Una famiglia in trasformazione. Intervista a B. Selene Zorzi

Daniela Mazzarella
www.confronti.net

La teologa Selene Zorzi, ideatrice del sito Coordinamento teologhe italiane (che ha gestito dal 2003 al 2013), si occupa di teorie di genere e ha scritto vari libri, tra cui Al di là del “genio femminile” (Carocci editore, 2014). L’abbiamo intervistata sulle questioni sollevate dalla proposta di legge Cirinnà, intorno alla quale si è creato un dibattito acceso, con toni da vera e propria Crociata da parte di un fronte cattolico politicamente trasversale ma decisamente compatto nella sua battaglia alla “famiglia diversa”.

Da cattolica come vive le polemiche intorno al ddl Cirinnà?

Il fronte cattolico è molto meno compatto di quanto sembri, come sempre del resto. A volte si dimentica che l’adesione alla Chiesa non ha le caratteristiche di un’adesione ad un partito politico o a delle idee, ma è l’appartenenza ad una comunità che condivide un’esperienza di fede dove i membri hanno opinioni anche differenti. Quello che vedo compatto è un fronte di persone, spesso anche non cattoliche, che hanno su queste questioni idee molto confuse, che non hanno dimestichezza con la terminologia degli studi di genere e che confondono le moltissime questioni in ballo. La famiglia è importantissima e resterà fondamentale cellula della società, ma è indubbio che essa stia attraversando una trasformazione dei suoi modelli. Come cattolica vivo i toni da Crociata, che spesso emergono nel dibattito, in modo molto imbarazzato, sia quando ad impugnarli sono persone più sprovvedute nella loro formazione cristiana, biblica o teologica, che si fanno portatori improbabili di una voce cattolica popolare, sia quando sono impugnati da parte delle gerarchie ecclesiastiche. Penso però che il dibattito con la parte pensante del paese spetti agli intellettuali cattolici e non vada lasciato al populismo. Fu un vescovo cattolico a dire che la differenza più importante non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa. Nel mio piccolo tento di chiarire il più possibile, laddove mi sia possibile, la differenza tra studi di genere e “ideologia del gender”, dando in mano anche a persone semplici una strumentazione linguistica e concettuale capace di farli orientare nel dibattito che riguarda anche il testo del ddl Cirinnà.

Tanti personaggi pubblici hanno citato la Bibbia come supporto alle loro tesi in difesa della “famiglia naturale”, ma c’è anche chi lo ha fatto con intento contrario. Per esempio Carlo Flamigni, ginecologo e membro del Comitato nazionale di bioetica, ha detto che nella Bibbia si trovano casi di maternità surrogata. Da teologa, come spiega queste letture diametralmente opposte delle Scritture?

La Bibbia è tutt’altro che univoca su queste tematiche, ma non va dimenticato che anch’essa è frutto di una mentalità patriarcale. Se nelle storie dei patriarchi o di altri personaggi della Bibbia troviamo una sorta di quella che oggi (!) noi moderni chiamiamo maternità surrogata non ci dobbiamo dimenticare che stiamo applicando categorie moderne ad un testo antico che non aveva queste problematiche. Anzi, la cosa era possibile in quella società perché le donne schiave non avevano una dignità ed erano considerate, al pari delle mogli, proprietà del capoclan. Non credo che la Bibbia debba essere citata per supportare o meno delle scelte che appartengono ad un’agenda moderna che essa non aveva. La Bibbia va sempre interpretata nel suo contesto, perché non c’è nessun dato senza interpretazione e la lettura letterale e fondamentalista è attualmente esclusa nell’interpretazione cattolica. Le Sacre Scritture non sono un codice di comportamento etico ma un racconto che vuole trasmettere un’esperienza spirituale. L’approccio storico-critico deve ricordarci la distanza linguistica, concettuale e mentale tra noi, la nostra epoca, le nostre istanze e quelle nelle quali la Bibbia è stata scritta.

Secondo lei cosa c’è alla base di questa vera e propria fobia della presunta ideologia gender che porta a una demonizzazione della stepchild adoption?

