Invito a Paestum 2013: Libera ergo sum

Paestum 4,5 e 6 ottobre: La rivoluzione necessaria. La sfida femminista nel cuore della politica
http://paestum2012.wordpress.com

Paestum 2013 nasce quindi da un’urgenza, l’urgenza di incontrarsi, proporre alternative, l’urgenza di trovare una strada che ci permetta di essere libere, o almeno che ci offra la possibilità di provarci.

Libere davvero

Libertà è poter essere, poter scegliere, poter desiderare. È una pulsione naturale, un bisogno palpabile, una lotta irrinunciabile. Voglia di libertà è quello sguardo sul mondo che rivendica un diverso stato delle cose. Spazi, relazioni, persone, potere, conflitti possono essere ripensati, anzi sovvertiti ed è proprio il femminismo quella brezza che ci trasporta verso altri luoghi, altri immaginari. La libertà delle donne è oggi pericolosamente messa in discussione, in ogni ambito della vita, dal tentativo di negare conquiste che sembravano consolidate al manifestarsi di nuove forme di dominio. Il presupposto per dirsi davvero libere è in primis l’aver accesso ai mezzi per condurre una vita dignitosa. Quella di cui stiamo parlando è un’emergenza: le condizioni materiali di vita sempre più precarie, i tagli ai servizi pubblici essenziali, non solo ci condannano ad un’esistenza parziale, una “sopravvivenza”, ma ci rendono anche costantemente ricattabili. Il femminismo, oggi come ieri, è una lotta di libertà, un desiderio di rivoluzione.

Paestum 2013 nasce quindi da un’urgenza, l’urgenza di incontrarsi, proporre alternative, l’urgenza di trovare una strada che ci permetta di essere libere, o almeno che ci offra la possibilità di provarci. Si tratta di riattualizzare le pratiche politiche che, storicamente, appartengono al femminismo: il partire da sé come modo di guardare al mondo e alle relazioni. Ma si tratta anche di immaginare nuovi modi, nuove possibilità. Se la libertà si dà essenzialmente nella relazione e non è mai, come vorrebbe il liberalismo, una condizione del singolo, inteso come atomo separato, è anche nella relazione che si possono immaginare nuove pratiche. La creatività politica come pratica collettiva è qualcosa che appartiene al femminismo.

Paestum 2012

Nel 2012 ha avuto luogo a Paestum l’incontro nazionale Primum Vivere. È stata vissuta così un’esperienza epocale: 1000 donne si sono incontrate e hanno ripreso, insieme, le fila di un discorso il cui livello nazionale era stato interrotto quasi quarant’anni prima. Da quell’esperienza si sono irradiate nuove energie per tutte le donne che vi hanno partecipato, e non solo. Questo è il punto di partenza per rinnovare l’esperienza di quell’incontro. Facendo un passo in più. Dando come acquisito il lavoro svolto l’anno passato, ora si tratta di alzare la posta in gioco.

Perché incontrarsi di nuovo?

Sappiamo per esperienza che le donne, attraverso la conquista costante della propria liberazione, hanno rifiutato “la Donna”, la riduzione e astrazione di sé stesse in un gruppo omogeneo. Con questa consapevolezza della pluralità guardiamo ai percorsi politici che le donne intraprendono, assumendo le proprie differenze come un dato positivo, in grado di dare di una spinta vitale e propulsiva che nessuna unificazione potrebbe dare. Ma sappiamo anche che la pluralità, se non sostenuta da un confronto autentico, rischia di sfumare in dispersione e frammentazione, in specificità che portano all’isolamento – concettuale, e dunque politico – delle tante questioni aperte. L’invito a Paestum vuole andare in questa direzione: desiderare di incontrarci di persona significa anzitutto assumere la pluralità come presupposto di percorsi comuni, che non snaturino le nostre differenze ma, al contrario, la arricchiscano. Non una dinamica fusionale di assimilazione, bensì l’incontro nel rispetto reciproco dei percorsi differenti. In questo senso invitiamo a partecipare singole, gruppi, associazioni: l’invito a Paestum 2013 vuole essere nello spirito dell’apertura e del riconoscimento reciproco, per riprendere a tessere la politica delle donne nella mutua consapevolezza dell’esistenza dell’altra.

