Non in nome della laicità di M.Vigli

Marcello Vigli
www.italailaica.it| 20.09.2012

Prima le violenze contro sedi diplomatiche statunitensi e poi lo stato d’allarme imposto dal governo francese alle sue sedi diplomatiche si sono aggiunte nelle ultime settimane alle notizie e ai commenti sulla crisi economica e sulle guerre, contribuendo ad infiammare le piazze di alcuni Paesi abitati da musulmani. Le prime sono state scatenate dalla diffusione del filmetto “Innocence of Muslims” scritto da Sam Bacile, prodotto al prezzo di 5 milioni di dollari da Nakoula Basseley Nakoula, rilanciato tradotto in arabo sul suo sito da Morris Sadek, il leader dei cristiani copti, e proiettato nella sua chiesa dal pastore ultra conservatore americano Terry Jones, noto per aver istigato il rogo di una copia del Corano nel 2010.

L’allarme in Francia è nato dal timore di reazioni violente contro la pubblicazione, sul settimanale Charlie Hebdo, di vignette in gran parte ispirate alla vicenda del film anti-Islam, che già stava infiammando il mondo islamico. Il 19 settembre, secondo fonti giudiziarie, il giornale è stato denunciato “per incitazione all’odio”. I media di tutto il mondo si sono esercitati in analisi e commenti sul film e sulle vignette. Alle condanne da parte degli islamici ultraortodossi, e alle richieste di censura da parte di politici, e non solo, preoccupati per gli esiti eversivi delle due operazioni “mediatiche”, si contrappone, nel cosiddetto mondo occidentale, chi difende i responsabili dell’uno e delle altre con argomentazioni che coinvolgono i sacri principi della libertà di espressione e di critica.

Non c’è dubbio che questi vanno difesi e riaffermati perché nessun limite può essere imposto alla libertà di critica nell’ambito, ovviamente, di quelli sanciti dalle norme contro la diffamazione, la calunnia e l’offesa che colpiscono le persone. Idee, orientamenti culturali, ideologie, religioni, nel momento stesso in cui vengono diffuse possono essere soggette a critica nelle diverse forme che i sistemi di comunicazione, oggi sempre più sofisticati, consentono. Legittimi, pertanto, gli appelli al senso di responsabilità politica sull’opportunità di non usare forme particolarmente offensive nei confronti delle persone e dei popoli che in quelle idee credono e quei dogmi professano, senza nulla cedere sui principi.

Comprensibili, ma non condivisibili, anche le reazioni di Khameini, che punta il dito contro sionisti e governo americano, e dei Fratelli musulmani che a quei principi non credono. Da un lato dichiarano che per il film gli Stati Uniti non sono responsabili, dall’altro chiedono l’impossibile al governo francese, per bocca del loro portavoce Mahmoud Ghozlan. Pur prendendo atto con favore delle critiche avanzate da esso contro le vignette, dichiara che sarebbe opportuno che le leggi francesi affrontassero il problema degli insulti contro l’Islam nella stessa maniera in cui affrontano il problema del negazionismo sull’olocausto. Inaccettabile, invece, la scelta di chi, in Italia, giustifica l’uso di argomentazioni condivisibili, che attingono al principio indiscutibile della libertà, per mascherare manovre e obiettivi politici che si sanno inconfessabili.

Molti dubbi sono stati sollevati, infatti, sui tempi del lancio del film “Innocence of Muslims” e sulle forme usate nella sua divulgazione perché inducono a pensare che entrambi non siano occasionali, ma frutto di un preciso piano per mettere in difficoltà il candidato democratico alla elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Non è certo che i suoi produttori abbiano avuto in mente tutti gli sviluppi della reazione del mondo islamico fino alla morte dell’ambasciatore in Libia, ma non potevano non sapere che anche un piccolo sasso può provocare una valanga se la neve è ancora fresca!!!

