Biandrata e la libertà di coscienza

da La Strada, mensile del saluzzese, giugno 2010

Gli anni della Riforma pro­testante furono importanti per l’Europa perché aprirono nuo­vi orizzonti culturali, religiosi e nuovi spazi di libertà. Passato però il momento iniziale nelle diverse realtà ci fu una cristallizzazione delle idee: si era lu­terani in Germania, Calvinisti a Ginevra.

Dunque ortodossie che an­davano un po’ strette soprattut­to a quanti avevano iniziato a mettere in discussione le anti­che certezze ed a usare un po’ di spirito critico. La Ginevra di Ca1vino era molto ospitale con quanti venivano dall’Ita­lia e trovavano in quella città rifugio e difesa. Numerosi ri­fugiati in quegli anni giunge­vano proprio dal Marchesato di Saluzzo. A capo della comu­nità degli italiani c’era Alfonso Biandrata, fratello di Giorgio.

Se Ginevra era protettiva, non tutti però erano compleamente allineati con le idee calviniste e numerosi erano co­loro che, fuggiti dall’Italia, non amavano le nuove certezze.

È in questo quadro sinteticamente delineato che si svolge, fra le altre, la vicenda del saluzzese Giorgio Biandrata, illustre medico e diplomatico che lasciò Ginevra nel 1555 preoccupato di non fare la stes­sa fine di Serveto, lo spagnolo arso vivo nel 1553 perché di idee antitrinitarie. Lo ritrovia­mo negli anni successivi in Po­lonia e Transilvania dove svol­se funzioni importanti e con­tribuì a diffondere le posizioni antitrinitarie e a fare nascere la Chiesa Unitariana nel 1568.

Il suo merito maggiore fu quello di aver contribuito a fare riconoscere in quel paese il diritto di esistere alle quat­tro religioni allora presenti in quella zona: la cattolica, la calvinista, la riformata e l’uni­taria.

Successivamente la vicenda si complicherà per la rottura dei rapporti fra il saluzzese ed il vescovo della Chiesa Unita­riana Ferenc David.

Il convegno di Saluzzo ha di­scusso su questi punti e soprat­tutto sulla libertà di coscienza che ha faticato ad essere rico­nosciuta nei diversi paesi, ma che ha avuto un riconoscimen­to definitivo positivo grazie anche al lavoro delle minoran­ze religiose e fra le altre anche dell’esperienza che si era svi­luppata in Transilvania.