Un incontro aperto

Paestum 2013 vuole essere un incontro in cui ogni donna si senta libera di partecipare, di esprimersi, di dare il suo contributo nella prospettiva, eminentemente politica, di produrre un cambiamento: essere lei stessa, lei nella relazione con l’altra e le altre, il motore di quel cambiamento. Il primo sforzo che intendiamo compiere è quindi quello di rendere questo incontro il più aperto possibile. Vorremmo infatti che fossero presenti tutte quelle singole, gruppi, associazioni che se anche non riconducibili in maniera diretta al femminismo come punto di vista teorico, nondimeno siano nate sul solco di quella tradizione, prodotto concreto di quelle lotte e di quelle idee. Pensiamo a tutte coloro che si dedicano alla libertà femminile e lo fanno nella pratica quotidiana: chi, a vario titolo, si occupa di sessualità, violenza e discriminazioni è invitata ad essere presente a Paestum per condividere la propria esperienza. Ma pensiamo anche quelle ragazze più giovani che di femminismo hanno forse solo sentito parlare, ma che ugualmente vivono il peso di un patriarcato che cade nella violenza, nei “delitti d’onore” mascherati da passione, ritorna nella dipendenza economica dagli altri, ma anche solo nell’impossibilità di seguire la propria strada, di perseguire la propria libertà.

Come incontrarsi

Acquisendo Paestum 2012 come punto di partenza, proponiamo per l’incontro di quest’anno una focalizzazione diversificata sulle questioni aperte e urgenti. La mattina di sabato 5 ottobre sarà dedicata a un’assemblea plenaria di apertura, mentre la mattina di domenica 6 ottobre a una plenaria conclusiva. Nel pomeriggio di sabato proponiamo di dividere il lavoro in Laboratori dedicati a temi specifici. Paestum è aperta! all’iniziativa e al contributo di tutte. Quella che segue perciò è una lista di temi suscettibile di modifiche in base agli interessi che via via emergeranno e saranno proposti. La struttura del lavoro nei Laboratori rimarrà, così come in plenaria, orizzontale e volta alla maggiore partecipazione e condivisione possibili.

1. Corpi femminili e godimento
2. Cura di sé, delle relazioni, del mondo
3. Salute delle donne e aborto
4. Maternità e non maternità
5. Nuovi diritti e nuovi rovesci
6. Violenza, femminicidio
7. Tratta
8. Sex work
9. Reinventare il lavoro e l’economia
10. Tra donne, senza frontiere: donne migranti e seconde generazioni
11. La costruzione dell’immagine delle donne nei media
12. Pedagogia della differenza
13. Autogoverno come pratica politica
14. Sessualità e autodeterminazione

Una sfida di economia condivisa

Infine, in vista di questo incontro nazionale, vogliamo proporre a tutte una pratica di condivisione dell’economia, e riappropriarci di questa parola – oggi carica solo di significati negativi – in quanto nostra esperienza di comunità.
Ci preoccupa infatti che i costi necessari per raggiungere e alloggiare a Paestum possano scoraggiare, o addirittura impedire ad alcune donne di partecipare. In questo incontro vorremmo quindi proporre un esempio di economia del dono, che rinsaldi le relazioni di fiducia tra noi e che sia effettiva pratica di cooperazione.
Ci rivolgiamo a tutte le interessate all’incontro, e anche a chi desidera che esso si possa attuare il più ampiamente possibile, al di là della propria personale partecipazione. Per far esistere Paestum 2013 è costituito il Fondo “Paestum: economia delle relazioni tra donne”: con gli introiti saranno ridotti i costi di partecipazione per chi ne farà richiesta. Vogliamo proporre questa come una pratica che si oppone alle logiche patriarcali del profitto e della competizione, e dare vita a un esempio virtuoso di cura delle relazioni.

