Lo scacco del silenzio

Questo articolo, pubblicato su Via Dogana n. 110, nasce dalla richiesta di Luisa Muraro, della “Libreria delle donne” di Milano, di narrare la storia trentennale del nostro gruppo donne della Cdb di Pinerolo. Questa è  la prima puntata.

Le storie sono storia: scriviamole (Lia Cigarini)

STORIA DEL GRUPPO DONNE DI PINEROLO (DELLE COMUNITA’ CRISTIANE DI BASE ITALIANE). PRIMA PARTE

di Doranna Lupi e Carla Galetto

A un nostro convegno delle donne delle comunità cristiane di base italiane (cdb) tenutosi a Verona nel 1994, Ivana Ceresa nel suo intervento affermava: «Ci vuole desiderio per far rinascere il mondo. L’introduzione del desiderio femminile ci pone come soggetto in cima al criterio ermeneutico: io stessa divento il criterio ermeneutico e il resto sono metodi, sono strumenti. Il partire da sé è essenziale per sottrarre l’esperienza femminile alla regola maschile e produrre un’interpretazione propria. Quando ci saremo riappropriate dei ruoli e dei ministeri che le donne avevano nella chiesa primitiva, ci resterà di ritrovare il desiderio di Maddalena e delle altre, perché fu l’occhio del desiderio di autorealizzazione femminile, con cui guardarono Gesù, a renderle memorabili. Se guardo Maddalena a partire dal mio desiderio, vedo l’episodio di Betania da un punto di vista inequivocabilmente femminile, che è quello che ha visto Gesù quando ha detto: “In tutto il mondo, ovunque sarà predicato questo vangelo, sarà pure narrato in ricordo di lei quello che essa ha fatto” (Mt. 26,6-13). È l’anima di quel gesto che Gesù riconosce».

Non eravamo teologhe accademiche, ma donne che, insieme ad alcuni uomini, secondo lo spirito paritario degli ambienti progressisti di quegli anni, facevano un percorso comunitario cristiano radicalmente innovativo, in una comunità di base nata a Pinerolo nel 1974. Eravamo in contatto con preti eruditi, che producevano pensiero teologico vicino alle teologie della liberazione latinoamericane e vivevano in coerenza col messaggio evangelico. Uno di loro, Franco Barbero, figura autorevole e carismatica nella nostra comunità, faceva circolare testi di teologi autorevoli, riviste specializzate e si prendeva amorevolmente cura della nostra crescita spirituale e della nostra formazione teologica spendendo molto del suo tempo e delle sue energie in incontri e seminari.

Tutto il pensiero e le pratiche ci arrivavano ancora esclusivamente da uomini, in un rapporto di totale dipendenza intellettuale. Essendo questi uomini buoni, intelligenti e ben disposti nei nostri confronti, da loro ci arrivò anche il meglio, ossia l’eco della teologia femminista e l’incontro in carne e ossa con donne francesi e olandesi che loro, gli uomini, incontravano ai Collegamenti delle comunità cristiane di base europee.

E fu nell’85 che, durante un incontro di studio sul numero 6/1985 di Concilium, rivista internazionale di teologia, intitolato “Donne invisibili nella teologia e nella chiesa”, sentimmo il desiderio di dar vita a un nostro gruppo donne. In quell’occasione Concilium inaugurava, con un editoriale di Elisabeth Schüssler Fiorenza, una nuova sezione dedicata alla teologia femminista, in cui l’autrice affermava la duplice origine di questo pensiero teologico proveniente dal movimento di liberazione delle donne nella società e nella chiesa e dalle istituzioni teologiche del mondo accademico.

Fin dall’inizio fu chiaro per noi che il pensiero, le parole e le pratiche, quasi sempre nate in relazioni tra donne e prodotte da queste teologhe, fossero un di più di pensiero e competenze femminili, venute al mondo e messe in circolo a vantaggio di tutte. Portavamo nel nostro percorso di quegli anni l’eredità dei gruppi di autocoscienza. Ci si interrogava, tra donne, sui nostri vissuti profondi rispetto al nostro modo di vivere i ministeri nella comunità, il nostro rapporto con Dio e con la Bibbia. Qui emergeva un sentire comune che andava indagato: l’ammirazione e l’estraneità al pensiero maschile, la delega ai maschi negli spazi pubblici, l’accontentarsi sempre di ruoli marginali a causa del senso di inadeguatezza, la mancanza di autostima.

In questo non poteva certo esserci di aiuto «l’illuminismo progressista che macina come un tritasassi tutto quello che esprime la differenza» (come dice Luisa Muraro), predominante nei nostri ambienti di sinistra. Avevamo dei compagni disponibili, uomini che facevano del loro meglio. Nessuno di loro ci avrebbe mai impedito di essere a pieno titolo protagoniste, eppure c’era ugualmente il nostro silenzio, tangibile, evidente e la nostra invisibilità nei luoghi decisionali, che ci restituivano un’immagine immiserita di noi stesse. Poteva in sé non essere una mancanza, data la nostra partecipazione assidua e attiva nella comunità, di cui, per altro, alcune di noi erano state fondatrici. La nostra era una presenza di qualità eccellente sul piano del fare ma lo scacco del silenzio ci interrogava sul piano della «grandezza e grazia dell’esserci» in noi, per noi, per il mondo: «L’idea di grandezza è intesa come il miracolo di calcare la scena del mondo, mostrandosi nei tratti che distinguono ciò che si è» (Hannah Arendt).

