Funerali di Giulio Girardi

Gianni Novelli: Iniziamo la nostra celebrazione di memoria, di riconoscenza, di impegno. A ricordare e a sentire presente Giulio Girardi fra noi, non solo con il suo corpo che tanto ha sofferto, ma il suo spirito che ci ha tanto illuminato, siamo qui nella comunità di base di San Paolo assieme ai familiari, assieme a tanti amici e fratelli che con lui hanno, abbiamo camminato.
A dare un po’ il significato anche dell’essere qui insieme in questo luogo, per questo momento e questo saluto, Giovanni Franzoni ci introduce a questa celebrazione eucaristica e anche alla sua straordinarietà. Perché così la viviamo, così la sentiamo, ognuno con la sua tradizione, con la sua ispirazione, con la sua ricchezza spirituale.

Giovanni Franzoni: Siamo qui convocati dallo Spirito intorno a un grano di frumento: la salma di Giulio che attende la resurrezione, come ogni grano di frumento attende di dar luogo alla spiga.
A me viene in mente in questo momento il soffio dello Spirito, che è sempre bereshit, all’inizio di ogni nostro modo di essere. Un tempo si traduceva che lo Spirito di Dio in modo impetuoso si muoveva sulle acque per dominare il caos e creare la vita. Poi dopo lo sforzo degli esegeti – fra cui anche il cattolico Von Rad, ma soprattutto gli ebrei – ci ha fatto capire che il fatto che lo Spirito fosse lo Spirito di Dio, questo non voleva dire di per se stesso che fosse impetuoso e furente, ma poteva essere anche carezzevole e caldo. Hanno degli esempi belli i rabbini nel Talmud. L’unica metafora a cui alludono è che lo Spirito di Dio è come un uccello che scende sul nido verso l’uovo e lo sfiora, lo tocca e non lo tocca. È incredibile questa espressione di Bar Thoma, il rabbino che ebbe questa intuizione. Perché lo tocca e non lo tocca? Perché l’uovo deve da solo generare la vita: è raro che gli uccelli spezzino l’uovo e ne estraggano in modo rapido il pulcino, è il pulcino che deve spezzare l’uovo. È un’immagine per me meravigliosa.
E qui noi siamo di fronte a un uovo, un uovo sul quale spira lo Spirito di Dio. Lo facciamo nella tradizione cristiana e se vogliamo anche cattolica. I segni di riconoscimento sono semplici, austeri: il pane e il vino sui quali invocheremo l’anamnesi, la memoria della Cena del Signore. Non c’è nulla di nuovo, nessun apparato simbolico. L’unica violazione è questa croce che proviene dal Salvador sulla Cena nel cenacolo: quando Gesù spezzò il pane con i suoi discepoli dicendo: “fate questo in memoria di me” la croce non c’era, ma era imminente
Per il resto, noi ci troviamo insieme, siamo di varie provenienze. Giulio era un seme e il seme non è di nessuno. Il seme è dei fratelli salesiani che lo hanno fatto crescere inizialmente, che lo hanno educato. Il seme è di coloro che hanno cercato di ascoltare la sua ricerca scientifica, filosofica e teologica, il suo modo di essere discepolo di Gesù e del Vangelo. Il seme attorno a cui noi auspichiamo la discesa dello Spirito che risuscita, della Resurrezione è di coloro che furono l’ultimo amore di Giulio: le popolazioni indigene dell’America Latina, ma potenzialmente le masse degli oppressi, dei sofferenti, di coloro che scuotono le catene dello sfruttamento e dell’oppressione per rendersi soggetto e protagonisti. E’ veramente il pulcino che rompe il guscio.
Secondo me molto – non dico tutto perché altrimenti saremmo nell’egemonia dell’assoluto dalla quale in genere in questa comunità rifuggiamo – ma credo che sia nella traduzione di quella espressione del primo versetto della Bibbia “lo Spirito di Dio merahefet”: ma veramente era un vento violento e impetuoso o era un soffio carezzevole? Io la risposta non ce l’ho, ma Giulio, soprattutto negli ultimi anni, quando ha cominciato a scrivere su Gandhi, sulla nonviolenza, su un’interpretazione non violenta di Che Guevara e del suo agire rivoluzionario, suggeriva di interpretare merahefet ‘soffiava’ come un soffio leggero, dolce, di cura sul seme, affinché dia il suo frutto, con estrema e drammatica nostra sofferenza di speranze e di attesa.
Grazie a te, Giulio, ma grazie soprattutto allo Spirito che soffia e fa crescere il seme che darà la spiga.

Gianni Novelli: Diamo spazio ora ai nostri pensieri, alle nostre riflessioni, alle nostre preghiere.

