La CEI e il voto del 15 maggio

Marcello Vigli
Controinformazione ecclesiale, Roma
da www.italialaica.it

Molto si è scritto e ancora si scriverà sui risultati delle recenti elezioni per il rinnovo delle amministrazioni comunali. Poco si è letto sull’influenza su di essi del voto cattolico, o meglio del voto dei cattolici. Saranno invece chiamati ad interessarsene i vescovi che dal 23 al 27 maggio saranno riuniti a Roma per la loro 63ª Assemblea generale.

Dovranno interrogarsi se nella inattesa e significativa sconfitta dei berlusconiani a Milano e della flessione della Lega in molti Comuni della Lombardia “bianca” possano essere stati influenti pur se non decisivi, da un lato il disagio dei “buoni” cattolici di fronte alla condotta scandalosa di Berlusconi, dall’altro, il non troppo implicito invito dei cattolici “adulti” a schierarsi contro Moratti e il suo modo di gestire il potere.

Questi sono usciti allo scoperto con una lettera aperta firmata da centinaia di loro, noti e meno noti, e, di fronte al disorientamento e la sfiducia che possono indurre alla rassegnazione, si sono posti l’interrogativo: Non abbiamo forse un supplemento di responsabilità noi che, illuminati dalla fede, crediamo che la città terrena sia luogo di testimonianza e di pratica della solidarietà e della ricerca del bene comune? Non c’è dubbio che hanno votato e fatto votare per Pisapia.

Gli altri, invece, sono forse andati ad ingrossare le fila degli astenuti, come ha insinuato chi ha provocatoriamente chiesto a Formigoni, durante la trasmissione l’infedele, se era vera la voce che indicava i vertici di Comunione e Liberazione promotori di questa scelta. È certo, invece, che non si sono lasciati attirare dal voto al “cattolico” Casini, forse perché compromesso con il “laicista” Fini, minando fortemente la credibilità del progetto di Terzo polo.

La questione non è di poco momento perché – come è stato denunciato con una lettera aperta di un docente di Storia della Chiesa alla Facoltà teologica dell’Italia meridionale di Napoli – a Caserta, alcuni parroci in vista delle prossime elezioni comunali, hanno trasformato le loro parrocchie in comitati elettorali per alcuni candidati del centro destra.

A Catanzaro in una nota della Curia si legge: per evitare dubbi o sospetti circa il pensiero della Chiesa locale, questa Curia sente il dovere di comunicare che la posizione della Chiesa è ‘super partes’ per quanto riguarda la scelta delle persone. Qualora vi fossero interventi organizzativi di schieramento da parte di gruppi o associazioni religiose, queste iniziative non sono da considerarsi ecclesiali.

Un’analisi degli orientamenti diffusi nel mondo cattolico, a partire da questi ed altri dati, è oggi diventata essenziale per la Cei chiamata a ridefinire il suo orientamento, finora, chiaramente favorevole al sistema di potere berlusconiano, in presenza dell’accelerazione della sua crisi, imposta proprio da questi risultati.

Se nella comunità ecclesiale aumentano laici e preti che intendono favorirla per evitare nel nostro Paese il degrado del regime democratico o quello dell’etica pubblica, diventa sempre più difficile per i suoi vescovi non prendere le distanze dal berlusconismo che non è solo autoritarismo politico, ma assenza di ogni valore morale.

Per di più i problemi imposti dall’urgenza di questa svolta s’intrecciano con il riacutizzarsi di quello dei preti accusati di pedofilia, riportato all’attenzione dei media dal recente caso del parroco di Sestri Levante arrestato per pedofilia e cessione di stupefacenti.

Esso ha, in verità, offerto l’occasione al cardinale Bagnasco, arcivescovo di Genova diocesi di competenza ma anche Presidente della Cei, per dare un segnale d’inversione di tendenza: ha approvato l’intervento della magistratura ed ha pubblicamente dichiarato la sua vergogna per l’accaduto, durante l’omelia della messa che lui stesso è andato a celebrare nella parrocchia del prete incriminato.

È un segnale forte nella linea indicata dalla stessa Santa Sede che, nei giorni scorsi, ha inviato a tutte le Conferenze Episcopali una Lettera circolare della Congregazione per la Dottrina della Fede, che le impegna a definire entro il 2012 Linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici.

