ED ORA DOVE ANDIAMO?

Emanuela Bonaga

“… Ma la nostra ricerca va avanti, perché crediamo in un mondo in cui si possa imparare ad accogliere le diversità, facendo leva sulle relazioni tra noi, forse complesse da gestire, ma in ogni caso arricchenti ….

Cosa e dove ci porterà il prossimo incontro? … “ (dall’invito al XXI incontro nazionale donne cdb e non solo).

“Ed ora dove andiamo?” (Et maintenant, on va où?, in arabo وهلّأ لوين؟), film di Nadine Labaki, Libano, 2011

Ovvero: quando di “identità” si può morire.

Ma c’è sempre una speranza di vita custodita da noi donne se riusciamo a uscire dagli schemi.

Credo che in una rischiosa sintesi estrema sia questo il messaggio di Nadine Labaki

Non è la prima volta che questa giovane regista libanese racconta le sue riflessioni sul mondo e sulle donne attraverso le immagini. Probabilmente poche di noi non avranno visto il suo film precedente: Caramel (1).

Raccontare un mondo difficile e complesso nella maniera più semplice e leggera possibile, con e per mezzo di favole – o di metafore- è abbastanza proprio del modo femminile così creativo e fortemente impastato di fantasie e immagini, danze, musiche, con cui e attraverso le quali operare una apparente decontestualizzazione richiedendo a chi partecipa di ritrovare il senso ultimo di quel cui assiste o prende parte.

E così, ecco che… C’era una volta, in uno sperduto paesino roccioso e polveroso isolato dal resto del mondo da piantagioni di mine inesplose e da un ponte semicrollato e in cui non arriva neppure la Tv, una comunità apparentemente felice, unita anche se visibilmente povera in cui cristiani e musulmani convivono serenamente. Intorno a questa pacifica isola felice la guerra insanguina e divide su basi religiose proprio cristiani e musulmani Tutto va bene fino a quando inaspettatamente l’eco tecnologico di un televisore annuncia lo scoppio di una nuova ‘guerra’ di religione.

Man mano che le notizie sulle lotte giungono in paese cominciano a verificarsi strani fenomeni, inizialmente appaiono come scherzi di cattivo gusto: sangue al posto dell’acqua santa in chiesa o l’ingresso incontrollato degli animali nella moschea. Ma ben presto gli uomini del villaggio accecati dal razzismo verso la fazione opposta superano ogni limite e ciascuno a modo suo è drammaticamente determinato a difendere l’unicità universale del “proprio” dio contro quello degli altri trasformando immediatamente i pregiudizi in violenza.

Ed allora ecco che le donne ….

“E così, – come ci suggerisce P. Mereghetti – tra uno squarcio musicale e un’invenzione surreale (c’è anche un «miracolo» della Madonna), il film riesce a iniettare nuova vitalità a un’idea non nuovissima, quella dell’innato pacifismo femminile di fronte alla bellicosità maschile. E lo fa evitando ogni possibile caduta nel moralismo e nella correttezza politica ma finendo per prendere di mira proprio il nocciolo della questione medio-orientale: l’apparente impossibilità di convivenza tra etnie e religioni diverse. Per questo alcune delle trovate più riuscite del film finiscono per chiamare in causa la fede e alcuni dei suoi simboli, senza i quali il film darebbe l’impressione di voler chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Come nel finale che ribalta le prospettive per costringere i personaggi del film (ma anche gli spettatori) a misurarsi fino in fondo con il nodo della propria identità”.

Labaki affida alle figure femminili come quelle di Amale –interpretata da lei stessa- Takla, Yvonne, Afaf e Saydeh, il compito di fermare l’odio e l’intolleranza dei propri mariti, figli, padri e zii e intesse un elogio alla saggezza delle donne senza presentarle, però, manicheisticamente come ‘migliori’. Hanno i loro cedimenti, le loro rivalità, le loro invidie ma sanno però, ogni volta, ritrovare quella ragionevolezza che gli uomini sembrano sempre pronti a perdere cedendo a provocazioni spesso infantili, da un lato fomentando e dall’altro accecati da quell’integralismo religioso che da anni incendia anche le nostre quotidianità.