si sentono e sono secolarizzati (per usare un’espressione in voga).
L’invadenza clericale nella legislazione non fa certamente parte dello stile e della linea di Francesco. Per capirci, le campagne sul caso Englaro, sul caso Welby e anche sulla legge n. 40 non sono omogenee con questo pontificato. Le cose, a mio giudizio, sarebbero andate diversamente con questo papa. La linea del card. Camillo Ruini, seguita poi in forme diverse anche dal card. Angelo Bagnasco, è destinata a chiudersi, se non si è già chiusa. Non ci sarà più una guida unica dei cattolici in politica diretta non dalla Dc ma da un Ruini, o da chi per lui.. La prova è data in questi giorni dal nostro Governo che spinge per approvare il ddl Cirinnà sulle unioni civili mentre c’è una campagna della destra cattolica accanitamente contraria.
Del resto dialogare non significa essere del tutto d’accordo. Significa ascoltarsi, non demonizzarsi, cercando di capirsi, impegnandosi a trovare (per i politici cattolici) mediazioni ragionevoli. Ricordo ad esempio il contributo in Parlamento dei credenti della sinistra indipendente che, dialogando, riuscirono a contribuire a scrivere la legge 194 in modo tale che essa fu poi confermata nel referendum del 1981 anche da tanti cattolici, mentre fu contestualmente bocciata seccamente la proposta radicale che voleva modificare la 194 perché non sufficientemente permissiva . L’assenza di dialogo raggiunse il suo punto più alto con il caso Englaro, quando l’ oltranzismo clericale la fece da padrone. Mi sembra che la linea di papa Francesco possa essere considerata omogenea, facendo un paragone di prima approssimazione, con quella che da tempo abbiamo definito essere quella propria dei cattolici democratici.
Sull’eutanasia premetto che una ricerca e un dialogo all’altezza del problema, con la partecipazione di tutti, nel nostro paese non c’è ancora stato o è stato insufficiente. Anche la confusione vi contribuisce. Per esempio avere infilato nel progetto di legge radicale di iniziativa popolare la questione del testamento biologico mi è sembrato un errore. Sul testamento biologico si potrebbe arrivare senza difficoltà e subito a una soluzione legislativa con questo Parlamento, se la questione fosse affrontata a sé. Invece pare che ciò non sia possibile. La questione dell’eutanasia esige comunque una maggiore definizione concettuale, una presa d’atto da parte di tutti della “zona grigia” dove avviene ora il fine vita; c’è il problema di come accertare la volontà eutanasica, c’è il rischio temuto (penso troppo) dei possibili abusi nell’uso della possibile legge e via di questo passo. Nel mondo cattolico ci sono opinioni diverse anche nell’area progressista. La posizione di Hans Küng – che ha spiegato le motivazioni (umane, giuridiche ed anche teologiche) favorevoli all’eutanasia –ha sicuramente accelerato di molto la riflessione sulle circostanze concrete nelle quali la scelta potrebbe avvenire. Egli ha inoltre sostenuto che la libertà e la responsabilità della decisione eutanasica possono essere considerate omogenee a una vita cristianamente vissuta. Non vedo papa Francesco sulle barricate, mi sembra che anch’egli si preoccupi delle circostanze particolari delle scelte etiche dando così, più di prima, un ruolo principale alle decisioni della coscienza del singolo.

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Conclusione

Ho risposto, mi sembra senza reticenze, alle otto domande. Alla fine mi sono reso conto che tutte tendevano a porre problemi, a chiedere, quasi a pretendere, tutto o molto e subito da papa Francesco quasi ci fosse un pregiudizio nei suoi confronti, se non esplicitamente ostile quanto meno perplesso o sospettoso sulla sua volontà e la sua capacità di cambiare. In effetti se ci si confronta con i problemi posti nelle domande, a partire dal punto di vista nostro che è quello di «seguaci» del concilio Vaticano II, ci si rende conto dei limiti di alcuni interventi di papa Bergoglio e del permanere di molti nodi irrisolti. Ma fermarsi qui non è possibile. Spero che tutta la cultura «laica» accresca i suoi strumenti di conoscenza e di comprensione, altrimenti resterà un po’ fuori campo, come già su altre tematiche che riguardano il fatto religioso. Cerco di dare un contributo in questo senso elencando dei punti sull’importanza di Francesco e sul possibile rovesciamento di posizioni all’interno della Chiesa e fuori, tenendo conto dei limiti oggettivi dei poteri che egli ha nella gestione della Chiesa, nonostante le grandi competenze che gli assegna il diritto canonico e la grande autorità morale che gli riconosce il popolo di Dio. Questi punti provano, secondo noi, che, con papa Francesco, ci troviamo di fronte a una rottura di continuità con i pontificati precedenti anche se la continuità viene sempre e ovviamente riaffermata (da Francesco in primis).

1) Un papa che viene da un’altra area geografica del mondo, rispetto all’Occidente, ha una grande libertà di azione sullo scenario internazionale e una nuova credibilità che prima non c’era. È una rottura con la collocazione occidentale ed eurocentrica del papato. Penso, per esempio, ai rapporti con i popoli cinese e russo e con i loro governi, penso al contributo alla distensione Usa/Cuba, al suo intervento sulla crisi siriana nell’estate 2013, all’intervento sulla questione palestinese nel giugno 2014, al netto giudizio sul genocidio armeno, al suo equilibrio sulla questione ucraina, alla sua volontà di non accettare l’isolamento del leader russo. Francesco e il suo segretario di Stato, Pietro Parolin, se la stanno giocando bene. Rispetto al tandem Benedetto/Bertone non c’è neanche la possibilità del confronto.

