Un uomo, una storia, una chiesa altra

Appunti a margine di un incontro con Giovanni Franzoni

di g.g.
da teologiaeliberazione.blogspot.com

Chi è Giovanni Franzoni? E’ difficile dirlo, non si può fare di certo in poche parole. Incontrarlo fa un certo effetto: stare faccia a faccia con un padre del Concilio Vaticano II, con una delle personalità più importanti e significative del cosiddetto dissenso cattolico, una delle figure di rilievo del movimento delle comunità di base.

Appena si scorge la sua figura, incombente, quasi possente, ma al momento stesso semplice ed essenziale si ha l’impressione di essere di fronte ad un uomo di grande autorevolezza che porta su di se l’odore della storia. Inizialmente potrebbe mettere soggezione – così al primo sguardo – subito dopo averlo sentito, dopo aver visto le sue labbra e il suo sguardo aprirsi, dopo aver notato quel suo sorriso ammiccante e quasi ingenuo; con quella sua aria dimessa che prefigura un senso di autentica semplicità, tipica degli individui che hanno avuto la forza della libertà, ti mette subito a tuo agio, e nonostante la grande differenza di età, hai l’impressione di parlare con un amico che conosci da sempre.

Franzoni ha presentato a Torino il volume che raccoglie alcuni suoi scritti sui beni comuni tra cui la celebre lettera pastorale “La terra è di Dio” del 1973. E’ sostanzialmente un uomo che guarda al futuro, le sue riflessioni sui beni comuni lo portano ad interrogarsi sull’utilizzo dello spazio e della luna, ma al tempo stesso è fedelmente ancorato alla realtà, alla storia, alle vita concreta. Caratteristiche tipiche degli spiriti profetici.

Sentendo raccontare la sua storia, le lotte con gli operai, il sostegno al cambiamento, le sue dimissioni obbligate da abate di San Paolo fuori le Mura a causa delle sue posizioni a favore degli ultimi, la sua sospensione a divinis dopo la presa di posizione sul referendum sul divorzio, si di ripercorre la storia della Chiesa degli ultimi 40 anni. Quello che colpisce è che per Giovanni si tratta di cose normali, di poco conto per il presente perché un anelito, una profonda e santa inquietudine lo spingono a pensare al presente e all’eredità che questa generazione lascerà alla propria prole.

L’ex abate di San Paolo è semplice, umile davvero, non pecca senz’altro di pretenziosità e di saccenteria. Nei suoi occhi si scorge un barlume di complicità e di vicinanza umana che lo fa sembrare molto più giovane, come un ragazzo che si sta affacciando a vivere la vita.

Il suo impegno a favore di una chiesa altra, un impegno normale, non eroico, fatto di scelte concrete e coerenti lo porta ad interrogarsi sul futuro di questo nostro mondo, di questa nostra “Terra di Dio”. Gli preme ricordare che la “Terra è di Dio” e “anche il cielo è di Dio”. Il suo lavoro si spinge nella ricerca di un’elaborazione laica, di un concetto giuridico, che affermi l’intangibilità dei beni comuni, delle risorse del Pianeta a favore dei poveri e di coloro che non hanno mai potuto godere dell’eredità comune e universale di Dio.

Intervista a Giovanni Franzoni

D) Quando tu contavi in seno alla struttura gerarchica della Chiesa, il tuo atteggiamento e i tuoi scritti hanno avuto grande risonanza ecclesiale e sociale, hanno portato una ventata di rinnovamento, hanno destato attesa e speranza in molte coscienze. Che cosa resta, secondo te, nel Franzoni che sei ora, di profetico? Avverti un certo fallimento o ti senti più autentico? E non ti sembra di aver pagato caro la tua autenticità?