Bruno Ballarate: Con quelli della comunità ci siamo visti poco più di una settimana fa ed è stato un mio presentimento. Avrei dovuto venire domenica scorsa, esattamente il giorno in cui Giulio ci ha lasciati. Cercherò di essere brevissimo per quel che riguarda un mio intervento, ma prima del mio intervento farò leggere un messaggio piuttosto lungo che ha mandato il terzo di noi, cioè Gerard Lutte, che molti di voi conoscono. Noi eravamo in tre, con un’amicizia molto salda e molto forte e duratura. Il nostro tavolo dell’amicizia ora ha perso una gamba. Ci troviamo in difficoltà, ma supereremo.
Allora faccio leggere prima questo messaggio di Gerard, poi leggerò io un brevissimo messaggio di Benjamin Forcano e di Pedro Casaldaliga, che molti conoscono, e che su invito di Benjamin Forcano (che almeno Giovanni conosce bene) ha mandato anche lui un messaggio. Era amico di Giulio, più anziano di Giulio, ma è ancora vivente. Ecco, faccio queste letture, poi dirò un ricordo da parte mia, come il più vecchio conoscente di Giulio, che in qualche modo era entrato nella mia famiglia ai tempi dei tempi.

Gerard Lutte: Cari amiche e amici presenti all’Eucarestia dell’arrivederci per il nostro amico Giulio, avrei voluto essere in mezzo a voi, ma sono in Guatemala e quindi impossibilitato a partecipare. Ringrazio Bruno Bellerate di aver scelto la comunitá di base di San Paolo per questa Eucarestia, perché era la Comunitá di Giulio in Roma. Ringrazio tutte le persone della Comunitá che hanno continuato a visitare Giulio nei lunghi anni della sua malattia, quando fu accolto da Bruno nella sua casa di Rocca di Papa.
Giulio aveva tante altre comunitá, disperse in tutto il mondo, soprattutto in America Latina, particolarmente in Nicaragua, ma anche a Cuba, Chiapas, Bolivia, Venezuela, Colombia e altri paesi ancora. Lui prediligeva le comunitá dei poveri, che lottano per liberarsi e costruire una società più giusta.
Era un uomo libero e non si identificava con nessuna istituzione. Non gli importava se la comunità era cristiana o di altra religione, cattolica o evangelica, credente in Dio o atea. Lui non dava importanza ai dogmi e alle mitologie, ma solo al comportamento delle persone, se erano dalla parte dei poveri o contro di loro.
Ho avuto il privilegio di una storia di amicizia con Giulio, durata 55 anni. Abbiamo vissuto e lavorato insieme dal ’58 al ’69 nell’Universitá Salesiana, dove avevamo molti altri amici, prima di tutti Bruno, con il quale formavamo un trio ben saldato, e anche Ramos Regidor, Manolo Gutierrez e altri che formavano il gruppo dei “manco venti”, che si impegnava per promuovere un rinnovamento evangelico, cioè al servizio dei poveri, della congregazione e della nostra Università. Poi le nostre vie si sono separate, ma sempre siamo rimasti uniti nei momenti duri e gioiosi della nostra vita.
Giulio è senz’altro un uomo che ebbe una grande influenza nella seconda metà del secolo scorso su tante persone del mondo cattolico, non solo in Italia, ma nel mondo intero, perché era un teologo della liberazione, consigliere di vescovi progressisti durante il Concilio Vaticano II. Le sue teorie hanno facilitato la nascita del movimento delle comunità di base e il movimento dei cristiani per il socialismo, prima in America Latina, poi in Europa.
Giulio era anche un grande filosofo, un filosofo della liberazione e il suo insegnamento ha marcato profondamente la formazione intellettuale di migliaia di persone. Era anche molto impegnato con tutti i movimenti di liberazione, particolarmente in America Latina e ha messo a disposizione di questi movimenti la sua riflessione teorica profonda e acuta, scrivendo numerosi libri su questo argomento.
Si è interessato anche di pedagogia, mettendo in risalto l’importanza dell’amicizia liberatrice nel rapporto educativo e analizzando come il dominio imperialista sull’economia è reso possibile dall’imperialismo culturale che pervade l’insegnamento a tutti i livelli e i mezzi di comunicazione di massa.
Giulio si distingueva da un grande rigore scientifico. Si aggiornava di continuo e non avrebbe mai utilizzato lo stesso testo per fare due lezioni o due conferenze sullo stesso tema. Sempre riscriveva da capo tutti i suoi interventi. Aveva trasformato il suo appartamento in biblioteca.
La sua ricerca non era puramente teorica, si faceva a partire dall’osservazione e dalla riflessione sulle esperienze concrete di liberazione. Ha condotto ricerche scientifiche di alto livello con la partecipazione degli attori della liberazione: gli operai della FIAT a Torino, durante gli anni della contestazione; i giovani della comunità di San Benedetto al Porto di Genova, sottolineando che solo un metodo educativo basato sulla partecipazione e sul protagonismo degli stessi giovani, poteva aiutarli a liberarsi veramente. Fece anche una ricerca sull’importanza dell’amicizia liberatrice nell’educazione, analizzando la vita del Vescovo latino americano Proaño, impegnato con le comunità indigene del suo paese nel fare rispettare i loro diritti.
La sua vita era coerente con le sue teorie. Giulio non si è arricchito, non ha vissuto nel lusso e nelle comodità e tutta la sua vita è stato fedele all’annuncio della buona novella di liberazione dei poveri. Andava dovunque fosse chiamato, da una parte all’altra dell’Italia e del mondo, per una conferenza, un seminario, un corso di formazione, una ricerca. Ha accettato di fare, per vari anni, seminari ai miei studenti sulla cultura indigena e i movimenti di liberazione in America Latina. Gli studenti che hanno partecipato mi hanno più volte detto che questi seminari sono stati fondamentali nella loro formazione.
Giulio non poteva non interessarsi e amare le ragazze e i ragazzi di strada. Ha accettato di essere il padrino della figlia di una di queste ragazze, che aveva conosciuto mentre stava in Nicaragua. Ha partecipato a vari incontri della nostra onlus Amistrada, per trattare temi per noi importanti. Si è proposto di venire a spese sue in Guatemala a condurre un seminario con le ragazze e i ragazzi del Comitato di gestione, che dirigono il loro movimento, e con i consiglieri adulti. Ha trattato, sulla base delle esperienze dei partecipanti, il tema dell’amicizia liberatrice. Il suo apporto ci ha profondamente influenzato, al punto che il nostro metodo educativo è basato sull’amicizia liberatrice.
Qualche settimana prima di morire, Giulio, che da giorni non voleva mangiare e non parlava, ha raccolto le sue forze come se avesse presentito la sua fine prossima, e voleva comunicare un’ultima volta con le persone a lui più care. Sono stato avvisato e mi sono messo in contatto telefonico con lui tramite il nostro amico e fratello comune Bruno, che gli ripeteva quanto dicevo, perché non riusciva a decifrare la mia voce al telefono. Mi ha detto quanto era contento di rivedere la ragazza di cui era il padrino, che oggi ha 18 anni e finisce brillantemente gli studi secondari, e doveva venire in Italia nell’ottobre prossimo. E quando gli chiesi cosa dovevo dire alle ragazze e ai ragazzi di strada mi rispose: “Devono credere nella resurrezione!”.
Giulio, amico, fratello, compañero, lungo la tua vita hai aiutato tante persone a risorgere, a riprendere fiducia in se stessi, a diventare responsabili della loro vita e della società. E noi continueremo il tuo sogno utopico che cambia la realtà, la realtà di resurrezione degli ultimi, degli oppressi, dei poveri. Tu ci hai insegnato che sono i poveri i soli capaci di liberarsi e di aiutare noi stessi a liberarci. Grazie Giulio.

