La torre e il campanile di B.Manni

Beppe Manni
Gazzetta di Modena, 17 giugno 2012

Nella Bassa Modenese tormentata da un terremoto infinito. Le ferite dei capannoni collassati, delle scuole devastate, delle abitazioni sventrate come nei bombardamenti del 45. Sono dolorose e angoscianti realtà.

Ma sono cadute le torri e i campanili. Nella torre e nel campanile il viaggiatore che veniva da lontano pur nella moderna città con il suo tessuto urbano omogeneizzato riconosceva il paese. E il pellegrino, come dice Dante, si commoveva la sera quando da lontano sentiva il suono di una campana che gli ricordava la patria abbandonata.

Anche i nostri paesi attraverso la torre e il campanile rispecchiavano le antiche e gloriose realtà comunali con le loro orgogliose tradizioni.

La torre del castello non era solo il segno di un’antichità medievale estense, ma il simbolo della municipalità comunale fiera e intraprendente; l’orologio e la sua grande campana esprimeva la laica presenza dei cittadini che pur vivendo all’ombra della chiesa, esprimeva attraverso il signore, il podestà e il sindaco una operosa presenza nella cosa pubblica.

Il campanile svettava sulle case e sfidava la torre del castello non per gareggiare come in antico nella guerra tra guelfi e ghibellini, tra preti e politici, ma per rassicurare i buoni paesani all’ambra protettrice del santo patrono e della madonna venerata negli altari. Non contrasto ma dialogo e armonia per il bene comune della collettività. Ben rappresentati dal sindaco Peppone e dal parroco don Camillo che proprio nella Bassa sono germogliati.

Nella ‘ruina’ dei campanile le antiche campane sono precipitate sul sagrato. O sono silenziose e aggrappate ai trespoli pericolanti. Nel deserto dei centri storici queste lingue mute son un altro segno della tragedia collettiva.

La campana accompagnava ogni momento della vita del cittadini. Segnava il tempo del lavoro con il tocco dell’Ave Maria all’alba e al tramonto. Il suono del bronzo aveva un suo alfabeto con il quale al mattino informava il contadino sul tempo che lo aspettava. Se suonata a martello chiamava per incendi o alluvioni.

Informava delle funzioni religiose, suonava a distesa nelle feste o accompagnava i morti al cimitero. La campana aveva un suo nome inciso sulla costa, ed era dedicata a un santo o alla Vergine. I bronzi delle campane e gli ottoni delle bande cittadine con i loro suoni dolci e rassicuranti accompagnavano i momenti di festa dei nostri antenati.

Ecco perché i campanili e le torri civiche, di Concordia, San Felice, Motta, Villafranca, Cavezzo… lacerati e silenziosi tanta tristezza hanno suscitato in noi.

Assieme ai capannoni, alle scuole, alle case, mettiamo in sicurezza, salviamo, e quando è necessario ricostruiamo pezzo per pezzo le torri e i campanili, segni di una storia che ci lega ai nostri antenati e alle nostre tradizione, anche se oggi i castelli sono spesso solo musei e la voce dei campanile fatica a farsi sentire tra i mille assordati rumori della città moderna.