Anna Maria Bava, Barbara Cassinari, Chiara Melloni, Elena Marelli, Elisa Costanzo, Gabriella Paolucci, Giulia Druetta, Ilaria Durigon, Laura Capuzzo, Laura Colombo, Maria Bellelli, Nadia Albertoni, Rosalba Sorrentino, Sabina Izzo, Sara Gandini, Silvia Landi, Stefania Tarantino, Tristana Dini, Valeria Fanari

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Perchè io, uomo, desidero andare a Paestum

Marco Cazzaniga

Vorrei andare a Paestum perché lì si incontrano tra di loro centinaia di donne che manifestano la loro libertà e la loro forza femminile. Ci andrei per ascoltarle, convinto che, in quel parlarsi tra donne, farei un’esperienza del tutto nuova rispetto ad altri incontri, e capirei ancora meglio come e verso dove, con la loro libertà e forza, desiderano e possono andare, senza l’impedimento e l’ostacolo che gli uomini oppongono.

Desidero che la presenza di alcuni uomini, con le mie stesse intenzioni, non condizioni la libera espressione della forza femminile ma sono tranquillo, perché so che incontreremo donne capaci di dare il meglio di sé anche in presenza di uomini disposti ad ascoltarle e desiderosi di imparare e di lottare con loro. Mi riferisco a uomini che, grazie ad un lunghissimo percorso politico fatto con donne, hanno capito che torna a loro svantaggio impedire la libertà femminile.

In questi anni ho conosciuto tanti uomini desiderosi di incontrare la libera forza femminile, non per opporsi, ma per valutare insieme alle donne se ci sono percorsi che si possono intraprendere assieme verso obiettivi comuni condivisi, mantenendo ciascuna/o la propria specifica differente identità e verificando come queste si possono integrare. Parlo di integrazione non nel senso di un accordo che sopprima un’autentica differenza, ma di una convivenza pacifica, anche se conflittuale, tra differenze.

Da un separatismo femminile continuamente riproposto, che non mostra le contraddizioni del mondo reale, e da un potere maschile che si sgretola con una violenza dissennata, non può derivare nessun vero cambiamento.

Ho ascoltato e rispetto l’opinione di coloro che pensano che Paestum non sia ancora il momento propizio perché donne e uomini, consapevoli della loro differenza, scelgano di stare in relazione, ponendosi come nuovo soggetto politico che testimonia e propone un reale cambiamento. Ma sono convinto che non si può più rinviare l’accadere di questa nuova politica. Non è ancora il momento per Paestum? Forse no, forse sì. So che è indispensabile continuare a creare luoghi e appuntamenti, come noi facciamo da tanti anni, in cui questo possa avvenire.

L’associazione Identità e Differenza, di cui faccio parte, da diversi anni (ben 25!) porta avanti progetti in cui donne e uomini puntano sulla relazione tra loro, partendo da sé e riconoscendo la loro rispettiva differenza. Questa esperienza ha mostrato che grazie alle pratiche delle donne avvengono dei reali cambiamenti nel modo di stare al mondo. Perché ciò avvenga è fondamentale che le donne si esprimano in libertà, destabilizzando l’ordine simbolico maschile di tipo patriarcale. Questa esperienza ha mostrato concretamente agli uomini che, riconoscendo la propria parzialità, e accettando di confrontarsi su un terreno da loro poco battuto, non possono farsi valere in forza di un modello culturale maschile che dava loro potere. Questo perché l’ordine patriarcale non ha oramai più senso. Una soggettività maschile libera dai dettami dell’autoritaria patriarcale, regala gioia a uomini e donne.

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La guerra dei sessi è finita

Adriana Sbrogiò

Cara Sara, Cara Laura,
vi ringrazio per il vostro invito di venire a Paestum in compagnia degli uomini con cui abbiamo fatto un cammino politico e di ricerca. Esprimo il mio pensiero in merito.

Ricordo benissimo il primo pensiero che ho fatto quando ho letto, tutto di corsa, il “Salti di gioia” di Luisa Muraro, la filosofa che continua a dare scossoni alle menti ed alle coscienze : “macchè finito, il patriarcato continua a far da padrone dappertutto”. Poi ho riletto e mi sono accorta che non avevo badato al consiglio che lei dava fin dall’inizio dell’articolo: “lasciatelo entrare, questo pensiero, e prestategli l’attenzione che vi pare giusta, ma non fategli prendere il posto che è e deve restare di un altro pensiero: questi sono i tempi della fine del patriarcato”. E’ stata come un’illuminazione, era proprio vero; infatti, per me, il patriarcato era finito tanti tanti anni prima, quando non avevo più dato credito al padre-padrone e avevo scelto di sottrarre ogni delega a qualsiasi mediazione maschile per il mio stare al mondo. Da allora ho imparato a confrontarmi e a contrattare con l’uomo, con gli uomini.

