“Le orme del divino sulle strade dell’oggi. La forza mistica e politica del corpo-parola delle donne”. C’è spazio per il sacro?

Paola Morini

So bene che mettere in relazione “divino” e “sacro” farà rizzare i capelli a molte di noi, ma vorrei provarci comunque perché mi piacerebbe si potesse riappropriarsi di questo termine riportandolo all’uso più antico e popolare. Questo è infatti a parer mio il compito primario che ci coinvolge: quello di dare parola ad una spiritualità femminile che da sempre è stata in rapporto stretto con i corpi e con la vita che in essi e attraverso essi si sviluppa. In sostanza possiamo provare a ricondurre il divino dentro il quotidiano, restituendo nel contempo al termine “sacro” il suo significato originario: “partecipe della potenza divina”, ricordando che “potenza” è “possibilità di ulteriore sviluppo” e non certo esercizio di un dominio.

Dai tempi dell’inizio dell’alleanza tra il potere (Costantino) e il cristianesimo il concetto di “sacro” invece è andato sempre più riducendosi ad un recinto, separato da tutto, gestito da maschi professionisti, per secoli strettamente legati ai poteri temporali (a dire il vero ancora oggi esiste lo Stato della Chiesa con le sue banche e i suoi poteri curiali). Non c’è più stato spazio per il divino al di fuori del “recinto sacro” e il “regno del Padre” si è trasformato in Regno contemplando più il mantenimento dell’ordine sociale che la realizzazione della giustizia.

Le sante e mistiche prendono posizione con forza contro tutto questo: cercano Dio dentro di sé, entrano in rapporto diretto con lui e ne ricavano “visioni”, cioè la potenza-forza di immaginare la trasformazione necessaria per tornare al messaggio evangelico, alla buona novella. Ildegarda parla di una presenza diffusa dello Spirito che dà vita, coniuga la pratica di cura dei corpi (attraverso l’erboristeria) con lo studio e dà testimonianza di una visione al femminile, misericordiosa e accogliente, che avrebbe potuto cambiare il corso della storia. Chiara si batte fino alla morte contro il prevalere della logica mercantile che si sta affermando nel suo tempo, contro la riduzione di tutto al suo valore materiale e si radica nella più assoluta povertà e nell’aiuto ai sofferenti in totale polemica con una chiesa della cui necessità di riforma sarà testimone convinta anche Caterina. Teresa d’Avila, sulla stessa strada, combatte fieramente per testimoniare la possibilità di un rapporto diretto con Dio che induce al cambiamento di vita dentro gli ordini religiosi. Tutte queste donne sentono che la forza della radicalità del Vangelo non sta nelle mani delle istituzioni, ma nella sorellanza, attraverso la quale si rende possibile la sperimentazione di percorsi nuovi, radicati nella “inabitazione” del divino e capaci di trasformare le persone e le loro relazioni, cioè il mondo in cui vivono.

Potrei dirlo con le parole di Antonietta Potente: “Si tratta di un delicato processo etico o di qualcosa che possiamo chiamare vera ascesi femminista, cioè la crescita di responsabilità nei confronti della vita in tutti i suoi aspetti”. Questo naturalmente richiede grande attenzione e ricerca incessante. A noi è chiesto di aprire gli occhi sulla realtà attuale: da una parte violenti scontri coperti da ideologie religiose e politiche massacrano corpi di donne, uomini e bambini/e in nome della necessità di ricondurre il mondo dentro un unico “ordine” (quello del califfato o quello dell’esportazione della democrazia): quanta idolatria, quanta strumentalizzazione, quanta cancellazione del divino dal mondo! Dall’altra migliaia di novelli Mosè si affidano alle acque per scampare alla morte decretata dagli interessi del nuovo “faraone globale”: il mercato delle armi e dei prodotti energetici. Dove sono le figlie ribelli del Faraone?

È questa realtà che ci impone la risacralizzazione del mondo. Abbiamo bisogno di riconoscere il divino presente nella realtà e nelle vite di ciascuna/o per aiutare la vita stessa a rigenerarsi, tenendo sempre presente che nessun essere umano può venir ridotto al ruolo di “strumento per il raggiungimento del fine”. Uno dei passi necessari per arrivare a questo è la rinuncia all’idea di un Dio onnipotente, ma è necessaria anche la rinuncia alla sua totale trascendenza e alla sua riconducibilità ad univoche definizioni umane o all’identificazione con le norme e le istituzioni.

Lungo questo percorso i corpi-parola delle donne hanno moltissimo da dire proprio perché sanno la sofferenza dell’oppressione del “sacro” tradizionale e della sua normatività, ma anche la gioia della potenza vitale che le attraversa. Teresa d’Avila, che molto soffrì per la cecità degli uomini rappresentanti delle “sacre istituzioni”, parlava di una presenza divina che “entra nel midollo osseo” generando forza, gioia e pace. Il vocabolario Zanichelli alla voce “sacro”(2) dice: “propriamente ‘osso grosso’ interpretato come ‘sacro’. Osso del bacino formato dalla fusione di cinque o più vertebre sacrali”. Per me la sacralità del corpo-parola delle donne è proprio questa: l’ossatura di una società solidale dove le diversità e le emarginazioni storiche possono saldarsi assieme per costruire nuova possibilità di vita.