La storia non è un prato da falciare

Luisa Muraro

Il Centro culturale Villa Pallavicini (via Meucci 3, Milano), alle 18.30 di lunedì 4 giugno, ospiterà un incontro pubblico e conferenza stampa in vista di un’opera commemorativa in piazza Vetra, che vuol essere In memoria delle cosiddette streghe. “I pericoli del pensiero unico non sono mai finiti.” Così dice il Comitato promotore nel suo invito (https://www.facebook.com/events/164018961116348/). È vero, così vero che anche il Comitato, con tutte le sue buone intenzioni, è vittima del pensiero unico. Infatti, 1) confonde la caccia alle streghe con la persecuzione dell’eresia e 2) attribuisce la responsabilità di questi mali storici unicamente all’Inquisizione.È umanamente e politicamente sbagliato, io dico, continuare a fare questa doppia confusione: corrisponde a un modo di ragionare molto comodo, comodo ma anche molto sbagliato. Una volta lo chiamavano: fare di ogni erba un fascio, ma la storia è il contrario di un prato da passare con la falce.

Spiego il primo punto della mia critica, la confusione delle vittime. La confusione tra eresia e stregoneria è un’invenzione fatta dall’Inquisizione alla fine del Medioevo per i suoi scopi, fra cui sfruttare le credenze popolari sulle streghe e mettere così in cattiva luce le persone giudicate eretiche. I Valdesi furono tra le prime vittime di questa odiosa propaganda, che arriva fino al maccartismo anticomunista degli Usa negli anni Cinquanta. In altre parole, l’Inquisizione ha inventato un metodo repressivo che fu adottato e continua a essere adottato dai poteri forti per avere mano libera sui loro oppositori: calunniarli. Ma noi dobbiamo fare il contrario, dobbiamo fare la differenza tra le streghe e gli eretici!

Dobbiamo farla per restituire la vera identità alle vittime, una per una se fosse possibile, ma che sia almeno sullo sfondo della loro grande differenza. La donna (o l’uomo) valdese era una cristiana lettrice del vangelo, anticonformista… chiamarla strega voleva dire coprire il suo comportamento di false interpretazioni e di sospetti infondati. D’altra parte, chiamare eretica una cosiddetta strega, era un modo per “cristianizzare” tutta una differenza culturale, occultare cioè i segni dell’antica civiltà precristiana e la sua presenza nella cultura popolare. La strega, infatti, è il paradigma di ogni differenza che ostacola i progetti e i progressi dei vincenti. Quest’umanità perseguitata avrebbe in comune che sono stati, tutti e tutte, vittime dell’Inquisizione?

Passo così al secondo punto, la confusione dei responsabili. Chi conosce la storia della congregazione di Guglielma, sa che le condanne definitive, eseguite nell’anno 1300, emanavano dai domenicani di Sant’Eustorgio, cioè dall’inquisizione che faceva capo a Roma, e che questa non ebbe il compito facile per l’opposizione più o meno aperta di altri poteri, laici e religiosi, fra cui il monastero di Chiaravalle. Chi conosce la storia delle caccia alle streghe sa che la strage durata secoli di persone innocenti, in gran parte donne, rientra nella storia della nascente Europa moderna e fu opera di poteri che cercavano capri espiatori, e durò tanto quanto la credulità popolare che consentiva loro di fare questo gioco… Mettere sotto accusa, oggi, l’Inquisizione, non è, forse, fare lo stesso gioco? O, meglio, prestarsi a quelli che vogliono farlo profittando della nostra semplicioneria? (www.libreriadelledonne.it, 1 giugno 2018) 2/2