Bruno Ballarate: A questo ricordo di Gerardo voglio associare brevemente quello di Benjamin Forcano, un teologo d’avanguardia della Spagna, il quale si è messo in contatto con una serie di amici: raccoglierà tutte le testimonianze di costoro, però una me l’ha voluta mandare subito, quella di Pedro Casaldaliga. Egli comincia dicendo che condivide quello che Benjamin Forcano aveva scritto, cioè che Giulio era stato uno dedicato completamente alla causa del Regno, centrata sugli esclusi e sugli oppressi. E Pedro Casaldaliga, che è stato un vescovo nel Brasile per tanti anni, proprio tra gli oppressi, tra gli esclusi, dice così:

Pedro Casaldaliga: Caro Benjamin, grazie per avermi comunicato la morte di quel grande servitore del Regno che è stato Giulio Girardi. Poiché non ho l’indirizzo di posta elettronica di Bruno Ballarate, ti prego di trasmettergli la mia comunione viscerale, in quest’ora pasquale di Giulio. (Per questo volevo leggerla, perché richiama la festa, richiama quello che era il sentimento dei primi cristiani di fronte alla morte: celebravano il dies natalis, cioè era il giorno della festa. Io sono in quella linea). ….. lui che è sempre stato un ricercatore d’avanguardia è arrivato adesso all’incontro definitivo con il Padre.
Adesso ancora un altro messaggio, stavolta orale, che è il messaggio della sorella di Giulio. Giulio si può dire che non ha avuto famiglia, però ha avuto una sorella più giovane di lui tutt’ora viva a Parigi con la quale ha parlato l’ultima volta il sabato sera. Noi avevamo un appuntamento fisso con la sorella, proprio per poterli mettere in contatto. E Giulio sabato sera ha parlato per l’ultima volta con sua sorella. Io ci ho parlato anche dopo che era morto e anche stamattina. E stamattina sua sorella mi ha pregato di dire anzitutto un ringraziamento a tutti coloro che ricordano suo fratello Lulù. (Lì c’è scritto ‘arrivederci Giulio’, io avrei voluto mettere ‘arrivederci Lulù’, perché così lo chiamavano in famiglia). La sorella ha detto di ringraziare, ha nominato in particolare alcuni che sono qui presenti e poi ha detto che avrebbe gradito lo scritto sulla celebrazione.
Vi trasmetto questi saluti e ringraziamenti di tutto cuore e li faccio anche miei, perché in fondo io devo ringraziare questa comunità che è stata abbastanza vicina, indubbiamente molto accogliente con Giulio negli ultimi anni soprattutto, prima della malattia però, perché poi naturalmente Giulio non si è più potuto muovere.
Stamattina mi sono svegliato alle quattro – capita alle persone vecchiette come me di svegliarsi presto – e mi sono chiesto: che vado a dire là? Allora ho pensato qualcosa che potesse essere interessante. Avevo pensato anche di ‘condire’ un po’ quello che dirò con qualche aneddoto, perché la vita di Giulio è ricchissima di aneddoti, ma non lo farò perché non c’è tempo.
Allora cosa vi voglio dire di Giulio? Secondo me tre parole solo.
Giulio è stato un uomo fedele: fedele non soltanto perché aveva una fede molto radicata – fede cristiana, fede in Dio – ma anche perché fedele alle persone. Giulio amava le persone, si legava alle persone, condivideva con loro tutto ciò che era condivisibile. Quindi un uomo fedele, fedele fino alla fine.
Giulio era un uomo affascinante, perché era dotato di quell’ésprit de finesse – in casa loro parlavano francese – e di una intelligenza acuta e quindi affascinava con le parole, affascinava con il suo modo di essere, anche se spesso poteva apparire trascurato, con la barba fatta a metà, vestito com’era… Però era affascinante, era ascoltato moltissimo, era seguito tantissimo, specie dalle nostre sorelle. A cui lui era tra l’altro molto legato. Quindi affascinante, ma questo fascino derivava soprattutto da un elemento che ha ricordato anche Gerardo, e cioè dal fatto che lui viveva in alto, viveva e cercava di trasmettere un’utopia: un’utopia concreta, come avrebbe detto ai suoi tempi Bloch, non astratta, un’utopia che doveva tradursi in realtà, un’utopia nella quale credeva ciecamente. E allora quell’utopia lui la comunicava e faceva salire gli spiriti dei suoi uditori in questo mondo al di là della concretezza complessa, meschina, del quotidiano.
