L’ANGOLO della GRU: Remigio e la “bontà insensata” di A.Bifulco

Aldo Bifulco
Cdb Cassano – Napoli

Avverto forte il desiderio di dedicare questo spazio, a me affidato, alla figura di Remigio Raimondi, la cui “vita biologica” pochi giorni fa è diventata”cenere”, ma ci ha consegnato i suoi “sogni”.

Farà bene ai tanti lettori di “Fuga di notizie” suoi amici, a quelli che lo hanno conosciuto alla presentazione del suo libro “ L’esorcismo perfetto” in una sala gremita del Centro Hurtado, alla presenza di figure prestigiose come il filosofo Aldo Masullo e il compianto amico e collega Sergio Piro, ma farà bene anche a quelli che non lo conoscono e…poi fa bene a me, che mi considero un suo “fratello minore”, pur avendo qualche anno in più. E capirete perché.
Fu lui a portarmi per la prima volta a Spello e farmi conoscere Carlo Carretto e la spiritualità dei “piccoli fratelli”. Fraternità che fanno della prossimità amorevole, della condivisione concreta della vita dei più poveri, della solidarietà discreta e silenziosa, della contemplazione tra la folla e la confusione del quotidiano, la loro regola di vita.

E sotto la sua spinta, un manipolo di giovani del quartiere Vasto, si liberò dalle maglie strette e anguste dell’istituzione, per vivere una fede calata nella storia, assumendo le problematiche degli ultimi, degli esclusi. Siamo alla seconda metà degli anni sessanta, gli anni in cui fiorirono in tutta l’Italia, contemporaneamente, come un segno dei tempi, tanti “gruppi spontanei” come il nostro. Un periodo storico che andrebbe “svelato” alle nuove generazioni. E più tardi, anche ispirandosi, alla pagina degli Atti degli Apostoli in cui si legge “ la comunità dei credenti viveva unanime e concorde, e tutti quelli che possedevano qualcosa non la consideravano come propria, ma tutto quello che avevano lo mettevano in comune” il gruppo si trasforma in “comunità”, la Comunità del Cassano, che ancora oggi, dopo, quarant’anni è presente attivamente nella società napoletana.

L’ombra del campanile aveva impedito l’acquisizione cosciente dei drammi che popolano il quotidiano e perciò rompemmo il “recinto” per vivere una fede che si compromette con la storia e con tutti quelli che lottano nei processi di liberazione. Sono gli anni delle iniziative a favore dei baraccati, dell’animazione tra i bambini con tubercolosi ossea, inchiodati nei lettini dell’Ospedale Monadi, della presenza volontaria nel carcere minorile “Filangieri” tentando un raccordo tra carcerati e territorio, del sostegno ai cantieristi e ai disoccupati alla ricerca di un lavoro dignitoso.

E poi ho sposato la sorella più piccola….anche per questo gli sarò grato per sempre.

Appena laureato, con il suo fardello di sentimenti, esperienze e conoscenze, approda in terra toscana, prima a Volterra, e poi come primario nell’Ospedale Psichiatrico di Massa per svolgere la sua opera tra “gli ultimi degli ultimi”, come lui amava definire i pazienti con cui veniva in relazione. Forse la distanza, forse la sua discrezione, ma ho saputo poco del suo grande impegno di tutti questi anni, delle sue conquiste, delle sue gioie ma anche delle sue amarezze. Ma in questi giorni di dolore “il velo si è squarciato” e mi è apparso un mondo meraviglioso di dedizione generosa e di amore.

Mi affido a due spezzoni dei vari articoli che sono apparsi sulla stampa locale. Il primo scritto dai suoi colleghi: “A Massa Carrara, dove non esisteva all’epoca nessun servizio che assistesse in modo specifico, umanitario e professionale il malato con disagio mentale, il suo impegno e la sua determinazione hanno negli anni costruito una rete di servizi volti all’assistenza, all’aiuto e alla promozione sociale del cittadino utente” e il secondo, meglio ancora , dai suoi pazienti “Ciascuno di noi ha percorso le vicende della propria vita e della propria malattia, rivisitando gli attimi condivisi con questo ineccepibile professionista e, soprattutto, splendido uomo dalle immense qualità umane, ognuno di noi ricordando personalmente la mano ricevuta nei momenti di difficoltà”.

Nella Chiesa gremita, sull’altare, tra la mia meraviglia e anche un po’ di disorientamento si sono presentati per la concelebrazione undici preti con alla testa il vescovo locale. E nei banchi c’erano anche parecchie suore. E pensare che nella sua vita non è mai stato tenero con l’istituzione.

Le lacrime di alcuni di essi e le parole di altri mi hanno fatto capire e ricordare che Remigio più volte mi aveva detto di aver aiutato tanti preti e suore in difficoltà. Il disagio psichico alligna dovunque, non fa differenze. Anche il vescovo ha presentato Remigio come un fratello confidente.

E ci ha parlato dell’ ultimo regalo ricevuto, il libro di Nissim “La Bontà insensata”. Il segreto degli uomini giusti”. E ha concluso affermando: “Cosa c’è di più “insensato” di un uomo, sul letto di morte, che prova ad interrompere la respirazione con l’ossigeno per parlare con i suoi pazienti, quasi a chiudere la sua esistenza continuando a fare terapia?”

La vita di Remigio è stata costellata di ostacoli ed amarezze che il “pregiudizio” e la “cattiveria organizzata” ha posto sulla sua strada. Ma lui, come fanno i “veri giusti”, ha saputo andare “oltre il pregiudizio” e spargere semi di bontà anche nei punti tortuosi del suo cammino.

Ha voluto affrontare la sofferenza e la morte con grande coraggio; ha voluto guardare la morte in faccia con piena consapevolezza. D’altronde uno dei suoi ultimi messaggi era questo: “Vivere la vita rimane l’impresa più difficile se gli altri ti percepiscono una semplice rappresentazione virtuale a cui dare una misura, un voto, un giudizio. E’ più facile vincere la partita a scacchi con la morte che incontrarsi con l’altro nella casa dell’amore. Io sono in attesa dell’altro ogni giorno nella casa dell’amore, lontano dal chiacchiericcio di un mercato che si gioca la vita sull’inutilità delle cose.”

La logica del dono lo ha accompagnato fino alla fine ed ha voluto che, dal suo corpo devastato dal cancro, fosse espiantata, forse l’unica parte ancora intatta, la cornea, per essere messa a disposizione dell’ignoto che ne avesse avuto bisogno.

Ultima tenera annotazione che mi ha ulteriormente commosso: nella bara ho intravisto una piccola “gru di carta” costruita da una sua giovane amica. Da tempo vado distribuendo, come segno di amicizia e di condivisione, questo semplice origamo e ne ho spedite centinaia ad Hiroshima, come anelito alla pace; qualcuno però ha voluto mandarne una più lontano e, soprattutto, più in alto.