Guidaci a giustizia e pace di L.Sandri

Luigi Sandri
Riforma n°40 del 25/10/2013

«Dio della vita, guidaci alla giustizia e alla pace»: alla luce di questo logo, dal 30 ottobre all’8 novembre si celebra a Busan, in Corea del Sud, la 10ª Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), che torna nel paese asiatico dopo che già nel 1990 a Seoul si era tenuta una convocazione dello stesso Cec dedicata a una riflessione su giustizia, pace e salvaguardia del creato.

È dunque questa la seconda volta che, in Asia, si tiene un’Assemblea del Cec; le precedenti, infatti, si svolsero ad Amsterdam, Olanda (1948), Evanston, Usa (1954), New Delhi, India (1961), Uppsala, Svezia (1998), Nairobi, Kenya (1975), Vancouver, Canada (1983), Canberra, Australia (1990), Harare, Zimbabwe (1998), Porto Alegre, Brasile (2006). E, ritornando in Asia, la scelta della Corea del Sud non è stata casuale: accanto a un impressionante sviluppo economico e tecnologico, infatti, quel paese è caratterizzato dalla ferita della separazione dalla Corea del Nord. La guerra di Corea, degli anni 1950-53, che vide da una parte la pressione dei cinesi e dei sovietici e, dall’altra, quella degli Stati Uniti d’America, non riuscì – pur avendo provocato un milione di morti – a far prevalere l’una o l’altra parte. Il risultato, perciò, fu la divisione della penisola in due Stati, con un confine che corre lungo il 38° parallelo: il Nord sotto un durissimo regime comunista, retto dalla «dinastia» dei Kim; il Sud, un paese sotto l’ala protettrice degli Usa, e per certi aspetti di stampo occidentale, ma gravato anche da dittature. La conseguenza di tale situazione è stata un continuo riarmo delle due Coree, per evitare (o preparare?) lo scontro finale; e il regime di Pyeongyang, per fronteggiare – indirettamente – sia gli Stati Uniti sia il Giappone, ha scelto di dotarsi di armamenti nucleari, destinando a quest’impresa ingentissime risorse in un paese dove milioni di persone soffrono la fame.

L’Assemblea del Cec si svolge dunque in questo contesto geopolitico, che nessuno a Busan potrà ignorare. La questione della pace e del disarmo incomberanno, perciò, sul lavoro dei circa mille delegati che da 345 Chiese del mondo converranno insieme per interrogarsi su «come» collaborare per la giustizia e la pace, pregando, proprio là ove la riconciliazione tra i popoli appare più difficile, perché il grande sogno si avveri.

L’altro tema dominante dell’Assemblea sarà una rinnovata riflessione teologica, partendo da La Chiesa, verso una visione comune. Si tratta di un testo che Fede e Costituzione – la commissione del Cec che approfondisce appunto i problemi teologici, per offrire i suoi risultati alla riflessione delle Chiese – ha elaborato dopo un lungo cammino, iniziato nel 1989, e via via modificato e arricchito in base alle risposte ricevute, fino a che nel giugno 2012, a Penang, in Indonesia, esso è stato definitivamente votato all’unanimità.

Infine, il Comitato centrale (il «parlamentino» di 150 membri che tra un’Assemblea e l’altra è la massima autorità del Cec) nel settembre dell’anno scorso lo ha approvato, raccomandandolo alle Chiese membro per lo studio e invitandole a dare una risposta formale. Busan, dunque, potrebbe essere l’occasione di una importante convergenza.

La Chiesa cattolica romana non è membro del Cec; a ogni Assemblea è però sempre presente una delegazione ufficiale vaticana. Sarà interessante vedere se, con il nuovo corso inaugurato da papa Francesco, vi saranno, all’appuntamento coreano, delle novità significative nella valutazione di Roma verso l’ecumenismo.

A Busan, come sempre nelle Assemblee generali, vi saranno dei solenni incontri di preghiera, struggenti per canti e danze che testimoniano la sensibilità di Chiese provenienti da ogni angolo del pianeta; o, anche, celebrazioni comuni della Parola. Ma, come sempre, non ci sarà una corale concelebrazione eucaristica. Questa «impossibilità» deriva dal fatto che, mentre alcune Chiese, in particolare quelle legate alla Riforma, sarebbero favorevoli a questa scelta, «perché è Cristo, non le Chiese, che invita alla sua mensa», l’Ortodossia è contraria, in quanto vede l’eucaristia condivisa non un viatico per aiutare i cristiani a ritrovare l’unità nella fede, ma un premio rinviato a quando tale unità sarà raggiunta. Quali che siano le ragioni dell’invocata «impossibilità», lo spettacolo delle Chiese incapaci di celebrare insieme l’Eucaristia è, obiettivamente, una contro-testimonianza sempre più insopportabile.