Giulio non viveva molto profondamente il quotidiano, lui aveva una vita, un modo di essere che prescindevano in qualche modo dalla materialità, dal suo stesso corpo. Ha trascurato molto il suo corpo. Comunque dicevo che era affascinante e questo fascino derivava soprattutto da questa animazione di elemento di un’utopia di slancio, di spinta, al di fuori delle miserie attuali.
Giulio è stato un uomo sofferente. Sofferente non tanto nel fisico – perché è stato abbastanza bene mediamente, salvo questi ultimi anni – ma sofferente nello spirito, nel morale, psicologicamente. Giulio psicologicamente era molto più debole di me per esempio. Era debole, tant’è che queste sue sofferenze finivano per tradursi nei momenti più tristi e più difficili della sua vita in una depressione. Una depressione più o meno grave, ma per ben tre volte ha sofferto della depressione. E questo veniva da questa situazione psicologica di sentirsi fuori, di non trovarsi più a suo agio in questo mondo. Non voglio entrare tanto nel merito perché non sono psicologo, io ho i piedi molto per terra; però sì, era sofferente, ma non avevo mai scoperto in lui la paura della sofferenza, almeno quella fisica, perché in questi ultimi anni che ha vissuto con me a casa mia ho potuto vedere quanto fosse difficile per lui sopportare il dolore fisico. E diciamo che questa carenza – nessuno è perfetto -è quella che l’ha condotto alla vita che ha dovuto fare negli ultimi anni, perché se lui avesse sopportato per esempio la fisioterapia, cui fu sottoposto per anni, sarebbe uscito dal letto come tanti altri. Non c’è stato verso, ha cambiato tanti fisioterapisti, da quelli dell’ospedale IMI a quelli che sono passati a casa mia. Non c’è stato nulla da fare. Questo naturalmente l’ha condannato a un mondo degli esclusi.
Volendo mettere una frase sua in quella foto che c’è lì davanti, ho finito per scegliere, anche col consiglio dei miei familiari, la frase che dice ‘Gli esclusi rompono il silenzio’. Giulio è stato un escluso, è stato un escluso dalle istituzioni. Prima ancora dalla carriera, perché Giulio avrebbe potuto far carriera anche in Vaticano, però c’è stato un certo Benelli che gli ha tagliato tutte le strade. È stato impedito nella sua carriera perché l’hanno escluso dall’insegnamento. E’ stato escluso dalle istituzioni. E’ stato escluso dai salesiani, cui appartenevamo vari di quelli che sono qui presenti. È stato escluso dalla Chiesa ufficiale, perché è stato sospeso a divinis. E quindi espulso da tutte le istituzioni. Lui ha sofferto di questa esclusione. E alla fine della vita in qualche modo è stato escluso anche da ciò che più amava, cioè una vita umana come lui conduceva, viaggiando, andando di qui e di là, facendo conferenze, scrivendo, leggendo. Purtroppo alla fine non leggeva più, non scriveva più, non si muoveva più, ovviamente. Quindi è stato un escluso anche in quello.
Io mi auguro che però l’esclusione di Giulio, che le sofferenze di Giulio, siano appunto quel seme fecondo che nella terra muore ma produce frutto. Mi auguro il 100 per 1. E tra questi frutti mi auguro che magari qualcuno qui presente prenda sul serio l’occasione per decidere di scrivere una biografia di Giulio, una biografia che avrebbe molto da insegnare. Potrei anche farla io, ma non me la sento più per varie ragioni: sono troppo coinvolto da una parte, non sono brillante come era lui, non sono un tipo così. Però mi auguro che qualcuno raccolga questa sua eredità e che quindi Giulio, anche se è morto nel corpo – ma vive, certo che vive – possa avere questa consolazione, questa soddisfazione di vedere una sua biografia. Sono state fatte delle tesi su di lui, qualcuna ce l’ho, ma sono cose molto più particolari. La biografia era più impegnativa e un po’ scherzando un po’ sul serio Gerardo si era preso l’incarico di preparare la biografia. Però anche lui ormai non è giovane; poi ha la sua impresa laggiù in Guatemala, quindi certamente non lo potrà fare. Mi auguro e auguro a Giulio che qualcuno lo possa fare per noi e per lui. Grazie.