2) I discorsi di papa Francesco sulla situazione economica e sociale nel mondo e in Italia (nell’Evangelii gaudium, nel discorso ai movimenti sociali dell’ottobre scorso e in tanti altri ) sono nella linea di quanto detto dalla teologia della liberazione e, per certi versi, dagli stessi forum sociali mondiali. «Il punto di vista teologico» (questo è il linguaggio della teologia della liberazione, sarebbe meglio dire «evangelico») parte dal basso, dal vissuto, dalle sofferenze della maggioranza dell’umanità e fa poi analisi stringenti sulla cause del disordine planetario e sui poteri che dominano nel mondo (dalla finanza al complesso militare-industriale, al resto). In questa situazione, sempre più difficile, l’umanità ha bisogno di grandi autorità morali. Francesco può essere una di queste, come il Dalai Lama, come Desmond Tutu, come già Nelson Mandela, come il patriarca ecumenico Bartolomeo. Una parte dell’opinione pubblica nel mondo, penso, se ne è già accorta.
Con l’enciclica Laudato SI’ del 18 giugno papa Francesco ha raccolto i punti di vista maturati negli anni dai movimenti ambientalisti e dai maggiori scienziati, soprattutto di quelli dei paesi che meno inquinano e meno offendono la natura ma che più soffrono le conseguenze della degradazione della condizione generale del pianeta. Francesco ha sostenuto con forza l’intreccio tra questione ambientale e questione sociale nel mondo . I più poveri sono i più colpiti. E ha detto ai credenti di ogni religione che la Terra è opera del Creatore e che è stata donata all’umanità perché sia usata bene, custodita e protetta e non violentata e maltrattata. La radicalità del suo discorso ha sorpreso non pochi. Gli applausi diffusi che hanno accolto l’enciclica ci preoccupano perché contengono tante ipocrisie. Ma sono in tanti in queste settimane che sostengono che queste sono le sole parole veramente di sinistra che si ascoltano, almeno nel nostro paese. Ora possiamo aspettarci da Francesco un’enciclica de pace et contra bellum complementare alla Laudato SI’, di identico spessore ed autorità, sulla ripresa della corsa al riarmo, di quello convenzionale e di quello nucleare, sul commercio delle armi, sui muri che si alzano nel mondo invece dei ponti, sulla manipolazione dell’opinione pubblica su queste questioni e sui problemi più di fondo dell’educazione alla pace e alla non violenza attiva.

3) Il suo approccio ai problemi della fede, del singolo uomo, della singola donna, ai loro vissuti non è dottrinale («questo bisogna pensare e fare», «non si può» eccetera) ma di comprensione, di accoglienza, di ascolto, giudicando il meno possibile e presentando il messaggio dell’Evangelo nella sua semplicità e nel senso che esso dà alla vita per il rapporto che ognuno deve avere con Dio, che deve avere con la propria famiglia e con la collettività in cui si trova. I divieti Francesco non li cancella ma li dimentica quasi, il suo «prossimo» non è solo il cristiano che si incontra in parrocchia, non è solo chi fa parte della Chiesa ma ogni persona, cristiana, credente, islamica, non credente, che ha bisogno di conforto materiale e morale. La grande opinione pubblica questo lo ha capito e si è resa conto che Francesco dice ciò perché «ci crede», perché si mette con il «popolo» e al di fuori delle strutture ecclesiastiche nei cui confronti esprime spesso riserve e fastidio.

4) Francesco gioca la scommessa di aprire il dibattito nella Chiesa. Lo fece già papa Giovanni e lo fece «al buio» quando nel gennaio del 1959 indisse il concilio Vaticano II, non sapendo naturalmente come sarebbe andata a finire. È vero che Francesco non ha fino ad ora riabilitato gli emarginati degli anni passati ma il tempo delle proscrizioni sembra finito mentre si apre la possibilità perché energie nuove possano farsi sentire nella Chiesa e nella società. Francesco parla di collegialità vera tra i vescovi. A noi non basta, la collegialità deve comprendere le varie espressioni della base cattolica, e cioè, in qualche modo, almeno tendenzialmente, l’intero «popolo di Dio». Tuttavia, quello compiuto è un grande passo in avanti. Adesso, ogni vescovo di ogni Chiesa locale dovrebbe responsabilizzarsi senza aspettare che ogni questione etica od organizzativa sia risolta da Roma, ugualmente ogni prete rispetto al vescovo, e ogni laico (uomo o donna) rispetto al parroco e al vescovo. Nelle tante forme in cui i credenti vivono e cercano di riflettere sul Vangelo, c’è un nuovo spazio per una fede che si confronta con credenti in altre religioni, che non è estranea alla problematica dell’uomo in ricerca in una fase della storia in cui le grandi domande di senso sono più di prima presenti dopo la caduta delle ideologie totalizzanti.

Ringrazio MicroMega che mi ha dato la possibilità di esporre i punti di vista miei e del movimento che coordino. Siamo una minoranza esclusa dalla televisione e dalla grande stampa (a partire da quella cattolica). Ma – ed è ciò che conta – ci rallegra constatare che molte delle proposte anche da noi, con altri, sostenute, stanno diventando oggetto di un crescente, libero e franco dibattito all’interno della nostra Chiesa.

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(1) Si legga il saggio dello Zanchini «Stato, Chiese e pluralismo confessionale» nella rivista online www.statoechiese.it, che interpreta il canone 1378 § 2 del codice di diritto canonico del 1983 che si rifà, a sua volta, al canone 2322 § 1 del codice precedente del 1917.