Più vicina la riabilitazione di Franzoni, l’abate epurato dalla Chiesa per le sue idee di sinistra di C.DiCicco

Carlo Di Cicco
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Nel convegno per ricordare l’ex abate di san Paolo ha preso parte anche il vescovo ausiliare di Roma Sud Paolo Lojudice. Il gesto è un primo segno di un modo diverso della Chiesa di Francesco nel valutare l’opera di Franzoni

Un segnale del nuovo stile cristiano che, sebbene a fatica, avanza nella Chiesa cattolica, proposto da papa Francesco. Potrebbe essere visto così, con qualche fondamento, la sensazione che qualcosa inizia a cambiare concretamente anche in un altro caso spinoso per la credibilità della Chiesa quale è stato nei decenni successivi al concilio Vaticano II il caso dell’ex abate Giovanni Franzoni.

Forse si è precipitosi e ottimisti a pensare che Giovanni Franzoni possa essere riaccolto nella verità e nella giustizia di una memoria pacificata, dopo essere stato additato come un pericolo per la fede.

Ex abate benedettino di san Paolo fuori le mura, figura di primo piano nella contestazione ecclesiale degli anni dopo il concilio, fu epurato negli anni ’70 del secolo scorso con l’espulsione e la riduzione allo stato laicale per le sue posizioni dottrinali aperte e le scelte politiche di sinistra.

Una punizione apparsa perfino quasi vendicativa, certamente accanita specialmente perché consumata su questioni discusse e discutibili e non sui fondamenti del Vangelo di Gesù.

Il segno di una resipiscenza istituzionale per ora è esile ma fondato se le cose hanno un senso. E’ accaduto infatti che al ricordo pubblico promosso dalla comunità cristiana di base di san Paolo, nata e cresciuta con Franzoni e perciò vissuta ai margini della Chiesa di Roma, a un anno dalla morte e in occasione del 90° compleanno di Giovanni Franzoni che sarebbe caduto il 13 novembre scorso, ha presenziato anche un vescovo ausiliare della diocesi di Roma. Cioè la stessa che gli aveva dato il benservito quarant’anni fa.

Dietro invito ricevuto infatti, nella seduta inaugurale dei lavori del 9-10 novembre, oltre all’attuale abate della comunità monastica della basilica, è stato presente con un breve saluto il vescovo ausiliare di Roma Sud Paolo Lojudice. Presenza significativa come significativa è stata la sede ove il convegno ha avuto luogo: il teatro dell’abbazia annessa alla basilica di san Paolo fuori le mura.

E’ stato un ritorno al luogo di origine della comunità da quando, nell’estate del 1973, l’abate Franzoni dietro richiesta e pressione del Vaticano accettò di dimettersi e le persone che fino ad allora si radunavano con lui in parrocchia furono costretti a trovare una sede nuova di riunione.

Franzoni allora restava comunque ancora monaco benedettino e in tale veste si schierò nel 1974 contro l’abolizione della legge sul divorzio. Per questo venne sospeso “a divinis” e quando due anni dopo nel 1976 annunciò pubblicamente il suo voto per il PCI fu ridotto allo stato laicale.

Questa punizione impressionò molto negativamente l’opinione pubblica, dal momento che da abate Franzoni aveva preso parte a due sessioni del concilio Vaticano II, divenendo così uno dei padri conciliari.

Nel ricordo storico ufficiale di Giovanni Franzoni tratteggiato con estrema sobrietà e serenità dal giornalista Luigi Sandri, uno dei primi componenti la comunità di san Paolo, si è posto un interrogativo imprescindibile per un giudizio di merito sull’operato dell’ex abate. “Valutando a oltre 40 anni di distanza questi eventi – ha detto Sandri – non si può evitare di porsi una domanda: “Con quelle sue scelte, Giovanni fu fedele al concilio o un interprete arbitrario dei suoi contenuti? Per noi che abbiamo accompagnato i suoi passi per oltre 45 anni, la risposta è: fu fedele”.