Sto facendomi l’idea che l’ideologia del gender sia una scorretta interpretazione e un fraintendimento totale degli studi di genere e in quanto tale infatti è improponibile. Ciascuno di noi moderni europei, e forse anche la maggior parte degli italiani, ad un livello teorico ritiene che ogni persona di qualsiasi sesso abbia la stessa dignità e gli stessi diritti. Questo è il cuore del messaggio evangelico e in fondo il femminismo ne è un frutto, essendo sorto nelle società di cultura cristiana, come già ricordava papa Giovanni XXIII. Poi però constatiamo come a livello sociale si faccia ancora fatica a integrare questa convinzione teorica nelle strutture e nelle istituzioni sociali, comprese quelle ecclesiali. La fobia, a mio parere, viene da un terzo e ulteriore livello, quello viscerale, in cui abbiamo introiettato gli schemi di genere patriarcali, che se non riflettuti funzionano come assunzioni acritiche in cui non vediamo di essere intrappolati e che ci imbrigliano in un coacervo di preconcetti. Il modello della famiglia cosiddetta tradizionale si è formato e perfezionato lungo molti secoli di storia in modo da garantire il futuro della società. Era un modello in cui il padre era padrone dei suoi figli, che erano utilizzati come forza lavoro fin da piccoli; e non parliamo poi delle condizioni della donna in questo modello. Il mondo contadino dal quale si è originato però non c’è più da almeno 50 anni neanche in Italia e siamo ineluttabilmente entrati in un diverso schema societario che richiede adattamenti mentali, sociali e istituzionali per la nostra futura evoluzione, come anche nuove capacità spirituali per affrontarla.

Pensa che una riforma del sistema delle adozioni in Italia, con apertura alle coppie non sposate e ai single, potrebbe contribuire all’accettazione delle diverse teorie del genere?

Le teorie dovrebbero solo aiutarci a comprendere meglio il reale. Il reale è che ci sono bambini che crescono affezionandosi a persone che più di chiunque altro potrebbero adottarli. Conosco una vergine consacrata che ha adottato una zingara. Ci sono già ora situazioni particolari in cui questa possibilità viene applicata. Le situazioni sono sempre particolari. La legge permetterebbe di alleggerire la burocrazia che delega tali scelte ai tanti tribunali oramai zeppi di queste richieste. Ovviamente bisognerà vigilare, come avviene sempre, per garantire il fanciullo e come già succede per le coppie etero. La spiritualità ci ha insegnato che non è il sesso maschile o femminile a decidere della capacità morale di una persona e della sua capacità di responsabilità, cura e amorevolezza, e spesso nemmeno del suo ruolo pubblico. L’“adozione” di minorenni, che avveniva anticamente da parte delle comunità religiose, non ha mai cambiato le teorie di genere di quell’epoca.

Il papato di Bergoglio sta rappresentando una vera rivoluzione per la Chiesa cattolica, che però continua a rimanere rigida su questi argomenti, tanto da sembrare in dissonanza con il corso della storia. Ci può spiegare questa anomalia?

A mio parere c’è solo il peso di uno schema di relazioni familiari, tipico della società contadina, che forse appartiene all’età media dei membri della Chiesa cattolica o dei suoi rappresentanti. Molti cattolici accusano alcuni parlamentari di avere troppa fretta su queste questioni e fanno appello al rispetto di una maggiore gradualità delle trasformazioni, come se fossimo ancora in tempo con il treno della storia e delle nuove generazioni. Io ho timore, e spero di sbagliarmi, che il treno con la società una certa Chiesa cattolica lo abbia già perso, ma confido che lo Spirito sia sempre in azione, sia nella Chiesa sia nella storia; anzi mi sembra già in azione nella società, che forse sta precedendo i missionari evangelici nella trasfigurazione del mondo. Lo Spirito è capace di far risorgere i morti dai sepolcri!

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GENITORIALITÀ E GUERRA TRA I SESSI

Dario Accolla
Italialaica, 19/2/16

Una volta ero a cena, con amici e amiche. Si parlava di coppie di fatto, erano i tempi dei DiCo. Uno di loro mi disse: «Bravo, fate bene e lottare per i vostri diritti». Al di dà di quel possessivo, così distanziante, emerse nella discussione anche il suo netto “no!” alla genitorialità di gay e lesbiche. Una ragazza gli fece notare che il suo sistema di pensiero era, per così dire, vintage. La sua risposta: «Zitta tu, senza noi uomini voi femmine non siete niente». In questa affermazione si racchiude l’essenza dell’opposizione all’omogenitorialità nel dibattito in corso sulle unioni civili. Un niet che si basa su un concetto molto semplice: quello della guerra tra i sessi. Ma andiamo con ordine.