È un impegno difficile per l’ambiguità, con cui fin qui sono stati gestiti casi simili, e reso ancor più complesso dai dati emersi da uno studio, commissionato dalla Confederazione dei Vescovi americana, che attribuisce la causa della pedofilia tra i preti ”Non al celibato né all’omosessualità, ma al clima culturale permissivo e libertario della fine degli anni Sessanta”.

Il rapporto sostiene anche che non sarebbe stato possibile né per la Chiesa, né per nessun altro, individuare in anticipo i preti pedofili perché la maggior parte di quelli che hanno commesso abusi non soffrono dei disturbi psichiatrici associati di solito alla pedofilia. Mentre si discute di queste interpretazioni, più o meno scientificamente fondate, si sta sviluppando il processo di aggregazione delle vittime di abusi e delle loro famiglie, che sabato 21 maggio si incontreranno a Roma per un secondo incontro organizzato da Colpa, Gruppo vittime di preti pedofili.

In questo contesto di difficoltà interne, la gerarchia cattolica deve decidere sul come affrontare la crisi di sistema che si sta abbattendo sulla società e sulla politica italiana, in condizioni ben diverse da quelle del novembre scorso quando, nella sua prolusione introduttiva all’Assemblea della Cei, il Cardinale Bagnasco, nel denunciare il degrado della moralità pubblica, si limitò ad un invito accorato e pressante a cambiare registri, a fare tutti uno scatto in avanti concreto e stabile verso soluzioni utili al Paese e il più possibile condivise. Non è più tempo di galleggiare.

Né può limitarsi a denunciare, come ha fatto il Papa nella udienza generale dell’11 maggio in piazza San Pietro, che Viviamo in una epoca di evidenti segni di secolarismo in cui ‘Dio sembra sparito dall’orizzonte di varie persone o diventato una realtà verso la quale si rimane indifferenti’, ma ‘nello stesso tempo ci sono molti segni di risveglio religioso’, c’è ‘ una ‘riscoperta di Dio’ che ha senso ‘per la vita dell’uomo’ e una diffusa ‘esigenza di spiritualità’.

Oggi la Cei deve scegliere se continuare nell’uso della difesa dei “valori irrinunciabili” come discriminante, che ha fin qui ingessato la dialettica politica italiana ponendosi fra le cause della crisi incombente. Esso impedisce, infatti, ai cattolici democratici di contribuire alla costruzione di un sistema politico capace di produrre norme e leggi per regolamentare le manifestazioni delle nuove istanze prodotte dalle accelerate trasformazioni culturali e sociali, pur senza condividerle.

I cattolici che votarono SÌ perché la legge sul divorzio non fosse abolita, non erano divorzisti, ma solo convinti che non avevano il diritto d’impedire ad altri di sciogliere un legame che non credevano indissolubile. Lo stesso vale per quelli che oggi, pur senza rinunciare alle proprie convinzioni sulle diverse questioni, sono favorevoli al diritto di ciascuno a decidere sul proprio fine vita, al riconoscimento delle coppie di fatto anche se omosessuali, a creare condizioni perché la legge sull’interruzione della gravidanza possa essere applicata senza intralci burocratici.

Questa discriminante, che costituisce il filo conduttore del filoberlusconismo inaugurato dal cardinale Ruini e benedetto dalla Segreteria di Stato, di fatto condiziona la presenza dei cattolici negli schieramenti politici favorevoli alla “legalizzazione” delle nuove istanze.

In verità essa ha motivazioni più profonde e non è facile abbandonarla. Costituisce un tentativo, vano perché la storia non si può arrestare, di evitare che tale normalizzazione legislativa crei problemi all’interno della stessa Comunità ecclesiale. La legalizzazione di comportamenti da sempre considerati “innaturali” dalla morale cattolica farebbe, infatti, esplodere nel tempo le contraddizioni frutto della resistenza opposta dalle rigide strutture dell’istituzione Chiesa alla necessità, ben intesa dal Concilio Vaticano II, di adeguare il processo del loro aggiornamento all’accelerazione dei ritmi delle trasformazioni sociali.