Ma la legge canonica del tempo fu di parere diverso e intorno a Franzoni fu tessuta una tela di progressivo isolamento e demonizzazione tale che la rottura divenne irreparabile.

Il giudizio di condanna senza appello sotto la parte finale del pontificato di Paolo VI, perdurò invariato anche sotto il pontificato di san Giovanni Paolo II, il papa di cui Franzoni nel 2007 si disse contrario alla canonizzazione. Proprio in quella circostanza fu la franchezza con cui Giovanni Franzoni affrontava le questioni di vita cristiana che apparve lampante. Toni che potevano sembrare intransigenti; in realtà esprimevano la scomodità dell’essere cristiani senza ipocrisie di sorta.

Dai documenti ufficiali dell’iter per la beatificazione di Wojtyla si apprendono i numerosi motivi per cui Franzoni era contrario. Tra i tanti vale citarne uno, il concubinato del clero, che indica la prospettiva che muoveva le scelte dell’ex abate il quale non cessò mai di farsi carico della Chiesa e della sua conformità al Vangelo riletto attraverso il concilio Vaticano II.

“E’ un aspetto del celibato – si legge nel testo dell’ex abate nei confronti di Wojtyla -. Con ciò non intendo affatto dire che tutto il clero sia oggi concubinario: assolutamente no! Tutti conosciamo preti lieti e fedeli al loro celibato e carichi di umanità. Ma certo, per una parte, sia pure limitata del clero il problema esiste […]. La sua esasperata difesa della legge in atto ha dimenticato un particolare decisivo che un pastore saggio in alcun modo potrebbe ignorare: il problema dei figli dei preti e delle donne dei preti.

Obbligando i preti latini che, in relazioni clandestine, avessero avuto dei figli, ad assumersi apertamente le loro responsabilità e dunque a sposarsi per essere – coram populo – padri amorosi dei loro figli e sposi affettuosi di donne non più tenute nascoste, si compirebbe un gesto di giustizia. Ribadendo invece astrattamente la legge del celibato, di fatto si esimono questi presbiteri dall’assumersi le loro responsabilità e si permette loro di continuare a trattare le madri dei loro figli come persone senza diritti.

Sono migliaia e migliaia nel mondo –dalla Germania al Brasile al Congo – i figli dei preti che non hanno diritto di avere una normale famiglia essendo i loro padri inesistenti. Una tale situazione lede moti diritti umani e stringe il cuore. E’ impressionante che Wojtyla non abbia mai voluto affrontare pubblicamente questo tabù, preferendo le certezze dell’istituzione alle dolorose conseguenze derivanti dall’addentrarsi con realismo nelle problematiche concrete della vita, spesso assai complicate”.

Uno sguardo lungimirante se posto accanto agli scandali della pedofilia scoppiati in questi anni che hanno costretto la Chiesa a correre ai ripari con energia.

Questo parlar chiaro di Franzoni urtava in maniera irrimediabile l’istituzione e i suoi dirigenti. Ma nel suo cuore non finì mai di sperare un tempo di ascolto rinnovato e di conversione della Chiesa capace di accompagnare con misericordia la vita delle persone concrete.

In uno dei momenti difficili di solitudine confidò un pensiero che altre volte mi ha ripetuto. Suona quasi letteralmente in questi termini “Eppure, in questa difficile battaglia tra lo Spirito e l’istituzione, ci vorrà molto tempo, ma alla fine sarà lo Spirito a spuntarla. La Chiesa ha un futuro perché nel concilio ha ascoltato lo Spirito. Ci meraviglieremo un giorno per aver tanto resistito al suo soffio dando importanza a cose secondarie che nel tempo muoiono, anziché diffondere vita. A volte la mia vita sembra paradossale perché mi trovo colpito per l’amore con cui ho cercato di vivere la Chiesa del concilio”.