A sentire opinioni e punti di vista, nel sottobosco dei commenti sui social, fino alle esternazioni di esponenti più o meno illustri di certo vetero-femminismo (anche abbastanza mediatico e/o borghese), il problema della gestazione per altri è tutto nello sfruttamento del corpo femminile da parte del maschio che, a sentir loro, vorrebbe solo soddisfare un capriccio: quello di avere un bambino come oggetto di possesso. Pazienza poi che la GPA nasca per venire incontro alle coppie eterosessuali sterili e che i gay che vi ricorrono possono farlo in quei paesi in cui i diritti delle donne sono tutelati e attraverso legislazioni che pongono la gestante nelle condizioni di scegliere o meno se affrontare questo percorso. Il fatto è – a quanto pare – che se c’è un uomo che decide, insieme al suo compagno, di mettere al mondo un bambino si viene a creare uno squilibrio.

L’argomento che si oppone all’omogenitorialità e, nello specifico, a quella maschile dentro certi frangenti non è tanto il fatto che l’infante ha bisogno di un padre e di una madre – questo è mantra “familydaystico” – quanto che la maternità è cosa esclusivamente femminile. Peccato che nessuno lo metta in discussione: nessuno pretende di partorire in luogo delle donne. E all’accusa, rivolta anche alla mia persona, per cui sostenendo la GPA mi qualifico come sfruttatore di donne, rispondo: io penso che esistano le persone e la loro autodeterminazione. Se una coppia omosessuale decide di avere prole e se c’è una donna che, liberamente, permette che ciò avvenga, perché opporsi? Il vecchio adagio de “il corpo è mio e lo gestisco io” vale fino a quando si elimina la figura del maschio nell’agito delle maternità? (E si badi, sto usando il plurale).

C’è poi tutta la retorica del miracolo della vita. Da quella ecclesiastica a quella veterofemminista. Letture abbastanza differenti tra loro, ma con un punto in comune abbastanza ingombrante: le coppie gay non possono accedere a tale “miracolo”. O perché Dio ha fatto in modo che ciò avvenisse attraverso metodi che non prevedono le tecniche di fecondazione artificiale o perché il materno, nella seconda ottica, è cosa esclusiva per donne. E si ricade, quindi, nell’argomentazione dello sfruttamento, dei bimbi urlanti strappati a povere madri schiacciate dalla povertà e ridotte a incubatrici e tutta una sequela di racconti di quella rozza mitologia del presente che ha un solo scopo: escludere il maschio omosessuale dalla scelta genitoriale.

Credo che un bambino o una bambina comincino ad essere, a livello concettuale, nel momento in cui si decide di portarlo al mondo o di tenerlo, nel caso di gravidanze non programmate. Mi è stato detto: «Senza noi donne, voi maschi non potete far nulla». E rimando, dunque, all’aneddoto di apertura di questo editoriale. Dopo anni di guerra tra sessi, l’idea che uomini e donne producano modalità solidaristiche è destabilizzante. Me ne rendo perfettamente conto. Lasciar accedere al “miracolo della vita” soggetti che decidono di crearla, invece che sottostare a certi limiti “naturali” è qualcosa che non può piacere a chi, per ragioni opposte, su quell’asimmetria ha basato la ragion d’essere del proprio sistema di pensiero e di potere.

In buona sostanza, ammettiamolo: il problema è la genitorialità maschile. Perché se da una parte stravolge la visione eterosessista dei rapporti tra generi, sbilanciata sulla figura dell’uomo, dall’altra priva certo femminismo della sacralità/unicità del essere “madre”. Tradotto: certe donne riescono ad essere pessime esattamente come quei maschi da cui vorrebbero prendere le distanze. Non riuscendo ad ammetterlo, non rimane loro che prendersela con i padri gay.

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Rispetto per le scelte di coscienza di chi ricorre alla  maternità surrogata  ma essa è in contraddizione con criteri etici generali

Vittorio Bellavite  di Noi Siamo Chiesa

Le notizie di oggi sul caso Vendola stanno riaprendo immediatamente la discussione durata troppo a lungo sulla cosidetta  step child adoption conclusasi in Parlamento in modo che a me sembra molto discutibile. Il tanto parlare e discutere di queste settimane hanno permesso all’opinione pubblica una conoscenza di questioni che prima era riservata agli addetti ai lavori. Ciò mi permette alcune considerazioni per punti sintetici senza riprendere ogni aspetto dei problemi  in questione.