Il silenzio quindi andava dolorosamente indagato, era lo scacco da cui partire, come ci spiegò bene, successivamente, Lia Cigarini nel suo libro La politica del desiderio del ’95. Rompere il silenzio e diventare visibili era anche il titolo dell’articolo di Elisabeth Schüssler Fiorenza che apriva il numero 6/85 di Concilium e da qui ebbe inizio il nostro percorso.

Questa nostra lettura a posteriori salta ovviamente tutta una parte che ci ha viste andar di qua e di là, mosse da desideri contrastanti, prima di trovare un senso più preciso, un orientamento nel nostro andare. Alcune di noi si iscrissero alla Facoltà Valdese di Teologia, affrontando un piano di studi teologici ed esegetici. Altre, dopo aver acquisito le basi teoriche, diventarono animatrici di gruppi di lettura biblica. Questo con il tempo si rivelò utile per dare una risposta alla domanda posta nel n. 48 di Via Dogana e ripresa da Luisa Muraro nel libro Il Dio delle donne: «Il Dio che fu oggetto dei discorsi dei preti, dei teologi, dei filosofi, è mai stato il Dio delle donne?».

Le donne non hanno fondato religioni ufficiali nel patriarcato, ma da sempre sono le custodi di una spiritualità non separata dalla vita. E se i dogmi e la parola nelle chiese sono tramandati per via maschile, spesso la fede come sentire è trasmessa per via femminile. Dai nostri incontri, gradualmente, emergeva che il modo di pensare Dio spesso era ingabbiato in immaginari patriarcali con la conseguenza nefasta di un timor di Dio molto simile al timor del maschio, mentre ognuna di noi sentiva nel profondo, come necessità, un forte anelito all’Amore, passione quasi sempre appresa dalla madre.

Intanto il desiderio di libertà e di autorealizzazione femminile, senza dazi e senza frontiere, con gran forza si aggirava per l’Europa (e non solo). Mentre dagli Stati Uniti ci arrivava molta teologia femminista anche radicale, come quella di Mary Daly con il suo Al di là di Dio padre, dall’Europa ci raggiungevano donne in presenza, volti, esperienze, elaborazioni e scambi amorevoli, dove il contatto era contagio tra desideri vivi. Così abbiamo vissuto la grazia degli inizi, attraverso il desiderio che si propaga con l’energia delle cose che nascono. Françoise Lefevbre, coordinatrice delle cdb francesi, e Gea Boessenkool, coordinatrice delle cdb olandesi, con alcune donne delle loro comunità, vollero trascorrere del tempo con noi. Ci furono diversi incontri e scambi per noi sorprendenti, che si conclusero con la partecipazione, nel settembre del 1988, di 14 di noi ad un incontro di due giorni a Parigi sul tema: «Émancipation ou féminisation: quell’est la différence? Féminisation è un’intuizione; lo specifico femminile porta con sé una carica creativa, da sempre schiacciata e annullata, che deve potersi esprimere, impregnando di più la società della sua originalità. Questo termine può rilanciare l’etica della differenza, che assume il significato di una obiezione».

Insieme ai primi fondamenti del pensiero della differenza esse ci trasmisero la possibilità dello sconfinamento, la capacità di entrare e uscire da un ordine dato della realtà cercando, in prima persona e in relazione con le altre donne, ciò che poteva essere più conveniente per noi, più corrispondente al nostro sentire, a ciò che percepivamo come vitale. Entrare e uscire dalla tradizione e dalla dottrina della chiesa cattolica era già esercizio comune per uomini e donne nelle cdb e a questo noi eravamo abituate attraverso la lettura storico-critica dei testi e le teologie della liberazione. Ciononostante, arrivate a questo punto era necessario porsi alcune domande essenziali che Letizia Tomassone ci aiutò a formulare durante gli incontri avuti con lei. Questi interrogativi arrivarono, chiari e diretti, anche a un nostro incontro nazionale tenutosi nel 1992 a Sasso Marconi:

– c’è nella bibbia libertà femminile? La libertà di essere autentiche, di essere se stesse, di discutere apertamente con Dio?

– c’è libertà femminile nell’uso della bibbia? Nel modo di rapportarci ad essa, di interpretarla?

– c’è una nostra libertà, a partire da noi stesse, di immaginare la divinità e il nostro rapporto con essa?

Gran parte del lavoro degli anni successivi fu rispondere a queste domande.

 

(Via Dogana n. 110, settembre 2014)