…… : Se Bruno e Gerardo sono gli amici storici di sempre di Giulio, io posso considerarmi un amico recente, però voglio ringraziare Giulio di questa amicizia, veramente, del senso dell’amicizia. Io ho riscoperto recentemente, nel 2004-2005 quando l’ho conosciuto, il senso profondo dell’amicizia. E’ successo che io per caso sono entrato in contatto con lui attraverso un prete ecuadoriano che doveva venire in Italia. Era un discepolo di Monsignor Proano e voleva incontrare Giulio. Diceva: “c’è un teologo della liberazione mio caro amico. Quando vengo in Italia può portarlo ad un incontro?”. Quindi io ho portato Giulio, che stava appena uscendo dall’ultimo depressione. Quindi mi ha risposto questa persona un po’ seccata, un po’ burbera – io lo immaginavo come un professorone – e quindi abbiamo iniziato così. Lui è venuto a casa nostra, poi è subito voluto scappare perché la depressione aveva ancora i suoi effetti, ma da lì è iniziato questo contatto. Io non avevo capito chi fosse: sì, m’avevano detto un teologo della liberazione, ma io non lo conoscevo, non conoscevo i suoi scritti, non conoscevo nulla di lui.
Ho cominciato a frequentarlo e lui mi chiedeva cose strane, cioè mi diceva: “Aiutami a re-imparare a usare il computer, perché una volta lo sapevo usare e adesso non lo so usare più”. Allora andavo da lui e ci mettevamo davanti al computer con il mouse. Naturalmente lui con la mano un po’ tremante e scattosa apriva un sacco di finestre, poi dava un enter… insomma succedevano tante cose a questo computer e bisognava intervenire. Io lo vedevo come un poveraccio, devo dire la verità, come un vecchio professore malmesso abbandonato da tutti, solo. Dicevo “bene, sto facendo un’opera buona”. Quindi andavo da lui e lo aiutavo.
Poi c’erano dei momenti in cui succedeva qualcosa, cioè lui mi diceva: “No, oggi non lavoriamo al computer, oggi andiamo di là”. Allora andavamo di là, ci sedevamo, uno in una poltrona uno in un’altra e lui diceva: “Devo farti una confidenza come a un fratello”. E lì è sorto questo senso di amicizia bellissimo. Mi diceva: “Devo farti una confessione da fratello a fratello: ho paura di non avere più l’ispirazione a scrivere”. Ecco, lui aveva questa paura: che l’ultima depressione gli avesse impedito di poter esprimere di nuovo il suo pensiero.
Allora io cercavo di consolarlo. Ma anche lui consolava me, perché io ero in uscita dal lavoro professionale nell’industria, espulso in qualche modo dall’industria e quindi anch’io avevo un mio dramma, il cambiamento di vita. E allora lui mi stimolava, mi diceva: “No, tu continua a esprimere il suo pensiero”. Mi stimolava a scrivere il mio pensiero: pensieri di fede, pensieri sociali, pensieri politici. Quindi c’era questa reciprocità. E poi pian piano c’è stato un vero e proprio svelamento, cioè ho cominciato a capire chi era Giulio leggendo insieme a lui i testi che stavamo guardando sul computer. Perché lui doveva mettere a posto il testo dell’ultimo libro sul Che Guevara in italiano, perché era in spagnolo e vedevo questi scritti meravigliosi, di una lucidità e di contenuti stupendi.
E poi ho cominciato a capire che non era solo, che c’era una rete, c’era una serie di persone interessantissime. Lui ha coinvolto me e mia moglie Ornella in questa sua rete di amicizia ed è lui che ci ha portato qui in comunità. E da lì è nata attraverso questa amicizia una rete bellissima, ricchissima di amicizie e di incontri. Grazie, Giulio, di questa amicizia.

