Potere temporale sì o no? Un po’ di coerenza

Marcello Vigli
da www.italialaica.it

Si sarebbe attesa una maggiore sobrietà e coerenza da parte delle gerarchie ecclesiastiche nel rapportarsi alle celebrazioni, così cariche di significato politico, del 150° della creazione dello Stato italiano, nato, come dicono molti, prima a che ci fossero gli italiani..

Il papa si è invece inventato una comunità di persone unite dalla lingua, dalla cultura, dai sentimenti di una medesima appartenenza, seppure nella pluralità di comunità politiche articolate sulla penisola, che in Italia avrebbe cominciato a formarsi nell’età medievale, per potere rivendicare alla Chiesa il merito di aver contribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell’identità italiana. L’apporto della Chiesa e dei credenti al processo di formazione e di consolidamento dell’identità nazionale sarebbe continuato a suo avviso nell’età moderna e contemporanea. Queste considerazioni servono per affermare che grazie a tale contributo l’unità d’Italia, realizzatasi nella seconda metà dell’Ottocento, ha potuto aver luogo non come artificiosa costruzione politica di identità diverse, ma come naturale sbocco politico di una identità nazionale forte e radicata, sussistente da tempo.

Si può non condividere la tesi di Machiavelli che denuncia la presenza del poter temporale come responsabile di avere ostacolato quell’unificazione della penisola che non era in grado di realizzare in proprio. Non si possono però ignorare i sistematici appelli dei papi alle potenze straniere contro ogni iniziativa volta contro l’integrità dello stato pontificio conclusi con la richiesta di aiuto al miscredente Luigi Bonaparte per schiacciare la Repubblica romana. Non si può dimenticare che fra i suoi difensori nacque l’inno della Repubblica italiana, né che la sua capitale fu conquistata aprendo a cannonate una breccia nel muro al quale il papa aveva affidato la difesa del suo ormai consunto Potere temporale.

Di queste incongruenze Benedetto XVI non si pente nella sua lettera. Anzi, non rinnegando l’opera del beato Papa Pio IX e dei Successori, che per oltre mezzo secolo ostacolarono lo sviluppo del nuovo Stato tenendo in piedi la Questione romana, fa sue le parole con cui il cardinale Montini il 10 ottobre 1962 esaltò la fine del Potere temporale: Il papato riprese con inusitato vigore le sue funzioni di maestro di vita e di testimonio del Vangelo, così da salire a tanta altezza nel governo spirituale della Chiesa e nell’irradiazione sul mondo, come prima non mai.

Non c’è da meravigliarsi che a queste contraddizioni non abbia dato rilievo il Presidente della Repubblica, destinatario della lettera in cui sono contenute. Aveva tutto l’interesse ad incassare la solidarietà del papa alla sua difficile opera di ricucitura dello strappo antiunitario dei “cristianissimi” fedeli del dio Po arroccati nella Lega Nord.

Ben più grave la mancata contestazione di quei cattolici italiani che hanno a cuore le sorti della Chiesa. Non si sono chiesti perché si sta percorrendo la via di un nuovo temporalismo se il Risorgimento italiano è stato provvidenziale per aver cancellato il vecchio. È indubbio infatti che ne è nato uno nuovo adeguato ai tempi della realtà virtuale. Non è fondato sulla sovranità territoriale, ma su quella politica. Non solo è sanzionata formalmente negli Accordi craxiani, è perseguita ed esercitata sistematicamente sul nuovo mondo, poco esplorato, dei cosiddetti valori irrinunciabili: dalle staminali alle terapie anti morte, dalle nuove frontiere della sessualità alle nuove relazioni interetniche. Anche negli strumenti il ritorno al temporalismo è evidente: s’interviene sulle tecniche referendarie predicando l’astensione, si pratica l’imposizione fiscale pur se per interposto fisco italiano, si pretende che nelle scuole ci siano lezioni di catechismo pagate e infine si chiede aiuto al governo per far ricorso contro la sentenza della Corte di Strasburgo.

I cattolici adulti restano silenziosi. In questi giorni quelli che “fanno politica” sono andati tutti alla messa celebrata a Santa Maria degli Angeli dai cardinali Bagnasco e Bertone per aggiungere un pizzico di liturgia cattolica alle feste per i 150 anni dell’unificazione.

Eppure potevano cogliere finalmente l’occasione di sentirsi legittimati nel loro diritto a disobbedire alle gerarchie, proclamandosi eredi di quei loro fratelli nella fede che lo avevano già fatto nell’ottocento partecipando alla costruzione di quell’Italia che esse ostacolavano.

Se infatti si può capire che il dovere d’ufficio ha imposto al papa di non rinnegare apertamente nella sua lettera i suoi predecessori, non ha giustificazione il suo tentativo di associarli ipocritamente nella esaltazione di quei cattolico-liberali che essi avevano condannato. Forse Vincenzo Gioberti, Cesare Balbo, Massimo d’Azeglio, Raffaele Lambruschini e lo stesso Antonio Rosmini, da lui espressamente citati nella lettera, non pensavano di poter essere usati per dare una patente di rispettabilità “patriottica” al successore di quel Pio IX che li aveva emarginati, o, magari, scomunicati come per Alessandro Manzoni. Dichiarato dal suo successore Benedetto XVI fedele interprete della fede e della morale cattolica, è stato a lungo sepolto in terra sconsacrata perché colpito da scomunica per aver votato, come senatore del primo Parlamento italiano, a favore di Roma capitale del nuovo Regno d’Italia quando ancora vi regnava il papa re.

Oggi ci sono altri mezzi per richiamare all’obbedienza, ma non ci sono più molti cattolici disposti, come loro, a disobbedire.

Roma, 25 marzo 2011