Non potevano ignorare che oltre ad Al Qaida, sempre pronta a profittare di ogni occasione per tornare sulla scena nel mondo islamico, erano pronti a scendere in campo i Salafiti. Sconfitti dopo aver molto contribuito alle primavere islamiche, sono pronti a tutto per evitare che la stabilizzazione di governi islamici moderati renda definitiva la loro emarginazione. Tanto più non poteva ignorarlo lo staff del candidato repubblicano Mitt Romney, che, invece, si è affrettato a profittare della reazione antiamericana delle piazze arabe per attaccare la politica di buoni rapporti con il mondo islamico inaugurata da Obama. Non è solo dietrologia se si ipotizza un piano preordinato in quegli Stati Uniti in cui nel corso della loro breve storia due presidenti scomodi sono sati assassinati; nella seconda metà del secolo scorso la stessa sorte è toccata a due prestigiosi politici “non allineati” e il governo non ha esitato a usare i talebani contro i sovietici invasori dell’Afghanistan. E’ pensabile, perciò, che con il film non si sia voluto compiere un atto di vilipendio religioso come un ben mirato strumento d’incitazione all’odio da indirizzare contro i propri avversari politici.

Analoga riflessione è suggerita dalla vicenda del settimanale francese che puntualmente ha colto l’occasione per ripetere l’operazione di marketing messa in atto quando, nel ri-pubblicare le “vignette danesi”, la sua diffusione ebbe un balzo: dalle abituali 70.000 a mezzo milione di copie. Questa volta il successo è stato assicurato dall’adesione incondizionata della destra neo gollista e dall’approvazione incondizionata di Marine Le Pen, leader del Fronte nazionale, incuranti della contraddizione che vedeva proprio i campioni della politica ispirata al motto “Dio, Patria e famiglia”, attaccare Allah e il suo Profeta, per di più in nome della laicità .

In verità la cultura della laicità, pur nelle sue diverse articolazioni, è concorde nel condannare, senza se e senza ma, l’uso politico della religione quando è opera sia di gerarchie ecclesiastiche, sia di politici spregiudicati, atei e miscredenti, magari per suscitare, con eventi costruiti a arte, reazioni emotive che scatenano odio e violenza a svantaggio di loro avversari. Nessuno pensi di praticare oggi l’islamofobia, come ieri l’antisemitismo in nome della laicità. Solo muovendo da questi chiarimenti è possibile contribuire ad avviare una integrazione culturale a livello planetario fondata sulla cultura della laicità.

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4 commenti

Tino: Innazitutto Marine Le Pen è in processo contro Charlie Hebdo per diffamazione, perché Charlie Hebdo l’ha decisamente ridicolizzata più. Quanto alla destra gollista non tutta sostiene il giornale, mentre il Presidente Hollande aveva sostenuto Charlie Hebdo nell’affare precedente. Quindi non vedo come si possa parlare di sostegno incondizionato. Poi nell’articolo non c’è scritto nulla sul fatto che la stampa internazionale non si è preoccupata minimamente di verificare le supposte origini ebraiche dell’autore del film cosa rivelatasi falsa. E due giorni dopo che l’identità vera dell’autore è stata svelata, alla festa comunista dell’Huma in un messaggio di sostegno alla Palestina un deputato comunista continuava a dire che il produttore del film sarebbe un “estremista israeliano”. Quanto al paragone tra rispetto del profeta e negazione dell’olocausto, a parte il fatto che in Egitto ci sono spesso vignette antisemite, qualunque sia in merito la posizione sull’oportunità di punire i negazionisti mi sembra un paragone completamente fuori luogo. Riducento l’olocausto a una semplice credenza come la credenza che Maometto (benché sia esistito) sia veramente un profeta (anche per chi in Dio non ci crede). Io direi anche “non in nome alla laicità gli insutli a Charlie Hebdo”, chiunque allora può essere accusato di operazione commerciale, anche chi scrive libri sulla laicità come certi famosi laici italiani scrittori di libri che sul loro blog continuano a lasciare intatta la notizia secondo la quale Sam Bacile fosse ebreo.