Berto Pace: Tra i tanti messaggi che sono arrivati come e-mail – perché io faccio il postino della comunità – ne vorrei leggere solo tre significativi di persone che hanno detto di leggerle perché non potevano venire per motivi di salute o altro.

Oggi è morto a Roma Giulio Girardi, un cristiano autentico, un intellettuale impegnato, un compagno di tante battaglie per il socialismo in Europa e in America Latina. Salesiano, docente universitario, emarginato dall’ordine, sospeso dall’insegnamento, ha integrato teologia e filosofia, utopia e progetto, studio e militanza, nel tenace impegno per dare una concreta risposta alla domanda formulata nel titolo di uno dei tanti suoi libri pubblicati nel ‘94: ‘Gli esclusi costruiranno la nuova storia?’. (Marcello Vigli)

Caro Berto, grazie della tua comunicazione. Spiacente di non poter essere presente, ricordo il piacere che provava venendo in comunità quando la malattia glielo permetteva. A proposito del dialogo diceva: ”Nel dialogo religioso, come in qualsiasi dialogo umano, ogni interlocutore ha il diritto di considerare la propria posizione come valida, ma nessuno ha il diritto di considerarsi depositario della verità totale e definitiva”. Lo ringrazio per la sua testimonianza nello scegliere i poveri e la loro liberazione. Fiore Mannarino

L’ultimo che mi è arrivato stamattina alle 10: “Il mio fratello, amico e grande maestro Giulio Girardi è partito per i cieli nuovi. La comunità di San Benedetto al Porto di Genova ha sempre camminato con la sua testimonianza. Misurò nelle masse disperate dei vinti e nella superbia dei vittoriosi a quale disumanità può portare la negazione della dignità umana. La traccia segnata da Girardi rimane intatta e illuminante per la nostra buona battaglia quotidiana della pratica della libertà. È il nostro profeta disarmato. Ci uniamo a tutti gli amici e compagni, alle compagne e alle amiche che non dimenticheranno il suo dono totale ai poveri, agli oppressi del mondo intero”. (Don Andrea Gallo, coordinatore Comunità San Benedetto al Porto di Genova)

………: Anche se ovviamente è un momento difficile per parlare, io voglio comunque ringraziare del privilegio di aver avuto l’amicizia di Giulio, io e Ramos. Non voglio parlare delle sue doti intellettuali, della sua coerenza, della sua onestà: le persone presenti sanno molto più di me, quindi non mi permetto di parlare di questo, già sapete bene il suo valore.
Io esprimo il mio dolore di non essere riuscita a stargli vicino in questi ultimi tempi, ma voglio ricordare di lui anche la leggerezza del suo spirito, l’umorismo e la qualità dei suoi rapporti umani, che a volte potevano, nella sua mitezza e riservatezza, non sembrare così profondi. Devo dire che si esprimeva soprattutto nelle idee chiarissime che scriveva nei libri, nelle cartoline quando stava in America Latina: quando c’era una certa distanza esprimeva dei sentimenti che poi a voce aveva pudore di esprimere, ma che erano molto chiari per chi lo conosceva da tanti anni.

Vincenzo d’Agostino. I miei incontri con Giulio risalgono al maggio 1965. C’era in Germania la riunione dei marxisti cristiani della …… e io andavo per fare dei servizi su Rocca. Partendo da Assisi, Don Giovanni Rossi mi disse: “Vincenzino, tieni d’occhio quel giovane pretino salesiano, perché è venuto ad Assisi al convegno dei professori universitari e ha fatto un bel discorso”. Io andai. Ero anch’io studente salesiano. La mattina andavamo dalla …. alla…. , l’Isola dei Signori, facevamo 10 minuti di barca. E così cominciai a parlare. Lui sempre con gli occhi bassi fece un discorso meraviglioso, bellissimo. Anche il pastore protestante… lo lodò molto. Io dissi: “Giulio, facciamo un libretto”. “Ma l’ho già promesso…”. “ Va bene, per la promessa prepara l’edizione magna, a me dai l’edizione parva, piccola”. E così dopo qualche mese nacque ’Marxismo e Cristianesimo’. Il cardinale Koenig ci mandò la prefazione da una baita svizzera. Decine, migliaia di copie. Poi dopo 20 anni io lasciai la Cittadella e i rapporti con Giulio furono sempre più stretti: lo andavo a trovare a Parigi due volte l’anno e nascevano gli altri libri.
E’ stata un’amicizia affettuosa, intensa, una collaborazione profonda e io lo porto sempre nel cuore… Era talmente malandato! Avrei voluto andarlo a trovare più spesso ai Castelli ma… era un disastro.
Penso che nessuna esclusione lo ha colpito: Giulio era professore, studioso, sacerdote e salesiano nel profondo del cuore e tra chi lo ha accolto nell’altro mondo sicuramente c’è stato anche Don Bosco, perché gli uomini con le esclusioni non possono escludere le realtà del cuore.
Poi io devo un ringraziamento sentito di ammirazione e di affetto a Bruno Bellerate e alla sua famiglia, che hanno fatto a lui in questi anni un’assistenza esemplare. Grazie Bruno. Tu rimani nel cuore di chiunque ha voluto bene a Giulio. E quindi grazie a tutti voi.

