Maria Zambrano e il sogno del divino femminile

Fabrizia Fabbro   (ffabrizia@yahoo.it)

Pensieri tratti dal libro di Giuliana Savelli

L’essere umano patisce, cioè vive senza averlo scelto, un movimento verso l’essere, un movimento di trascendenza, sperimenta un percorso teso all’essere a partire dal fatto che è creatura non del tutto nata.[1] Se non ne siamo consapevoli, l’uomo subisce questo movimento; se l’uomo, però, si fa carico del trascendere, esce dallo stato meramente passivo del subire, e può tracciare un suo cammino di libertà.[2] E ritrovare così senso e fiducia nel vivere, ritrovare cioè la speranza.[3]

La Filosofia mostra all’uomo il divenire della vita, mostra cioè il lato rimasto in ombra, il sapere dell’anima.
E’ un radicale spostamento di paradigma che implica passare da un pensare per schemi logici e astratti a un pensare per concetti connessi alla loro radice psichica e corporea e che trova il suo fulcro nel vedere: il linguaggio del sentire.[4]

Prima il metodo della filosofia era rimasto sotto il dominio della ragione: un dominio che ha teso a irrigidire ogni scoperta intuitiva, a farla diventare uno schema valido per sempre che sopprime gli aspetti innovativi.[5] Il “quasi metodo” di Zambrano è mosso da un logos quotidiano più umile rispetto a quello della filosofia classica, e implica una visione attiva della conoscenza, capace di agire, di trasformare l’individuo.[6] Il primo metodo, con la metafora della luce piena, ci richiama a una ragione dispiegata, violenta; l’altro indica qualcosa che agisce per contatto, richiamando la via del cuore e la logica dell’amore.[7]

La Filosofia è la trasformazione del sacro in divino, cioè trasformazione di quanto è viscerale, oscuro, passionale e perennemente oscuro, ma aspira a essere salvato nella luce, nella trasparenza.[8] Il divino è la capacità del pensiero di portare a chiarezza l’esperienza, di illuminarla e tocca l’apice quando giunge all’idea di Dio che esprime il più alto grado di unità e di ordine a cui l’uomo possa arrivare.

La trasparenza è quello stato di rarefazione della materia che permette il passaggio della luce, metafora di una vita emotiva decantata, ripulita che può aprirsi alla coscienza.[9]

L’uomo nasce cieco alla vita spirituale, per farsi pienamente umano deve dis-nascere e rinascere.[10] Solo cambiando qualcosa di sé, trasformandosi, l’uomo può venire a contatto con l’altro dentro e fuori di sé.[11] E l’unico modo per iniziare questo cammino di trasformazione è volgersi verso il basso, verso gli inferi per ritrovare laggiù il filo di luce che riconduce all’aperto.[12]

L’aurora segna il cammino personale che l’individuo traccia dentro di sé tra l’ombra (il sacro, il reale) e la luce (il divino, il pensiero).[13]

I movimenti dell’anima sono effetto di un’apertura improvvisa in cui irrompe o balugina qualcosa di profondamente rivelatore.[14]

Ma per esserne consapevoli occorre il distacco, un momento di vuoto che porti a sospendere l’attività automatica del pensiero, la smania di controllo della coscienza.[15] E’ un vuoto attivo: è la quiete della mente pronta a cogliere quanto si affaccia alla coscienza.[16]

E’ una zona vuota della mente in cui possa affiorare un’immagine, vitale e importante, per quanto labile e sfuggente possa sembrare all’inizio: la parte nascosta di noi.[17]

Il sogno, in particolare, porta alla coscienza le zone dell’essere che chiedono di essere integrate, è attraverso il sogno che si creano immagini vivide e simboliche che connettono il lato visibile della vita e quello invisibile.[18]

E mano a mano che si procede nel percorso, nasce un nuovo tipo di pensiero, il tempo/luce, la luce di una nuova forma di pensiero aperto alla pietà, all’eterogeneità dell’essere, che apre all’agire stesso un tempo nuovo.[19] La luce apre lo spazio e fa vedere. Il risveglio del giorno è l’evento naturale che più corrisponde al risveglio della coscienza, all’accendersi di una consapevolezza che implica una trasformazione del sé e del proprio rapporto con la realtà.[20] Se l’uomo potesse sentirla dentro di sé come qualcosa che irradia da lui ma non gli appartiene, ritroverebbe la misura, l’armonia tra sé e tutto ciò che lo circonda. E la fiducia.[21]