R) Credo che non possiamo misurare i risultati calcolando i tempi, non possiamo sapere se avremo una eco. Posso dire che a oggi sono stato sconfitto, come la nostra generazione, che, dal dopoguerra agli anni 70, ha enunciato una serie di valori, convintissima che fossero vincenti e validi per le generazioni future, pur se in contrasto con le regole e le posizioni conservatrici. Invece, in questi ultimi anni, ho dovuto constatare che stiamo cadendo nella tenebra, soprattutto guardando a quello che è successo poi in Asia, in Bosnia e, in questi giorni, in Israele. La nuova generazione non ha recepito questi messaggi: noi seguitiamo a vantare M.L.King, Balducci, l’”uomo planetario”, e seguiteremo a crederci, ma ho la netta sensazione che la generazione futura non li accoglierà. Per esempio oggi, dopo l’omicidio di Rabin, la maggioranza del popolo israeliano ha avuto per un attimo un risveglio di coscienza. Ma poco più di un mese fa era stata fatta un’inchiesta nelle scuole israeliane e il 70% degli studenti israeliani considerava Rabin un traditore. Da questa area così vasta, da questa base (inutile che seguitiamo a gloriarci di essere Comunità di Base!) vengono spesso risposte di questo genere, perché tende all’identità, alla sicurezza per sé e per la propria famiglia; non apprezza, non stima chi si adopera per un cambiamento aperto alla solidarietà, verso “gli altri”. Guardate i gruppi di pacifisti, di manifestanti: sono perlopiù persone di mezza età. Non che manchino i giovani, ma credo che non siamo riusciti a trasmettere il convincimento che l’intelligenza politica e la forza della non-violenza possano vincere la brutalità. In questo senso è giusto essere frastornati, ma non vedo alternative se non nella direzione del confronto.

D) I tuoi ultimi scritti ci fanno ritrovare un Franzoni-uomo-cristiano senz’altro vicino alla gente qualunque, molto più di quanto non lo sarebbe stato il Franzoni-abate, quasi vescovo. Ci piacerebbe che fossero in molti a cogliere il tuo messaggio di laicità profondamente religiosa nella sua essenzialità e semplicità. Ti chiedi come sia possibile diffonderlo ancora, pur restando ai margini della Chiesa? O credi che esso sia più efficace (anche se non per i credenti tradizionali), proprio perché “marginale”?

R) La domando è corretta ma si sottrae ad una realtà importante: quella dei mass-media. Come si fa a parlare di maggiore o minore presa sulle “masse”, se noi non passiamo attraverso i mass-media? Si possono esprimere anche delle idee importanti, avanzate, delicate… anche con la preoccupazione di mediare, ma hanno poca risonanza quando i mass-media passano altri messaggi. Per esempio: scrivo sul diavolo (argomento di cui mi interesso) e poi vediamo trasmissioni come “Mixer” o “Misteri” in cui la mia posizione non è rappresentata. I mass-media possono quindi presentare posizioni conservatrici e altre più libere, ma mancherà loro sempre la posizione che sconvolgerebbe i termini del problema. Parlando del diavolo, i mass-media pongono la domanda “Esiste o no?”. Io supero questo problema, perché ritengo che, esista o no, all’interno dell’immaginario cristiano non è possibile pensare che Dio condanni un suo figlio ad essere dannato per l’eternità. Ciò è in contraddizione con la sua bontà. Ma su questa posizione nessuno si misura, c’è quasi un rifiuto preventivo anche solo di presentare questa posizione.

D) Come parleresti oggi della povertà di cui hai trattato ne “La terra è di Dio”?

R) Ho scritto “La terra è di Dio” nell’imminenza dell’Anno Santo 1975, precisamente nel 1973. Ora, dopo un momento di crisi, sto riflettendo sull’opportunità di scrivere un’altra lettera, questa volta personale. Dal confronto con amici della comunità è emerso che varrebbe la pena che io scrivessi nuovamente, in occasione del prossimo Anno Santo. Parlerò di nuovo dell’”anno sabbatico”. Come allora mi riferii all’anno descritto nel libro del Levitico (l’anno in cui la terra deve riposare e le terre espropriate devono essere restituite a chi le ha perse) come metafora dei problemi del 1975, così ora parlerò di problemi attuali. La lettera uscirà in occasione del settecentenario della morte di papa Celestino V, colui che “fece per viltade il gran rifiuto”. Questa lettera riguarderà il riposo della terra: il tema di fond
o sarà quello ecologico, il nostro tipo di sviluppo scientifico e tecnologico, che incalza, creando gravi problemi all’equilibrio del pianeta, quali lo spreco di risorse, l’inquinamento,… Il titolo probabilmente sarà: “Il riposo della terra”.

D) Qual è il tuo rapporto con la Comunità di Base di Roma? Ad osservare dall’esterno pare che la tua posizione non sia quella di un vero e proprio leader, come avviene presso altre Comunità di Base. Forse dai esempio di spirito democratico e comunitario (orizzontale). Ma non potresti salvare tale spirito e dare allo stesso tempo impulso vitale alle CdB, che tendono ad essere un prolungamento di ciò che erano nel ‘68, senza riuscire ad esprimere una vera novità nella o accanto alla Chiesa?

