Storia vivente – 22 febbraio 2018

Casimira Furlani (detta Mira) – Firenze

Notazioni e riflessioni dopo l’incontro fra un gruppo di donne di varie provenienze.

Non ho potuto essere presente al suddetto incontro, ma ho ascoltato la registrazione-voce di tutto il dibattito e ho letto le presentazioni fatte da Carla Galetto e Doranna Lupi. A mio avviso è stato un bellissimo e proficuo incontro al quale desidero, per quanto posso, dare il mio apporto.

Ottimo lo scambio anche se, all’inizio, Elena Lobina (Cdb S.Paolo, Roma) ha fatto una mozione dicendo che l’invito all’incontro non era stato per parlare del libro di Mira, ecc.

A tale mozione mi è sembrata giusta la risposta data da Marirì Martinengo (fondatrice della Comunità di storia vivente e pioniera della didattica e della pedagogia della differenza) la quale ha sottolineato come tale libro fosse stato presentato alla Libreria delle donne di Milano e in quel luogo definito testo di storia vivente proprio in un intervento fatto dalla stessa Marirì. La mozione di Elena non ha trovato rispondenza in quasi tutti i successivi scambi. Infatti, in linea col tema della scrittura della storia come pratica di storia vivente, sono molte le donne che poi hanno citato il mio testo, con apprezzamenti e critiche, tutte legittime. Con un difetto: le critiche negative sono state espresse pubblicamente molto tardi, il testo in questione essendo stato scritto e presentato da me più di un anno fa, proprio durante il XXII Incontro nazionale dei gruppi donne Cdb e altri gruppi, svoltosi a Verona il 18-20 novembre 2016.

 

Essere venuta a conoscenza solo ora di critiche negative al mio testo, proprio da parte di donne con le quali condivido da circa trent’anni il comune cammino di ricerca sul divino, dimostra che dentro il nostro Coordinamento nazionale ci sono delle donne che temono o non vogliono affrontare i conflitti a viso aperto. E questo è senza dubbio un nodo da sciogliere se si vuole continuare insieme il cammino con fiducia reciproca. Infatti più di una volta ho avuto modo di costatare che nei nostri Coordinamenti gruppi-donne c’è paura a guardare dentro i conflitti che ogni tanto sorgono fra noi. Perciò ringrazio Elena Lobina, del gruppo donne di Roma, per aver fatto la sua mozione, dando la possibilità alle presenti di rispondere, anche se ciò è accaduto in una sede diversa dai nostri Coordinamenti, rompendo quella che Doranna Lupi ha chiamato l’obiezione silenziosa.

L’obiezione silenziosa è una posizione che teme il conflitto, lo rimuove, e distrugge il confronto. Ciò costituisce uno dei nodi fra noi più profondi, da sciogliere se non si vuole creare divisioni insanabili, per riuscire a scrivere storia vivente, come ci insegnano le amiche della pratica politica di storia vivente e delle relazioni fra donne, di cui Marirì Martinengo è una emerita esponente.

Non ho timore d’affermare che proprio dentro alcuni gruppi-donne che fanno parte del Coordinamento nazionale c’è stata della reticenza ad esprimere apertamente i conflitti che coinvolgevano il mio libro e me in prima persona. Ma poi, per fortuna, ci sono state delle donne che si sono ribellate a questo comportamento e hanno cercato la strada e trovato le relazioni giuste per sbloccarlo. Anna Turri, per esempio: lei, che non condivideva la posizione di Anna Caruso (gruppo donne di Verona) secondo cui il libro Mira non doveva scriverlo (lo si capisce benissimo dalle sue parole registrate a Milano), invece di tacere ha trovato il coraggio per scrivere e far pubblicare un suo articolo chiarificatore, esponendo la sue idee e la sua posizione. L’articolo di Anna Turri è stato pubblicato sul sito delle Comunità cristiane di base italiane (cdbitalia) e anche su quello della Libreria delle donne di Milano.

Ultima cosa non meno importante.

Mariarosa Filippone, mia cara e affettuosa amica del gruppo donne di Oregina (Genova), nella pagina delle sue riflessioni, scritta dopo l’incontro di Milano e a noi inviata il 17.2.2018, ad un certo punto, citando il mio testo, scrive:

Altro punto saliente, che mi ha toccato nella carne viva, quando Mira ha trovato le parole per legittimare il proprio ruolo nella casa famiglia, ruolo di Madre. Ruolo negatole.

Credo di capire quello che Mariarosa ha cercato di dire, ma non ha usato le parole giuste. Non è il ruolo materno che mi è stato negato. Quella che mi è stata negata è stata l’autorità materna; non solo la mia, ma anche quella di mia madre (leggere l’episodio della lavatrice, pag. 56 e 57 del libro).

Ringrazio comunque Mariarosa perché mi dà ora l’opportunità di chiarire io stessa quel punto del mio testo.

C’è differenza fra ruolo materno e autorità materna. Il ruolo è una funzione. L’autorità materna si riferisce invece all’ordine simbolico della madre, cioè alla donna che ci ha messo al mondo. Tutte e tutti nasciamo da donna. Senza riconoscimento dell’ordine simbolico della madre non c’è autorità materna, non c’è autorità femminile, c’è solo subalternità alla cultura dominante, quella maschile, quella del padre. Il patriarcato, specialmente nella chiesa, non muore con le donne emancipate e gli uomini e i preti progressisti; muore quando una donna lo cancella dalla sua testa e dal suo cuore. Il patriarcato ha sempre negato il valore simbolico della relazione materna, il legame con colei che ci ha messo al mondo. Riconoscerlo da parte nostra e farci riferimento toglie dalla sottomissione e dal dominio culturale esercitato per secoli dal sistema patriarcale. “Questo passaggio ci conduce alla nostra vera origine e ci restituisce, attraverso la riconoscenza, l’amore e l’autostima in noi stesse, la nostra autorità, la nostra interezza, il nostro essere” (Doranna Lupi).

All’Isolotto mi è stata negata l’autorità materna, non il ruolo/funzione di madre che, almeno a quel tempo, era in funzione dei desideri del padre, il parroco nel mio caso.

E non si dica che erano altri tempi perché la subalternità femminile al dominio culturale maschile esiste ancora oggi. La libertà femminile è un campo di battaglia dove si gioca ogni giorno la nostra vita. Ultimamente lo abbiamo visto anche col movimento di liberazione delle donne americane chiamato MeToo.

Desidero concludere queste mie riflessioni con un’altra notazione di Doranna Lupi, fatta a conclusione della sua introduzione al dibattito:

Dalla storia delle case famiglia emerge il nodo che per tanti anni ha travagliato Mira. Le case famiglia dell’Isolotto non sarebbero esistite senza le madri affidatarie e senza l’iniziale collaborazione/accettazione di Mira Furlani a tale progetto. Ma è proprio su questo che ad un certo punto è avvenuto lo scontro più profondo, quello tra autorità maschile e autorità femminile, in pratica tra Mira e coloro che volevano ridurre l’autorità femminile a funzione/ servizio oblativo.

L’imprevisto fu che Mira e sua madre si ribellarono a quella che era una vera e propria sottrazione di autorità e disconoscimento del simbolico materno.