Dio come creatività dell’Universo di J. Arregi

José Arregi
(teologo basco – www.josearregi.com)

Vale ancora la pena parlare di “Dio”? Sinceramente, non lo so, ma con tutti i dubbi, per molte persone – e per me stesso – rimane ancora un buon modo per esprimere il Mistero ineffabile più profondo e migliore dell’universo, nonché una fonte ispiratrice di giustizia e pace in un mondo che ne ha tanto bisogno.

La parola “Dio” (Deus, Dieu, Dio…), derivata dalla radice indoeuropea deiw (“luce”), è una metafora: un’espressione che, al di là del suo significato, ci rimanda all’Ultimo Mistero o alla Prima Realtà ineffabile. Lo stesso accade con la parola “God” (o Gott…), derivata dalla radice indogermanica gheu (“invocare”), e così potremmo continuare, di metafora in metafora, con tutte le parole con cui nelle diverse lingue si dice “Dio”. Sarebbe una bella e umile teologia metaforica, rivelatrice dell’Ineffabile.

“Creatività” mi sembra una delle concretizzazioni metaforiche più suggestive del Mistero dei misteri, della Realtà di tutte le realtà, di Dio. Così lo propose più di un decennio fa Stuart Kauffman (1939-), illustre biologo, premiato nel 1987 con il premio MacArthur per il “genio”, studioso della teoria della complessità, “umanista secolare” nelle sue stesse parole, pensatore visionario ai confini della scienza. Afferma categoricamente di essere ateo del “Dio” teista (Essere supremo onnipotente, creatore, personale e distinto dal mondo), e con altrettanta fermezza afferma che oggi, mentre il XXI secolo avanza rapidamente, per salvare l’umanità e la comunità dei viventi, dobbiamo riscoprire e riconoscere la sacralità dell’universo, e che la vecchia parola Dio può ancora esserci utile e necessaria per riferirci giustamente a quella sacralità e vivere di conseguenza. Ovviamente, ciò richiede di reinventare Dio o la sacralità (cf. il suo libro Reinventing the Sacred: A New View of Science, Reason and Religion, 2008). Riassumo in modo libero alcune chiavi fondamentali del pensiero dell’autore a riguardo.

È necessario, afferma, “reinventare il sacro naturale” o il “Dio naturale”. Evidentemente, “il sacro” non è per lui qualcosa in opposizione a “il profano”, né “naturale” significa qualcosa subordinato a “soprannaturale”. “Naturale” designa tutta la natura, l’universo di tutto ciò che esiste, e “sacro” è tutta la natura nella misura in cui suscita meraviglia, riverenza, rispetto, responsabilità. Riflettiamo su ciascuno di questi termini.

Il riconoscimento della creatività ispira, fonda, sostiene l’etica. Contemplo la realtà permeata, abitata, mossa dalla misteriosa energia o dinamismo creatore, e sono colto dalla meraviglia. La meraviglia mi porta alla riverenza: oh sacra realtà in movimento perpetuo, relazione e trasformazione, tu che ci fai essere e a cui facciamo essere!, oh cerchio infinito con il centro in tutto, senza circonferenza né inizio né fine!, ti adoro e ti invoco in tutto, al di là e al di qua di tutto. La riverenza mi spinge al rispetto assoluto di tutti gli esseri, dalle particelle alle galassie e al multiverso, se esiste: sono in relazione con tutto, nulla mi è estraneo, da tutto ricevo e a tutto sono debito. Il rispetto mi ispira e mi incita alla responsabilità: tutto mi chiama, mi interpella, mi invoca. Amerai il prossimo come te stesso, e così sarai te stesso.

La creatività universale non è esterna all’universo. Non c’è azione né agente esterno, non c’è un “Dio” che agisce dall’esterno. La realtà universale è autocreativa, eterna o transtemporale. “Fiat”, dice Dio una e un’altra volta nel mito biblico della Genesi. Che tutto si faccia da sé lasciandosi creare da tutto e contribuendo allo stesso tempo alla creazione di tutto. Questo è Dio, “Dio sufficiente”, dice Kauffman. È più intimo e più infinito di qualsiasi “Dio” immaginato come Essere Supremo personale, che in fondo finisce per essere un “Dio” antropomorfico e “particolare”.

La creatività significa che la realtà nel suo insieme si auto-costituisce attraverso l’emergere, quel fenomeno fondamentale per cui nuove forme o totalità spuntano grazie a organizzazioni più complesse di elementi più semplici. Una creatività misteriosa per cui da meno nasce di più. Le particelle si riuniscono e creano atomi, gli atomi si riuniscono e creano molecole, le molecole si riuniscono e creano cellule viventi!, le cellule si riuniscono e creano tessuti, organi, organismi incredibilmente complessi, funghi, piante, pesci, uccelli, mammiferi, primati ominidi, ominini… e ciò che verrà ancora, o ciò che esiste già e non conosciamo. Tuttavia, non possiamo fare a meno di pensare che nella semplicità esistesse la possibilità di unirsi in forme più complesse e di creare così forme ancora inimmaginabili. Cos’è la “semplicità”? È potenzialità.

