La Chiesa chiamata a ricostruire l’Italia di M.Vigli

Marcello Vigli
www.italialaica.it

15.12.2011 – Corale e perentoria, pur se confusa e talvolta disinformata, si è rapidamente imposta in questi ultimi giorni la richiesta che anche la Chiesa cattolica si assoggetti al pagamento dell’Ici sugli immobili di proprietà di sue strutture centrali e periferiche. Violenta è la denuncia degli integralisti cattolici e degli atei-devoti contro il tentativo laicista di delegittimare le buone opere organizzate dalla Chiesa per i cittadini bisognosi.

Più cauta è la reazione della gerarchia italiana, preoccupata per le conseguenze di un’opposizione troppo rigida ad una richiesta più che giustificata dalle troppo frequenti e sfacciate violazioni di una normativa che, pur nelle sue ambiguità, stabilisce che l’Ici deve essere pagata sugli immobili di proprietà ecclesiastica, dove si esercitano attività commerciali.

Ha colto la possibilità di essere coinvolta nella montante reazione contro i politici di diverso orientamento alla cui disponibilità sono da scrivere quelle ambiguità.

Fu, infatti, il Governo Amato nel 1992 con l’articolo 7, comma 1, lettera i , decreto legislativo 504, ad esentare dal pagamento dell’imposta gli immobili utilizzati da enti non commerciali e destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive, nonché di attività di religione e di culto.

Berlusconi con decreto legge n. 203 del 2005 specificava che l’esenzione si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse per neutralizzare una sentenza della Corte di Cassazione dello stesso anno che escludeva dal beneficio proprio gli immobili destinati ad attività commerciali.

Una conferma veniva l’anno dopo con la precisazione contenuta nelle norme varate dal Governo Prodi su proposta di Bersani: dichiaravano l’esenzione del ’92 applicabile alle attività indicate nella medesima lettera anche se sono di natura commerciale, alla sola condizione che tali attività non abbiano natura esclusivamente commerciale.

In questa conformità trova conferma la tesi che attribuisce la forza della gerarchia alla convergenza delle forze politiche in una acquiescente disponibilità nei confronti delle sue pretese. C’è perfino chi ne propone una giustificazione, come si ricava da quanto l’onorevole Fabrizio Cicchitto ha dichiarato in un’intervista rilasciata il 12 dicembre 2011 a Leone Grotti (http://www.tempi.it)

Dopo aver abbattuto la politica, lo spirito nichilista che attraversa certa parte della società vuole distruggere anche la Chiesa. …. Io sono laico ma la Chiesa, con luci e ombre, rappresenta un punto di mediazione sociale, di intervento in aiuto della società che è fondamentale, in un momento poi in cui questa è in uno stato drammatico. Se le puntiamo il coltello alla gola, ci autodistruggiamo. Ma chi la deve ricostruire questa Italia?

Ci sarebbe da chiedersi se Cicchitto non punta su un cavallo azzoppato. Non tiene conto dell’interrogativo, posto sul Manifesto da Filippo Gentiloni che riporta una preoccupazione presente nell’ultimo libro del teologo Hans Küng, se la Chiesa abbia la forza di salvare se stessa.

Non dovrebbe, infatti, ignorare la crisi di credibilità che sta coinvolgendo la gerarchia cattolica italiana in presenza di scandali di diverso genere, non ultimo quello che coinvolge don Verzé e il suo San Raffaele.

Alla radice della sua tesi non c’è, però, solo il cinico convincimento che per la degenerazione della classe dirigente e dei partiti politici solo la chiesa può promuovere la ricostruzione, ma la condivisione dell’opinione che la religione ha una sua specificità fra le altre narrazioni, filosofie, ideologie.

Ad essa continuano a ispirarsi politici di diverso orientamento consentendo che si moltiplichino le Intese con le diverse Confessioni religiose – come giusto rimedio all’esistenza del regime concordatario che ne privilegia una sola – e che si consideri necessaria l’approvazione di una legge sulla libertà religiosa.

Anch’essa risolverebbe altre anomalie, ma sancirebbe definitivamente il principio che la religione, ovviamente ogni religione, ha una marcia in più e quindi deve godere di privilegi in deroga alla normativa uguale per tutti.

Più prudentemente il prof. Sergio Romano non si è richiamato a questa cultura della specificità del fenomeno religioso per giustificare la pretesa del cardinale Bagnasco a trattare per la revisione della normativa sull’Ici. In risposta ad un lettore del Corriere della Sera, indignato perché lo stesso diritto non è riconosciuto agli altri cittadini ha scritto: “Perché dovremmo negargli i diritti di cui godono la Cgil e la Confindustria? Rappresenta i vescovi italiani, vale a dire i titolari delle diocesi che sono prevalentemente proprietarie delle istituzioni sinora esentate dall’ Ici, e ha parlato, in questo caso, come il presidente di un’ associazione di categoria”.

Questa risposta, evidente segno di una diffusa confusione in materia, non è certo condivisa dal cardinale Bagnasco. La sua dichiarazione di disponibilità a trattare sulle possibili interpretazioni dell’attuale normativa sull’Ici sembrava piuttosto tutta interna allo status garantito dal Concordato.

Per di più lo ha fatto riconoscendo, bontà sua, l’obbligo di perseguire i trasgressori, ma senza inserirlo in un forte appello al ripristino della legalità rivolto a tutte le strutture ecclesiastiche, perché cessino di camuffare in luoghi di culto gli immobili dove si esercitano attività con fini di lucro (anche le cliniche e le scuole lo sono) per evadere il pagamento dell’Ici.

Sembra piuttosto difficile che possa guidare la ricostruzione auspicata dall’onorevole Cicchitto chi non assume la legalità come criterio inderogabile, ma continua a richiamarsi al regime concordatario caposaldo dell’attuale sistema politico italiano.