R) Questa domanda è pungente e provocatoria. Non voglio mettermi a confronto con altre persone. Oggi, per fortuna, io posso essere con voi mentre, a Roma, la Comunità di Base vive un momento importante. É infatti il centenario della comunità metodista di via XX Settembre e oggi celebriamo il culto con loro. Voi direte: “Mancava Franzoni!”. Benissimo: sono profondamente lieto del fatto che non manca proprio nessuno, perché alcuni componenti della Comunità hanno steso un documento, ci siamo consultati per telefono ed è stato affidato ad un membro della Comunità il compito di leggerlo. Sono davvero lieto che la mia assenza sia irrilevante, non credo che sia importante la mia presenza autorevole nelle CdB. Anzi, vorrei stimolare tutte le comunità a fare come la nostra: la presenza di persone con una certa preparazione e storia è utile, ma non indispensabile. Mi spiace che alcune realtà appena manca il sacerdote o il leader si sciolgano. Mi sembra di capire che a questo punto sia necessario un servizio di animazione da parte di tutte le comunità. Ma il problema mi sembra un altro: è la mancanza di ascolto da parte della realtà ecclesiale e sociale italiana.

D) L’uomo-Franzoni ultimamente si è sposato. Un fatto che pare tu faccia passare in sordina, che almeno non fai risaltare come significativo per una nuova testimonianza di coppia. O ti pare che nulla di sostanziale sia cambiato nella tua vita dal punto di vista “profetico”? Sei, forse, rimasto con la mentalità del prete-monaco?

R) Ho conosciuto Yukiko (trascriviamo il nome così come è stato pronunciato, N.d.R.) durante un viaggio in Nicaragua. Lei, giapponese, non è credente, pur avendo un fondo culturale buddista, soprattutto sul piano etico (rispetto per le persone, gli animali, le piante,…). Dato che lei non è credente, non aveva senso che io pubblicizzassi la cosa. Ci siamo sposati per dare un minimo di formalità al nostro rapporto, soprattutto dal punto di vista legale, ma avremmo potuto anche semplicemente vivere insieme. Ci siamo sposati presso l’ambasciata italiana a Tokyo: non abbiamo voluto né potuto fare un “rito” in comunità… Io lo avrei anche fatto, ma lei si sarebbe sentita trascinata. Lei apprezza la comunità come modo di stare insieme (ha alle spalle esperienze simili, nell’ambito dell’insegnamento ai sordomuti), ma il nostro insistere sul tema Dio, preghiera, fede le è estraneo.
La mia percezione dei problemi umani ed etici è profondamente cambiata dopo il matrimonio. Nel monastero la convivenza e l’attrito che ne deriva sono poco avvertiti. Ciascuno ha la sua camera, gli unici contatti sono nell’eventuale lavoro in comune e nella ricreazione. Vivere con una persona, invece, porta a “pestarsi i piedi”: utilizzare gli stessi locali, gli stessi strumenti in un appartamento di 45 mq è difficile. Per me tutto questo ha significato “prendere terra”, scoprire come involontariamente si possa essere violenti, e si percepisca da uno sguardo, da un movimento della bocca che abbiamo ferito l’altro. Da allora sono diventato molto prudente nel dare consigli agli altri, dopo aver avuto tante certezze, dopo aver predicato… Ecco, oggi, non più per i motivi di libertà o giuridici delle CdB di 20 anni fa, ma per motivi concreti, consiglierei ai sacerdoti di non parlare di coppia, di amore, di rapporto uomo-donna, oppure, se vogliono parlarne, lo facciano per conoscenza più o meno diretta.

D) Puoi spiegarci meglio la tua posizione sul tema del male e del maligno?