Per transitare dal sacro al divino occorre un ponte, qualcosa che metta in comunicazione questi due piani: la pietà è la prima forma di mediazione con il sacro.[22]

Pietà è l’identità tra essere e idea che riduce il mondo del molteplice,[23] è saper trattare adeguatamente con l’altro, un rapporto che non emargina o esclude, ma accoglie e tocca l’altro, lo straniero dentro e fuori di noi.[24] La pietà quando comincia a sciogliere l’ermetismo delle viscere (il sacro), apre la vita umana a un ordine del cuore che risponde al suo germinare segreto, alla sua esigenza di libertà. E’ il divino (nel suo vero senso etimologico di fare luce, schiarire)[25] che con la sua grazia luminosa e leggera, con la sua signoria sul tempo, accoglie ciò che la pietà porta alla luce.[26]

Il sapere della pietà armonizza l’individuo creando delle priorità, un ordine interno fondato su amore che rispecchia un ordine più vasto di quello umano, cosmico.[27]

Zambrano ha lavorato tantissimo per risvegliare la nostra sensibilità e farci avvertire la chiamata: quella del sogno, quella del sentire nello stato di veglia che giunge come risposta, un’azione della pietà o come intuizione, rivelazione, lampi di verità.[28] L’aurora è uno stato di coscienza, l’attimo folgorante di un risveglio spirituale che a volte non sappiamo cogliere come è accaduto ai discepoli nell’Orto degli Olivi.[29]

L’Aurora è radice perché riporta l’uomo al proprio centro sull’asse dei diversi piani che lo costituiscono. E’ porta perché apre in basso alla percezione dell’altro e apre in alto al divino.[30]

Antigone: la sua innocenza tersa e limpida dell’inizio si è trasformata nella coscienza pure e vigile della fine.[31] E’ un’eroina primaverile, sepolta viva come la coscienza in ogni essere umano.[32] La sua parola penetra, disseta e risana; scuote le coscienze e tocca l’animo in profondità come sanno fare la pietà e l’amore quando emanano in modo semplice e forte.[33]

Diotima: è un’anima molto antica, si muove dentro dimensioni spazio/temporali immense che abbracciano il mondo visibile e quello invisibile; dirà di sé, ricordando l’antico compito di curare le anime dopo la morte: «Madre delle anime: Si immergevano in me quando rimanevano senza corpo».[34]

Vergine Maria. Immagine femminile assolutamente centrale: è il simbolo della pratica filosofica che è una pratica trasformativa.[35] Divina perfezione che raccoglie in sé, rinnovandola, la presenza femminile delle antiche teogonie cosmogoniche.[36] La sua figura subisce uno spostamento rispetto alla tradizione cattolica, si dilata portando echi potenti delle grandi dee, madri cosmiche che hanno generato il mondo.[37] Tutte le grandi dee delle più antiche triade divine sono vergini madri: l’innocenza preserva la potenza generativa della dea che sempre feconda rimanendo intatta, senza mai perdere nulla di sé.[38]

 

[1] Pag. 7.

[2] Pag. 30.

[3] Pag. 32.

[4] Pag. 131.

[5] Pag. 132.

[6] Pag. 136.

[7] Pag. 139.

[8] Pag. 87.

[9] Pag. 137.

[10] Pag. 23.

[11] Pag. 16.

[12] Pag. 18.

[13] Pag. 23.

[14] Pag. 33.

[15] Pag. 54.

[16] Pag. 68.

[17] Pag. 141.

[18] Pag. 55.

[19] Pag. 71.

[20] Pag. 72.

[21] Pag. 72.

[22] Pag. 88.

[23] Pag. 93.

[24] Pag. 95.

[25] Pag. 147.

[26] Pag. 99.

[27] Pag. 101.

[28] Pag. 103.

[29] Pag. 162.

[30] Pag. 167.

[31] Pag. 67.

[32] Pag. 76.

[33] Pag. 76.

[34] Pag. 115.

[35] Pag. 9.

[36] Pag. 183.

[37] Pag. 183.

[38] Pag. 190.