Giovanni Franzoni: La parola ‘concludere’ è blasfema, non si conclude mai niente. Abbiamo parlato soprattutto di semi di resurrezione e anch’io auspico che qualcuno lasci la documentazione. Un’unica raccomandazione: chi volesse fare qualcosa di biografico tenga presente che le più grandi figure della vicenda umana – sto parlando di Socrate, di Buddha, di Gesù di Nazaret – non hanno mai avuto una biografia vera e propria, una biografia conclusa. Deve essere sempre qualche cosa con spunti di memoria, con documenti, sempre aperta a un’ermeneutica, cioè a un’interpretazione che, secondo lo spirito sia di Giulio che di tante altre persone che hanno vissuto con lui l’esperienza cristiana e l’immersione nel mondo degli oppressi, rimanga aperta a un’interpretazione sempre viva.
La comunità dell’Isolotto, oltre alla sua vicinanza, ha mandato questa preghiera che leggo:
“Signore, di fronte a questa dolorosa realtà della separazione finale, siamo condotti a guardare con occhi nuovi la nostra esistenza, le nostre relazioni, il senso della vita e dell’amore, il significato dello stesso impegno per un mondo più giusto.
Il Gesù dei Vangeli ha detto: ”Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo, se invece muore produce molto frutto”. Si può accogliere il Vangelo come un inno alla vita testimoniato da un’esistenza spesa senza riserve per amore gratuito. E’ la vita di Gesù, i valori per cui lui ha vissuto che dà significato alla sua morte. E’ nella sua vita mortale limitata la salvezza, come nella vita di tutti noi.
La vita e la morte sono una cosa sola e la morte è immersione della vita nel mare della vita.
Per questo vogliamo pensare e credere che Giulio resta presente e vivo, in un impenetrabile mistero, in mezzo alle persone a cui ha voluto bene e che gli hanno voluto bene. E chi vuol chiamare in causa Dio – la cosa ci riguarda – è necessario che tenga conto di ciò che dice lo stesso Vangelo: è il Dio dei viventi, non dei morti. E a questo Dio dei viventi, amore senza potere, Padre e Madre senza ricatto, Figlio di tutte le madri e di tutti padri, Spirito che tutto vivifica e da tutto è vivificato, a questo Dio relazione trinitaria ci rivolgiamo: accolga Giulio e lo benedica insieme a tutti noi”.

Nora Habed:

Caro Giulio,
ci rivolgiamo a te ancora nel presente, perché è così che tu resterai per noi che abbiamo avuto l’onore di conoscerti da vicino. Ricordiamo tutta la tua ricchezza intellettuale, il tuo rigore scientifico, la tua forza morale e la tua passione per la difesa di tutti gli oppressi del mondo. Lo facevi da filosofo, da teologo, da umanista e da pedagogo. Amavi ripetere che era la forza del diritto quella che doveva prevalere sul diritto della forza e ogni volta che partecipavi ad un congresso, soprattutto riguardante l’America Latina, non ti ripetevi mai. Avevi sempre qualcosa di nuovo da trasmettere, dove davi nuove spinte e nuovi sogni. Eri l’uomo dell’utopia e della speranza e non ti arrendevi.
Ti ho conosciuto a Roma negli anni 80 in un seminario sul Nicaragua, durante la rivoluzione sandinista, in cui era stato invitato Ernesto Cardenal. Il titolo del seminario era “Le rose non sono borghesi”. Quello stesso giorno, ho conosciuto i tuoi amici inseparabili, Bruno Bellerate e Gerardo Lutte assieme a Ramos Regidor. Ho sentito che quel seminario era fatto apposta per te: un mondo dove tutti e tutte avevano lo stesso diritto di sognare e di sperare. Da allora ti ho visto partecipare nel pieno, affianco ai cristiani latinoamericani della teologia della liberazione, e i tuoi viaggi sono stati instancabili da quel momento. Di te, mi colpiva sempre la tua dimensione di essere nel mondo. Era come se il mondo terreno, quello quotidiano, non ti appartenesse più di tanto. Trascuravi quello che mangiavi, tranne alcune eccezioni come per il tuo cous-cous e la tua cioccolata, e non ti preoccupava tanto in che modo arrivavi da una parte all’altra della città o da una parte all’altra del mondo. Non era quello che contava per te. Eri altrove. In quegli anni, ho visto come guidavi una macchina scassata come se tu non fosse il guidatore: Una volta, davanti a casa mia, avevi preso il senso contrario e, dal balcone, tutti ti facevamo i segnali di fermarti e tu con grande tranquillità ci hai detto che non te ne eri accorto… finché una volta, davanti a casa di Gerardo, la tua macchina ha preso fuoco perché era da tanto che non gli mettevi l’acqua e da allora, per fortuna, hai smesso di guidare. Caro Giulio, questo mondo così terreno, non era per te. Tu eri sempre al di sopra, nel mondo delle idee dove si elaborano i pensieri profondi, quelli che creano la speranza, il senso dell’amicizia e dell’amore e che danno la forza per il cambiamento. Non a caso, sei stato tu a dare il grande contributo per il Mojoca e per i ragazzi di strada del Guatemala, con le tue riflessioni sull’amicizia liberatrice e che è ora l’asse fondante della pedagogia di tutto il Movimento.
Giulio, ti abbiamo conosciuto sia nei tuoi contributi concreti con le borse di studio per il Nicaragua, dove eri convinto della necessità di appoggiare le popolazioni indigene-afro-americane, sia nel tuo grande impegno con il Movimento dei Giovani di Strada in Guatemala. Noi come Amistrada, ti ringraziamo profondamente per il tuo contributo, per la tua partecipazione e la tua solidarietà per essere sempre stato dalla parte degli ultimi .
Ringraziamo tutti gli amici presenti perché la colletta che si fa oggi a nome di Giulio, andrà a favore dei giovani di strada del Guatemala.
Giulio, non so in quale dimensione tu sei ora, ma sicuramente sei in quella dimensione dove c’è la giustizia, la fratellanza e l’Amore Universale. Grazie Giulio y hasta pronto

Roma, 28 febbraio 2012

Forse tante cose avremmo ancora da dire, parecchie persone vorrebbero ancora portare la loro testimonianza. Credo che ce le lasciamo un po’ nel cuore condividendo attraverso altri successivi strumenti e modi di comunicazione, perché il nostro saluto, la nostra memoria di Giulio non finisce qui. L’ambasciatore di Cuba è stato qui presente, aveva un messaggio particolare venuto dal Nicaragua di memoria, di testimonianza, di riconoscenza delle comunità. L’anno scorso quando con altri due comunitari eravamo andati a Giamaica all’assemblea mondiale sulla pace, nominando Giulio nel gruppo latino americano è stato tutto un esultare che era ancora vivo: “Come sta?”, “Salutalo”, messaggi di saluto per lui da pastori, da comunità di base di Cuba, del Nicaragua dell’Ecuador. Mandarono una lettera che abbiamo letto insieme, anche se già non era più in grado di raccogliere queste testimonianze. Ma questa musica che abbiamo ascoltato è significativa, perché questa è la Messa Campesina del Nicaragua, che è stata un po’ l’accompagnamento musicale di tante nostre iniziative, battaglie, lotte, impegni, sogni. Non troppi anni fa.
Bruno Bellarate: Volevo dire due cose, una a nome di mia moglie che ha paura a parlare e che in qualche modo contraddice qualcosa che avevo detto io, perché le mogli contraddicono sempre i mariti. Ad ogni modo Giulio aveva paura e soprattutto Giulio voleva vivere. Al contrario mio: io voglio morire, lui invece voleva vivere: fino all’ultimo ha detto ”io voglio vivere”. Per cui io non sono mai riuscito a parlare con lui della morte. Lei ce l’ha fatta: ha parlato della morte, gli ha chiesto se voleva il prete e così via.
Poi un’altra cosa. Giulio è stato un po’, da quando è venuto a casa nostra, un po’ lo zio dei miei figli che prima erano due, perché i miei figli in una famiglia molto ridotta non hanno molti parenti: lei è brasiliana, io sono italiano, mio fratello è morto. Allora lui voleva bene a tutte e due, anche se non è che abbia parlato moltissimo con loro. Però il giorno del suo compleanno gli unici che hanno festeggiato il suo compleanno con lui sono stati Luca mio figlio, Maria che è lì, quella bionda vicina alla signora con la maglia verde, che devo ringraziare pubblicamente perché lei è stata la badante di Giulio. Ha seguito Giulio mattina a sera tutti i giorni con una fedeltà unica. E lei l’ha trovato morto. Quindi devo ringraziarla a nome di tutti quelli che l’hanno conosciuto.