In questi giorni ho letto un’interessante analisi, sui vari tipi di guerre che assillano il mondo intero, nell’articolo “Guerre civili, guerre sessuali, altre guerre” di Alberto Leiss, giornalista e scrittore che da sempre combatte la misoginia e pratica le relazioni di differenza. Ricordo anche un suo articolo, pubblicato su Via Dogana, in cui poneva una domanda importante non solo per le femministe, ma per tutte le donne e anche per gli uomini: “La sinistra italiana è misogina? ”. Fin da allora, per quel che ne so, Alberto Leiss faceva notare che le modifiche importanti nella società italiana avevano origine dalla soggettività femminile e dal mutamento del rapporto tra i sessi. Ne erano consapevoli poche donne e “gli uomini non ne avevano nemmeno il sospetto”.

Negli anni 70 Carla Lonzi scriveva “Abbiamo guardato per 4.000 anni: adesso abbiamo visto! Alle nostre spalle sta l’apoteosi della millenaria supremazia maschile”. Per noi, oggi, è il tempo di rilanciare. La guerra di cui parla Leiss, la guerra tra i sessi, è finita. Prima di tutto perché le donne desiderano altro e non ci stanno più a quel gioco.

Da un bel po’ di anni e insieme, amiche e amici dell’Associazione di cui faccio parte, lavoriamo per promuovere la politica delle relazioni e costruire relazioni di differenza consapevoli, tra donne e uomini. Promuoviamo incontri pubblici, conferenze, collaborazioni fuori e dentro le istituzioni, perché nasca una cultura che riconosca la differenza tra donne e uomini. Noi scommettiamo sulle relazioni tra i sessi: donne e uomini insieme, che desiderano, comunicano, lottano per mettere al mondo una cultura, una politica, un’economia di pace. Questo possiamo farlo grazie alla forza che nasce, prima di tutto, dalla genealogia femminile e dalle relazioni fra donne. E un nuovo ordine si fa strada, generato dall’autorità femminile: un ordine simbolico costituito dal simbolico femminile e un nuovo simbolico maschile che sanno stare in relazione di differenza. Non è facile capire il significato della parola autorità, si può leggere l’ultimo libro di Luisa Muraro per capirlo neglio . Detto con parole mie, autorità femminile è la possibilità di libertà per tutte e tutti perché non è altro che cercare e trovare il senso delle cose che (ci) capitano nella relazione con un’altra, un altro. Non è potere, forza che si impone, subordinazione. È relazione, riconoscimento reciproco, possibilità. Come la madre, che insegna a parlare al bambino e impara a essere madre da lui/lei.

Certamente c’è bisogno di fare un lungo percorso di consapevolezza e riescono a farlo uomini e donne che, per scelta, non hanno collusione con il potere. Ma ci sono, sono tra noi, basta imparare a vederle/i. E io ne vedo molte e molti. Penso ai tanti gruppi e associazioni miste, donne e uomini che praticano le relazioni di differenza. Penso agli uomini di Identità e Differenza, a Maschile Plurale Italia, a Intercity-intersex, alla Merlettaia di Foggia, al Gruppo Uomini e donne di Viareggio, alla Città Felice di Catania …

Tutte queste realtà ci mostrano come non abbia più senso parlare di guerra tra i sessi. Nella guerra ci sono due nemici, entrambi convinti dell’importanza di farsi la guerra. Ma le donne non ci stanno più: non vogliono più essere né conniventi né vittime, e stanno già costruendo altro.

Anche di questo vorrei che si parlasse a Paestum. Lo scorso anno sono rimasta entusiasta dell’incontro di Paestum e avrei voluto poterlo condividere anche con i tanti amici uomini con cui sono in relazione politica e di ricerca da anni. Quest’anno mi prendo il piacere di andarci assieme.