—tutti concordano che tutto (leggi, magistratura, servizi sociali, famiglie coinvolte)debba avere come riferimento principale l’interesse dei bambini  e la loro crescita all’interno di una famiglia accogliente;

—le informazioni  che abbiamo acquisito ci dicono che ci sarebbero ancora nel nostro paese  35.000 bambini negli orfanatrofi. Un numero enorme, incredibile.  Inoltre   nel 2015 oltre 250.000 bambini sotto i 14 anni e 125.000 tra i 14 e i 17 sono nella condizione dei richiedenti asilo in Europa provenienti dall’ondata immigratoria fuori controllo; si può pensare per essi a una qualche forma di affido o altro anche con istituti giuridici ad hoc?

— d’altro lato a  ogni dieci richieste di adozione corrisponde  un solo bambino adottando e le adozioni internazionali sono calate in un anno del cinquanta per cento. Le procedure sono lente, costose, il sistema non funziona,  la legge in vigore è inadeguata  e ci sono anche tanti bambini a disagio in famiglie etero “normali”.Ci troviamo di fronte a una vera e propria “emergenza infanzia”;

—in questa situazione “Noi Siamo Chiesa” nel suo testo del 27 gennaio, discutendo della legge Cirinnà, ha ipotizzato   di fronte al punto più controverso, l’allora art. 5 (che poneva indirettamente il problema della maternità surrogata) una riforma che liberalizzasse il sistema delle adozioni allargando l’area dei soggetti adottanti e adottabili fino a comprendere, tra i primi, i single e le coppie omo. Si tratta di modificare tutta la normativa oltre che la consistenza  e la qualità   dei servizi sociali competenti;

—in questo modo si può ipotizzare un incontro  virtuoso   tra il bisogno di così tanti bambini, non solo italiani, e il desiderio legittimo e comprensibile di genitorialità di tante coppie infertili, a partire da quelle gay. Penso che l’aspirazione alla maternità e alla paternità di sangue non possa  essere considerata alla pari di un diritto da perseguire in ogni modo. Tutti ormai lo sappiamo: la logica del possesso/proprietà del figlio proprio  dovrebbe  essere superata da una relazione affettiva ed educativa che è compatibile con un rapporto diverso dalla genitorialità di natura;

Dopo e insieme a questa riflessione sull’infanzia,  la maternità surrogata mi appare come l’ espressione di un punto di vista e di una sensibilità di fatto egocentrica che è in contraddizione con dati certi: il rapporto intimo madre-figlio attestato da tanti studi specifici, l’utero non è un organo qualsiasi, la logica neoliberista cerca di impadronirsi della libertà e della sostanza stessa della femminilità per realizzare profitto, lo spirito della civiltà europea va in ben altra direzione, le possibili e non infrequenti  difficoltà giuridiche e affettive di vario tipo  prima e dopo questo tipo di maternità. Sono confortato in questa convinzione dal formarsi di un senso comune collettivo, almeno nel nostro continente,  che si è manifestato al Parlamento europeo con il voto del 17 dicembre  che ha ritenuto “la pratica della gestazione per altri contro la dignità della donna  e da esaminare con priorità nel quadro degli strumenti di difesa dei diritti dell’uomo”.  Inoltre  a Parigi il due febbraio è sorta  una iniziativa di grande importanza, nata nell’ambito del movimento femminista e con l’appoggio delle istituzioni,  per promuovere una convenzione internazionale per l’abolizione, ovunque nel mondo, della maternità surrogata. Il nostro paese dovrebbe- mi sembra- associarvisi  senza distinzioni  di parte ma non so se questa opzione di fondo sia possibile od opportuno  abbia  conseguenze nel diritto interno che vadano  aldilà del reato con cui viene sanzionata nel n.6 dell’art.12 della legge n. 40 la maternità surrogata che avvenga nel nostro paese. Mi sembra comunque  che, di fronte a casi concreti  di  maternità  di questo tipo che avvengano  all’estero, come la cronaca ci dice, da parte di coppie omo od etero, debba essere vagliata e decisa caso per caso dalla magistratura la condizione del bambino, ovviamente nel suo interesse che deve essere considerato assolutamente prioritario.

Constato che esistono situazioni in cui la maternità surrogata, in determinate circostanze e in determinati paesi , è considerata, da chi vi accede, moralmente legittima  e quindi degna di  tutela.   Mi sembra  che  meriti assoluto  rispetto  ogni decisione di coscienza per un tale comportamento . Ma ciò non può significare l’accettazione di fatto o di diritto della maternità surrogata perché credo che essa  sia un’opzione  in contraddizione   con criteri etici generali  oltre che, spesso,  con norme di diritto positivo.