La creatività fa sì che da elementi più semplici emergano nuove forme più complesse, qualitativamente diverse, irriducibili agli elementi da cui sono emerse. Nuove forme più complesse che sono governate da leggi diverse e dotate di proprietà diverse che non sono spiegabili solo dalle leggi che regolano le forme più semplici da cui emergono. “Più complesso significa diverso” (P. W. Anderson, Premio Nobel per la fisica). La biologia non si spiega senza leggi fisiche e chimiche né solo con esse. La spiritualità non si spiega senza leggi biologiche né solo con esse. La vita emerge dalla fisica e dalla chimica, ma non è riducibile ad esse; la mente emerge dalle cellule nervose, ma non è riducibile a esse; la coscienza emerge dal cervello, ma non è riducibile ad esso. Le molecole non sono riducibili agli atomi, né la cellula vivente alle semplici molecole, né lo scimpanzé – né l’uccello, né il pesce, né la pianta – a un semplice insieme di organi. Né l’intelligenza e la coscienza di un essere transumano che potrebbero emergere saranno riducibili alla nostra specie Sapiens. E, tuttavia, più complesso non significa in nessun caso né superiore, né più importante, né più degno.

La creatività significa anche che non esiste determinismo assoluto. L’universo autocreativo è una realtà aperta. Il futuro è imprevedibile, poiché non possiamo conoscere tutti i fattori emergenti che lo configureranno o tutte le nuove leggi a cui obbedirà. Ogni fenomeno – meteorologico, economico, politico… – è l’effetto di una serie infinitamente lunga e complessa di cause legate tra loro, e ogni fenomeno, per quanto insignificante possa essere, è allo stesso tempo l’inizio di un’altra serie innumerevole di fattori che potrebbero, alla fine, provocare inondazioni o siccità, raccolti o carestie, imperi e rivoluzioni, e alterare la storia. Il risultato finale è sempre il frutto imprevedibile della creatività.

Creatività sacra che lega tutto a tutto in un corpo cosmico interamente creato e creatore. Un corpo in cui ogni forma è un tutto formato da parti ed è contemporaneamente una parte di un tutto più grande. Un corpo in cui ogni parte è agente e ogni azione è creatrice, per il bene o per il male (se possiamo chiamare “creazione” un’azione che crea fame e miseria, guerra e distruzione, tante cose che ci fanno rabbrividire). Un corpo in cui tutti gli esseri sono, in comunione, co-agenti della Creazione o della Creatività infinita ed eterna.

La metafora della creatività evoca un Mistero ultimo, una Realtà prima, una Presenza eterna che trascende ogni contrapposizione tra materia-energia inanimata e spirito immateriale: la realtà originaria è contemporaneamente, eternamente, “materia-energia spirituale” che si crea e “spirito materiale” creatore. È la trascendenza dell’universo immanente e l’immanenza della trascendenza universale. La creatività non esiste se non nelle forme che si stanno creando, e le forme non esistono se non sono animate dalla creatività.

La metafora divina della creatività punta così oltre sia il teismo che l’ateismo, “può colmare il divario”, dice S. Kaufman, “tra coloro che credono in qualche forma di Dio e gli umanisti secolari come me che non lo fanno”. “Abbiamo bisogno di qualcos’altro”, aggiunge, “un nuovo tipo di spazio sacro”. Credo che sì. In questi tempi di profonda transizione culturale, dobbiamo certamente superare il vecchio teismo e i vecchi credi religiosi che, nella loro literalità, sono diventati insostenibili, ma dobbiamo anche superare, con le parole di Kauffman, “il deserto spirituale” in cui ci troviamo.

In sintesi, il biologo filosofo americano propone una nuova visione della realtà, della scienza e anche della religione, della sacralità o di Dio: “un nuovo Dio”, dice, “non come trascendente, né come agente, ma come la creatività stessa dell’universo”. E chiama tutti noi a uno sguardo mistico ed etico-politico al di là del positivismo scientifico e del dogmatismo religioso (che è un’altra forma di positivismo).

Ma perché continuare a utilizzare ancora il nome equivoco Dio per riferirsi alla sacralità dell’universo? S. Kauffman risponde: “perché Dio è il ‘simbolo più potente che abbiamo creato'”. Non so se sia una ragione sufficiente, ma il fatto è che miliardi di esseri umani designano ancora con la metafora “Dio” (in tutte le sue versioni) la realtà più reale, la più sacra e indicibile di tutto ciò che è reale: la creatività che la anima e ci interpella.

In ogni caso, non si tratta di utilizzare una parola o un’altra, di sostituire un nome con un altro. Non si tratta neanche di credere o smettere di credere in qualcosa. Si tratta di creare, di lasciarci creare e di essere agenti della creatività sacra, ovvero di fare in modo che dove c’è guerra mettiamo pace, dove c’è odio mettiamo perdono, dove c’è morte mettiamo vita e dove c’è distruzione mettiamo creazione.

Aizarna, 25 gennaio 2023

Articolo originale: https://josearregi.com/es/dios-como-creatividad-del-universo/
(traduzione dallo spagnolo effettuata utilizzando ChatGPT)