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Abitare la complessità

Rosanna Marcodoppido

Alle donne di Primum vivere

Carissime, seguo da sempre il vostro interessante dibattito così come, in generale, cerco di conoscere cosa succede tra le donne che hanno a cuore la loro libertà. Non sono venuta l’anno scorso a Paestum perché non si può fare tutto ciò che si desidera, ma anche per ragioni che ritengo utile esplicitare con voi, sollecitata dal molto gradito invito che mi è arrivato tempo fa da Femminile Plurale in vista dell’appuntamento di questo anno.

Non sono una femminista storica nel senso che voi date a questa definizione in quanto non provengo dalla pratica politica dell’autocoscienza degli anni settanta. Sono, questo sì, una femminista storica dell’Udi, associazione grazie alla quale a partire dal 1974 ho avuto la possibilità di accedere alla politica autonoma delle donne e al femminismo.

Sono infatti entrata nell’Unione Donne Italiane nel momento della sua ricostituzione a Potenza, città in cui vivevo, giovane madre di due figli, senza sapere nulla né dell’Udi né del femminismo. Dopo circa due anni partecipavo già al primo corteo Udi-collettivi femministi per chiedere l’istituzione dei consultori in Basilicata: esito di un confronto difficile ma possibile e, soprattutto, necessario. Negli anni ottanta, trasferita a Roma, ho cominciato col mio gruppo, l’Udi Romana “La Goccia”, a ricostruire e diffondere l’esperienza storica femminile grazie al prezioso contributo di giovani studiose provenienti dal neofemminismo e di autorevoli testimoni del movimento di emancipazione. Ci sono voluti perciò anni prima che venissi a sapere quando e perché si era storicamente costituita L’Udi e su quali bisogni e desideri era nato il neofemminismo e la sua radicalità di analisi e pratiche. Questo a riprova di come sia difficile collocarsi in una genealogia femminile degna di questo nome. Nella Casa Internazionale delle Donne, dal tempo dell’occupazione, ho vissuto e vivo numerosi momenti di confronto e iniziativa comune con tante donne e gruppi femministi.

Conosco errori e carenze dell’Unione Donne Italiane, ma anche errori e una certa miopia politica di quel neofemminismo che si è costruito come soggetto collettivo a partire dalla svalutazione e/o cancellazione totale della esperienza dell’emancipazione.

Io, al contrario, provo grande gratitudine per quelle donne che, a cominciare dalla Resistenza, hanno tentato di costruire una cittadinanza femminile nel nostro Paese, combattendo con costi a volte altissimi contro un maschilismo a lungo senza nome ma presente in ogni ambito della vita. Ho incontrato biografie che del senso di questa presenza dicono molto di più di qualsiasi narrazione storica o ingenerosa semplificazione. E sono ugualmente grata alle tante donne che ho incontrato – molte sono tra voi – che grazie al neofemminismo hanno elaborato altri significati di sé, del mondo, della politica. Mi hanno insegnato che il partire da sé ha bisogno di soste lunghe, a volte dolorose, e di uno sguardo più radicale; che le forme dello stare insieme devono misurarsi con il desiderio e le necessità della propria libertà. Mi hanno mostrato l’importanza di ciascun io nella costruzione del noi. La mia associazione, come molte di voi sapranno, su queste sollecitazioni nel 1982 si destrutturò, avviando una sperimentazione delle forme della politica con al centro una comunicazione tra donne libera da ruoli e tessere (eravamo centinaia di migliaia!), azzerando deleghe e dirigenza, inventando l’Autoconvocazione e l’Autoproposizione, attuando l’autofinanziamento e una non facile autonomia dalle formazioni politiche della sinistra. Una storia difficile da raccontare, impossibile da sintetizzare: uno degli effetti più evidenti fu il silenzio pressoché totale dell’Udi su di sé nella sua dimensione nazionale, durato circa venti anni. Il divieto della delega, parlare cioè a nome delle altre, e l’insignificanza assunta dal concetto di uguaglianza come categoria interpretativa impedì a lungo di costruire parola pubblica nel passaggio dall’io al noi, dalla titolarità di sé di ciascuna alla titolarità di un noi costruito nel riconoscimento e rispetto reciproco.

