Cdb San Paolo/1: 50 anni di comunità “orizzontale”

Luca Kocci
Adista Notizie n.34 del 14/10/2023

La Comunità cristiana di base di San Paolo compie cinquanta anni e li ricorda con una giornata di convegno e di fraternità che si è svolta lo scorso 30 settembre fra l’università RomaTre e la sede storica della comunità.

Era il 2 settembre 1973, infatti, quando le donne, gli uomini e i giovani della comunità della basilica di San Paolo fuori le mura riuniti attorno all’ex abate Giovanni Franzoni escono fuori dal tempio e celebrano la loro prima eucaristia in un salone della via Ostiense, a poche centinaia di metri dalla basilica dove erano soliti incontrarsi, discutere e pregare. Nasce così la Cdb di San Paolo, una delle esperienze più significative della stagione del post-Concilio, della “contestazione cattolica” e di quella Chiesa di base lontana dal Vaticano ma vicina al Vangelo che, come un fiume carsico, continua a scorrere nelle profondità nel corpo della Chiesa.

Il contesto storico-sociale italiano e romano è di grande fermento. Dopo il ‘68 il dissenso cresce sia in Italia che all’estero – in America Latina sboccia la teologia della liberazione –, messo in moto dalle istanze di rinnovamento del Concilio Vaticano II, ed arriva fino a Roma, il “cuore dell’impero” ecclesiastico: don Roberto Sardelli lascia la sua parrocchia al Tuscolano e i privilegi che essa gli garantiva per andare a vivere fra i senza casa dell’Acquedotto Felice – uno dei tanti “borghetti” dove migliaia di persone avevano costruito delle abitazioni di fortuna e vivevano ai margini della città, come ricorda anche la sociologa Chiara Carmelina Canta intervenuta al convegno – dando vita ad una scuola popolare (la Scuola 725) sul modello di quella di Barbiana; i salesiani allontanano e poi espellono dalla congregazione due professori dalla loro università al Nuovo Salario, don Giulio Girardi, fra i maggiori protagonisti del dialogo fra cattolici e marxisti, e don Gerard Lutte, che aveva scelto di andare ad abitare con i baraccati di Pratorotondo, alla periferia nord est di Roma, e di sostenerli nelle loro lotte fino all’assegnazione delle case popolari alla Magliana; nasce una moltitudine di gruppi di base riuniti nell’Assemblea ecclesiale romana che si mobilita contro il Concordato e per una «Chiesa povera e dei poveri». Una vicenda complessiva – quella delle comunità e dei gruppi cristiani di base, compresa ovviamente la Cdb di San Paolo – che secondo lo storico Giancarlo Monina può essere inserita a pieno titolo nel «socialismo cristiano», sebbene «non si esaurisca in questa categoria».

I primi passi in basilica 

Nella basilica di San Paolo fuori le mura, retta dai benedettini cassinesi, dal 1964 c’è un giovane abate,Giovanni Franzoni, che ha partecipato alle fasi finali del Concilio e inizia a farsi interrogare dalle contraddizioni della città e di un quartiere popolato e popolare come San Paolo, animato anche dalla convinzione che la vita monastica non significa isolamento dal mondo ma impegno nella storia. Prende forma così una comunità “orizzontale” di laici, donne e uomini, che cominciano a riflettere sul che fare per vivere un Vangelo ancorato alla società e alla città e si immergono nelle vicende sociali e politiche: l’opposizione alla parata militare del 2 giugno e ai cappellani militari, le manifestazioni contro la guerra in Vietnam, il sostegno all’obiezione di coscienza al servizio militare, le lotte degli operai licenziati della Crespi (una fabbrica di infissi non lontana dalla basilica), l’attenzione agli emarginati e agli esclusi, in particolare i reclusi nell’ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà. A San Paolo si realizza anche quella piena partecipazione dei laici alla vita della Chiesa proclamata dal Concilio e mai compiuta: l’omelia della messa domenicale, celebrata in basilica dall’abate Franzoni, viene preparata il sabato sera in un confronto collettivo e paritario con i laici.

Fascisti e cattolici tradizionalisti protestano – passando anche all’azione con irruzioni durante le assemblee e con scritte contro Franzoni sui muri dei palazzi del quartiere –, i gerarchi ecclesiastici mugugnano e guardano a vista la comunità, ma non trovano elementi per intervenire con delle sanzioni.

No al diktat vaticano 

Fino all’aprile del 1973 quando, durante la messa domenicale, una preghiera spontanea di un giovane fedele tira in ballo lo Ior e le operazioni finanziarie speculative del Vaticano. Franzoni viene convocato da mons. Paul Augustin Mayer, segretario della Congregazione per i religiosi, che gli impone di visionare preventivamente ed eventualmente censurare le preghiere. L’abate di San Paolo rifiuta il diktat e comunica che il 12 luglio avrebbe presentato le proprie dimissioni.

Prima di lasciare la basilica, però Franzoni fa in tempo a pubblicare La terra è di Dio (9 giugno 1973), profetica lettera pastorale, scritta pensando all’Anno santo del 1975, che riprende l’invito al «far riposare la terra» del giubileo biblico e contiene fra l’altro un severo atto d’accusa contro la speculazione fondiaria ed edilizia a Roma, portata avanti con il silenzio e la complicità dell’istituzione ecclesiastica e contro gli stretti legami fra Chiesa e poteri economico, all’ombra della Democrazia cristiana.

«La lettera conserva una forte carica di denuncia valida ancora oggi», spiega Fausto Tortora, all’epoca esponente di punta della sinistra Acli e collaboratore di Franzoni nella redazione della lettera pastorale. Potenza ancora attuale che l’urbanista Carlo Cellamare declina in tre aspetti. Innanzitutto «il tema della rendita urbana e della finanziarizzazione della rendita urbana, con il sistema dei cosiddetti crediti edilizi – si demolisce in una zona e si acquisisce un “credito” che può essere utilizzato edificando in un’altra zona –, che trasformano la città in merce, come denunciava Franzoni già cinquant’anni fa». E ancora «le grandi diseguaglianze sociali – anche questo c’è nella Terra è di Dio – prodotte da un’emergenza abitativa che in realtà è strutturale». Infine il tema del cambiamento e del conflitto sociale, che attualmente vede pochi attori protagonisti: proprio la questione dell’abitare è «uno degli spazi in cui, grazie ai movimenti, è possibile non solo attivare una ricostruzione dei rapporti sociali nei territori, ma anche prendere coscienza delle disuguaglianze e fare conflitto per essere motore del cambiamento». E anche questo Franzoni lo aveva visto con grande anticipo nella Terra è di Dio.