“Quando casca il palco”

Paola Morini – Trento

A due passi da casa mia, un compaesano piuttosto particolare ha messo su una specie di allevamento di cervi e così ho finalmente potuto seguire da vicino le vicende del cervo e delle sue corna. Il maschio, come tutte sappiamo, porta sul capo delle corna che ogni anno si arricchiscono di una nuova ramificazione. Questa meraviglia della natura che i cacciatori usano come trofeo, viene detta “palco”. E ogni anno al cervo “casca il palco” che ricrescerà poi a primavera. Il “palco” del cervo è una messa in scena che serve per acquisire ed imporre autorità sugli altri maschi e di conseguenza sulle femmine; è funzionale alla riproduzione del branco.

La religione e la politica, i due elementi che concorrono alla coesione e allo sviluppo della società sono un po’ come il “palco”del cervo. Per svolgere la loro funzione hanno bisogno di darsi strutture e di auto-rappresentarsi; di ritualizzare, regolamentare, definire, secondo formule più o meno efficaci, il proprio rapporto col mondo (e con le donne).

Il problema sorge quando il “palco” anziché essere strumentale e cadere periodicamente per rinnovarsi, si trasforma nell’elemento centrale, essenziale. Per restare nella metafora potremmo dire che il cervo si riduce ad essere quel che in lui vede il cacciatore: il palco, il trofeo. Allora finisce la fecondità, il rinnovamento.

Così è stato per la nostra Chiesa:  quel che doveva essere di supporto per la trasmissione e la condivisione dell’evangelo (della buona notizia) è diventato gabbia, ostacolo. Quel velo del tempio, che s’era squarciato con la morte di Gesù in croce, è tornato ad essere pesante cortina che separa il sacro dal profano togliendogli la forza generativa che era venuta dalla Parola fattasi Carne. È stato di fronte a questa incapacità generativa della chiesa che non sapeva più essere per me, come per tante altre donne, fonte di spiritualità e di speranza, che è sorta la necessità di facilitare la caduta del “palco”, il bisogno di liberarsi dalla gabbia per ritrovare l’essenza di un percorso di fede.

Lungo questa strada il percorso mio e del “gruppo Thea” ha incrociato quello delle donne delle Comunità di Base trovando comunità d’intenti, pluralità d’approcci e ricchezza di rapporti. Insieme abbiamo condiviso anche la consapevolezza che non diversamente si pone il discorso per la politica, ormai incapace di generare giustizia sociale e pace nell’organizzazione dell’economia e nella mediazione delle conflittualità. Per questo nel  nostro percorso abbiamo sempre cercato di non avere lo sguardo strabico di chi parlando di fede chiude l’occhio che si apre sulla politica e sappiamo di non poter prescindere dalla consapevolezza che è nella pratica delle relazioni quotidiane con tutti/tutte e con tutto ciò che ci circonda, che si struttura la realtà nuova a cui vogliamo dare il nome di “regno dei cieli” anche secondo il significato suggerito da Luisa Muraro.

Citando la Muraro che dalle scritte sui muri prende spunto per riflettere (Dio è violent), mi torna alla mente una scritta che c’era molti anni fa su un muro di Trento: “Vogliamo distruggere tutto e saltellare sulla macerie”. Confesso che, all’adolescente scriteriata che ero, la frase sembrava allegra..

Oggi, in un momento in cui la crisi di tutte le istituzioni è più evidente che mai, mi sembra invece che quella frase indichi chiaramente il pericolo a cui si può andare incontro mentre si smontano le impalcature: quello di far franare tutto.

La chiesa e la politica oggi hanno bisogno più che mai di narrazioni, di azioni, di simboli, di strumenti, ma dobbiamo metterne in campo di nuovi che sappiano fare a meno di ciò che è sempre stato usato: il potere verticistico, la violenza anche solo verbale, l’ostracismo o la condanna per eresia nei confronti di chi segue percorsi diversi, la difesa della “purezza” e il conseguente divieto di contaminazione, la riduzione all’assoluto universale del proprio parziale punto di vista, ecc….

A noi donne oggi spetta il compito di far crescere un nuovo “palco” che sia funzionale alla ripresa della speranza e sappia generare il cambiamento di cui c’è bisogno, ma nella piena consapevolezza che il suo tempo è limitato e che solo il continuo abbandono delle vecchie botti può consentire al vino nuovo di maturare ed acquisire sapore per la gioia di tutte/i.

 

P.S. Quando ricrescono le corna dei cervi, in primavera, sono ricoperte di uno strato morbido e vellutato; solo con l’andare del tempo divengono dure e pericolose…..

Sapremo mantenerci vellutate? (nonostante l’età)!