R) Non nego l’esistenza del maligno come entità vivente che compie il male, ma rifiuto la concezione del diavolo legato alla dannazione eterna. Il libro “Il diavolo mio fratello” ha avuto nella sua traduzione tedesca un sottotitolo giustissimo: “L’abbandono del concetto di dannazione”.
Alcuni sostengono che Lucifero, angelo prediletto di Dio, per un qualche motivo (per alcuni perché posto di fronte al fratello Gesù Cristo e alla sua incarnazione) si sia ribellato alla volontà di Dio Padre e per questo sia stato condannato per l’eternità. Altri affermano che ora avrebbe conquistato il dominio sugli uomini. Tutto questo è estremamente negativo, soprattutto perché dilaga la tendenza ad assoggettarsi a pratiche esorcistiche, specialmente in America Latina, e questo è pericoloso.
Non posso dire “Non esiste un essere perverso”: questa frase non ha senso dal punto di vista epistemologico, perché gli attribuirei comunque una soggettività che io esito ad asserire, sarebbe come se dicessi “Esiste”. Preferisco dire che tutto il linguaggio usato per parlare del diavolo è riconducibile, in una visione monistica, piuttosto al sogno origeniano che noi partecipiamo: non c’è nessuna creatura condannata ad essere se stessa per l’eternità, la morte non è la fine di tutto. Quindi, di fronte al mito dell’immortalità dell’anima, secondo cui una persona, al momento della morte, viene “congelata” nel suo stato di opposizione o di armonia con Dio e quindi raggiunge la dannazione o la salvezza, pongo il mito della reincarnazione (non credo neanche in questo però) che mi sembra più dolce e accettabile. Preferisco una sorta di sospensione del giudizio. Per noi, al di là di questa vita, chi ha compiuto il male è perduto. Ma non possiamo sapere che cosa ne sarà per Dio. Su questo sono d’accordo Buddismo, Islam e Chiese Protestanti. Solo noi cattolici ed alcune sette protestanti siamo rimasti al concetto di dannazione irreversibile ed eterna. Non condivido neppure la teoria di Urs von Balthasar, secondo cui, se Dio è misericordioso, l’inferno esiste, ma è vuoto. Mi è parsa una soluzione barocca, un concetto inutile e perverso, che serve solo a salvare il principio che l’inferno esiste. Preferisco la posizione islamica secondo cui l’eternità è un cavaliere che passa e sfiora con il mantello una montagna di granito robusto. Passa una volta ogni secolo e quando la montagna sarà stata totalmente erosa dal lembo del mantello, allora comincerà l’eternità. Se chiediamo a un musulmano “Allah può perdonare?”, egli risponderà “Allah è grande”; noi invece nel nostro immaginario siamo più superbi.

D) Molti di noi credono nell’immortalità dell’anima e in una vita eterna che appaghi la nostra sete di felicità, di giustizia, di bellezza. Sapere che la vita non finisce con la croce, ma che c’è una resurrezione per ciascuno di noi, come persone singole da loro molta gioia. Cosa ne pensi?

R) Non userei la parola “eterno” applicandola alla creatura. Credo che si possa usare la parola “immarcescibile”. La creatura non è eterna in quanto non scavalca la temporalità, ha avuto un inizio e per questo possiamo paragonarla a una semiretta. Una creatura eterna mi sembra competitiva con Dio. L’altro pericolo è pensare che tutto sia frutto della casualità. La vita è nata da un incidente e finirà per un incidente. Questa ipotesi del nulla di significato mi spaventa più che il non sapere se io personalmente sopravviverò nella mia identità o se mi immergerò nel grande respiro dell’Universo (anche se preferirei sopravvivere con la mia identità).
In tutte queste incertezze, di una cosa sono però certo: non credo a s.Tommaso quando dice che i beati si
beeranno ulteriormente vedendo le sofferenze dei dannati.

D) Pensi che una grandissima parte del “male di vivere”, della sofferenza umana, è dovuta all’essere umano?

R) Credo che sia dovuta alla vita. Credo abbastanza all’evoluzionismo, nel senso che anche il male è servito allo sviluppo, alla crescita. La società odierna, con tutte le sue convinzioni e valori è nata, per evoluzione, da società in cui questi diritti erano negati. La tendenza predatoria dell’essere umano porta alla sopraffazione per soddisfare i propri bisogni, per cui il mio bene è impadronirmi della mia sicurezza e il mio male è perderla. Ma c’è un’altra tendenza, che chiamo “anomalia del divino”, che ci porta a guardarci intorno e a scoprire che il nostro bene si può anche condividere. Ma questa scoperta fa parte anch’essa dell’evoluzione. Pensiamo ai malformati: per centinaia di migliaia di anni i bambini malformati sono stati buttati via. Poi, una notte, una donna ha avuto un bambino malformato e ha detto al suo uomo “Perché buttarlo?”. Ecco, da quel giorno la legge della selezione naturale è stata smentita. Forse loro due sono stati uccisi dalla tribù, ma qualcuno ha insistito. Se oggi siamo arrivati a chiudere i manicomi, con tutti i problemi che ne sono derivati, se siamo arrivati ad integrare gli handicappati nella società, ad enunciare i diritti del fanciullo, se stiamo addirittura “delirando”, enunciando la parità di condizione della donna ed il valore della differenza sessuale, deve esserci qualche anomalia nella legge della selezione naturale. Non siamo nel prato, non siamo nella foresta…