Marcello Vigli: “In verità la cultura della laicità, pur nelle sue diverse articolazioni, è concorde nel condannare, senza se e senza ma, l’uso politico della religione quando è opera sia di gerarchie ecclesiastiche, sia di politici spregiudicati, atei e miscredenti, magari per suscitare, con eventi costruiti a arte, reazioni emotive che scatenano odio e violenza a svantaggio di loro avversari.” L’UAAR per esempio sostiene Charlie Hebdo. La cultura laica ITALIANA al limite, perché in Francia la cultura laica non è assolutamente d’accordo per condannare Charlie Hebdo, così come assimilare i neogollisti a Dio Patria e Famiglia sapendo che il segretario generale è ebreo Jean-François Copé. Il senso dell’articolo è che Italia laica sostiene le associazioni musulmani che hanno sporto denuncia contro Charlie Hebdo per incitamento all’odio razziale? E le condanne per minacce di morte, attentati (due musulmani già arrestati per tentativi di attentato) quelle sono condannate con il ma o non sono neanche condannate?

Tino: Un’altra segnalazione che mi pare importante. Contrariamente a quanto sostiene Marcello Vigili, numerosi sono i deputati neogollisti che hanno condannato Charlie Hebdo, del resto il segretario dell’UMP Copé ha detto che non era il momento adatto per tali vignette. La senatrice neogollista UMP Joëlle Garriaud-Maylam, non solo chiede che Charlie Hebdo contribuisca finanziariamente a eventuali danni causati dalla pubblicazione delle vignette, ma deporrà un progetto di legge per garantire il rispetto delle religioni. Christine Boutin la passionaria di centrodestra antipacas e antiaborto prevede di sporgere denuncia insieme alle associazioni islamiche contro Charlie Hebdo. Qualunque siano le opinioni su Charlie Hebdo sarebbe opportuno criticarle in merito e non in base a sostengni che in realtà si sono rivelati essere inesistenti o quasi.

Marcello Vigli: Ringrazio il signor Tino per l’interessamento al mio testo e per le segnalazioni delle imprecisioni o errori di valutazione in cui sarei incorso. Mi permetto di rilevare, però, che alcune delle sue osservazioni non sono pertinenti. Il sostegno oggettivo di Marine le Pen a Charlie Hebdo non contrasta con le sue divergenze passate e future con il settimanale: non sarebbe la prima volta che da destra e da sinistra si converge su un comune obiettivo senza per questo rinnegare la propria alterità. Né mi pare che la mia ovvia affermazione Nessuno pensi di praticare oggi l’islamofobia, come ieri l’antisemitismo in nome della laicità possa essere interpretata come paragone tra rispetto del profeta e negazione dell’olocausto, come fa il signor Tino. La denuncia del carattere commerciale dell’operazione di Charlie Hebdo, non mi pare un insulto ma solo una delegittimazione del suo valore culturale, che, ovviamente, vale anche per gli episodi che lui cita e che io non conosco. Questa mia denuncia sembra avvalorata dalle affermazioni e iniziative di deputati neogollisti, del segretario dell’UMP, della senatrice neogollista UMP Joëlle Garriaud-Maylam, della passionaria di centrodestra Christine Boutin che, come informa il signor Tino, hanno stigmatizzato la pubblicazione di Charlie Hebdo pur, sembrerebbe, senza dissociarsi dagli altri loro colleghi di partito in grande maggioranza di diversa opinione. Infine anche un ebreo, non so se sia il caso di Jean-François Copé citato dal signor Tino, può essere sostenitore di Dio Patria e Famiglia magari usando il termine Jahwé: il fondamentalismo religioso non ha confini … denominazionali. Più pertinente l’osservazione che il signor Tino riserva alla mia tesi che nega la coerenza di chi, inspirandosi alla cultura della laicità, giustifica quanti, per motivi politici o commerciali fomentano odio o conflitti servendosi della religione, come usano fare le gerarchie ecclesiastiche o i fondamentalisti di tutte le fedi. Di questo dissenso non posso che prendere atto mentre non posso considerarmi responsabile di non avere svolto una esaurente disamina di tutte le reazioni ai due fatti di cui mi sono occupato. M’interessava solo riflettere sull’abuso … della “laicità.