Da anni ormai l’Udi, forte della sua autonomia, ha ripreso parola e iniziativa politica a livello nazionale dando valore alle varie realtà territoriali che la compongono e alle numerose singole, nella consapevolezza che la scommessa è ancora una volta la costruzione di forti relazioni tra donne attraverso pratiche autenticamente democratiche. A me rimane la fatica e il sapere che mi viene da questa storia, vissuta in ogni suo passaggio, luci ed ombre comprese.

Sono convinta da tempo che l’enfasi femminista sul concetto di differenza e l’abbandono della categoria dell’uguaglianza su cui si fondano molte pratiche discorsive e raffinate elaborazioni filosofiche, abbia contaminato le relazioni tra noi donne spingendoci sempre più a vivere come valore assoluto ciò che ci differenzia – tra noi e col maschile – rispetto a ciò che ci unisce: una costruzione dell’io purtroppo in sintonia con la generale deriva individualista e narcisista che contraddistingue la nostra contemporaneità. Oggi invece secondo me è necessario essere capaci di riconoscere gli intrecci tra uguaglianza e differenza e ricostruire un noi ampio e vario nelle sue interconnessioni, senza egemonie, plurale ed efficace rispetto ad un patriarcato che non accenna ad estinguersi, dove le uguaglianze non si facciano tentare da fondamentalismi e le differenze non si riducano ad opposizione/disconoscimento. È l’unico modo per vivere a pieno gli inevitabili momenti di conflitto nelle loro potenzialità costruttive e come fondamentali opportunità di crescita. Tensioni di questo tipo le ho lette anche in alcuni contributi di Primum vivere. Ma occorrerebbe attivare, consapevolmente e tutte insieme, una diversa narrazione collettiva, assumere una storia più complessa, più libera dalla necessità di idealizzazioni e mitizzazioni. Queste ultime hanno a che fare col problema e i modi della separazione/differenziazione per come essi vengono vissuti nel nostro scenario interiore e in quello politico. Se il sistema patriarcale ha ordinato la separazione dalla madre e dal femminile in termini gerarchici che hanno dato origine ad una falsa conoscenza e ad un andamento binario e oppositivo del pensiero, come uscirne radicalmente dovrebbe essere nostra precisa responsabilità politica. Abitare la complessità, accogliere ambivalenze e contraddizioni per cercare di superarle, accettare la verità di quello che si è, tutto questo aiuta a costruire alterità senza distruzioni, giudizio senza pregiudizio. Vale per tutte e per tutti.

Come potrei sentirmi a casa in un luogo costruito sulla cancellazione della mia storia politica, sulla svalutazione del lavoro che migliaia di donne hanno fatto per farmi essere quella che ero tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta, giovane donna che scommetteva sulla sua autonomia economica e si autorizzava ad essere una artista, poco interessata alla maternità, in doloroso solitario e confuso conflitto con i modi della mascolinità dominante e di una femminilità subalterna? Chi mi aveva consentito tutto questo se non in gran parte le donne venute prima? Ecco, proprio non me la sentirei di stare tra voi, collocata in una storia che fate iniziare dagli anni settanta sottraendo così saperi, verità e senso storico al vostro discorso. Ma la storia dell’emancipazione è anche la vostra storia e la discontinuità feconda che il neofemminismo ha operato può segnalarne carenze, ma non può toglierle spessore politico e verità.

Sono certa della ricchezza di pensiero e di emozioni che animerà l’incontro di Paestum, grazie anche al prezioso apporto di una nuova generazione di donne fortemente determinata e consapevole di sé. Non entro nel dibattito su uomini sì, uomini no, ruberei altro tempo. Ma, per concludere, mi sento di dire che mi sembra urgente uno sguardo autoriflessivo e autocritico che ci porti a comprendere in cosa abbiamo sbagliato e sbagliamo e ad individuare pratiche e strumenti nuovi per cambiare, insieme, questo nostro confuso, contraddittorio e per molti versi inquietante presente, così tanto ancora segnato da un patriarcato che è duro a morire e da una nostra frammentazione che troppo poco sa diventare patrimonio condiviso ed efficace forza di cambiamento