Divino femminile e trasformazione

Francesca Lisi

A partire da Maria Zambrano e il sogno del divino femminile di Giuliana Savelli,

una proposta…

Del pensiero di Maria Zambrano ho sempre ritenuto pregevole il tema della trasformazione, della trascendenza, che, penso, costituisca il centro portante della sua filosofia. Attorno a questo tema io credo si svolga il suo processo filosofico, nonostante, spesso, esso si inabissi, rendendosi poco esplicito, o difficilmente riconoscibile o scarsamente rilevabile.

A partire dal mio interesse per questo tema, ho cercato, dal mio primo approccio con i testi di Zambrano di ricavarne un percorso che non soddisfacesse soltanto il piano teorico-teoretico, ma anche il piano pratico esistenziale; un percorso che fondasse un pensiero come “metafisica sperimentale”, nello stesso senso che Chiara Zamboni spiega nella sua Introduzione al libro di Giuliana Savelli.

Il libro di Giuliana attraversa molti dei punti-chiave del pensiero di Zambrano, e tanti ne approfondisce. E, nonostante non presenti né più né un capitolo sul tema della trasformazione, riesce comunque a dargli rilievo, a conferirgli l’importanza che merita.

A mio parere, la parte del testo in cui il tema è più manifestamente approfondito è quella che ha per titolo “Il divino femminile” (da p. 182). In più, all’interno di questa parte, troviamo nel testo quelle che Giuliana chiama “implicazioni” del divino femminile (p. 190). Penso che queste implicazioni costituiscano la parte forte, poiché presentano temi che, a mio parere, andrebbero indagati e approfonditi seriamente, soprattutto nei luoghi in cui spesso si parla di divino femminile. Uno studio serio e giudizioso di quelle tematiche potrebbe permettere sicuramente di connotare in modo più chiaro e fecondo il significato dell’espressione “divino femminile”.

Questa è la proposta rivolta a quante di noi volessero lavorare per l’approfondimento.

Prima di entrare nelle vere e proprie “implicazioni”, per essere più chiara, le contestualizzo in 4 punti, sempre restando al libro di Giuliana:

  • 1) In primo luogo, il testo caratterizza questo divino femminile, chiarendo che esso riguarda entrambi i sessi, anche se in maniera differenziata: – agli uomini chiede la conversione, il piegarsi alle ragioni della vita interiore; alle donne, di assumere in sé il divino come pienezza di pensiero, senza tradire nessuna delle qualità acquisite durante un’emarginazione millenaria, e cioè, la capacità di creare ponti nell’umano, il legame con la natura, ecc., affinché sia possibile per loro la nascita di un sé interiore non stereotipato, né impostato.
  • 2) Zambrano in Quasi un’autobiografia, pubblicato nel 1986, stesso anno in cui è pubblicato Dell’Aurora, ci dà due definizioni chiare e importanti, riguardanti la filosofia e l’uomo/donna:
  1. a) la Filosofia è trasformazione dal sacro al Divino;
  2. b) l’uomo è l’essere che subisce la propria trascendenza (p. 184).

In questo testo di Zambrano è proprio il divino femminile a fare da guida alla sua quasi un’autobiografia.

  • 3) Un altro elemento che caratterizza il divino femminile nell’opera di Zambrano (p. 186), scrive Giuliana, è la sua doppia dimensione:
  1. a) quella “ verso l’abissale e il sorgivo; e
  2. b) quella celeste dell’Aurora, “la chiarezza del pensiero” , di un nuovo modo di pensare.

Queste due diverse condizioni sono rappresentate da Zambrano attraverso le metafore degli elementi naturali: acqua -fuoco.

L’acqua, come decantazione delle passioni e risveglio del sentire e dell’amore, come annuncio di una vita nuova.

Del fuoco , scrive Zambrano ne I beati, non si può parlare; anche se in Dell’Aurora il fuoco vitale si trasmuta nello spazio luminoso del cuore/pensiero, tramite il sentire. E in Quasi un’autobiografia, Zambrano identifica se stessa con la fiamma, perché, scrive: “mi sto dando come se stessi già morendo, e il fatto è che bisogna morire molte volte per risuscitare, e io credo nella resurrezione, non quella dei morti ma in quella della carne, credo nella resurrezione, dio mio, no;…..”.

  • 4) ultimo punto interessante che caratterizza il divino femminile è che in Zambrano le figure mediatrici col divino sono tutte femminili (e di molte specie).

A partire da questo contesto, ora possiamo dirigersi verso le “ implicazioni”. Esse derivano tutte dalla qualità circolare del divino femminile. Una circolarità che contiene il tutto: dalla materia differenziata alla parola/pensiero che nomina e rivela.

Queste le quattro implicazioni nominate da Giuliana: 1) L’innocenza della materia; 2) La passione della luce, ovvero, il conoscere per amore; 3) La trascendenza negata; 4) La spiga d’oro di Eleusi.

 Dico subito che io vedo l’implicazione 3) ‘La trascendenza negata’, più come prerequisito, o anche come monito e non come un’implicazione, più come un avvertimento di cui una coscienza in ampliamento deve tener conto (ho comunicato questo mio punto di vista a Giuliana, che lo ha accettato).

Ma, riparto in ordine dalla prima implicazione, ribadendo la necessità di riflessione che ciascuna di esse richiede.

1) L’innocenza della materia.

Qui, il punto è il recupero della circolarità, che ha bisogno di liberare la materia della colpa e di restituire alla materia la sua innocenza e la sua potenza originarie. Per chiarire tutto questo, a p. 190, Giuliana scrive delle caratteristiche delle Antiche Vergini Dee Madri e Trine. Anche Zambrano ne parla, come Dea cosmogonica, ma è una figura che da lei non viene sviluppata.

A mio parere, questo archetipo è uno dei più forti a significare quella circolarità che a me piace chiamare interezza e profondità del vivere.

2) La passione della luce, alla cui denominazione preferisco “il conoscere per amore” integrato al sentire e al patire, ci presenta ancora la circolarità, in quanto questo pensiero è reso vivo dall’incontro con l’oscurità delle viscere. Si tratta di un percorso mai definito in quanto l’uomo/donna non ha l’Essere ma si orienta verso l’Essere, ricercandolo, in primo luogo, in sé.

3) La trascendenza negata addita in Ipazia, filosofa neoplatonica, uno dei molti esempi dello scempio che può accadere ad una mente che possiede una grande forza civilizzatrice e una visione del mondo non violenta che ha fiducia nella verità sentita.

In questo spazio di negazione moltissime le riflessioni da fare, per dare, ad esempio, risposte alle domande: Quali sono precisamente i dispositivi del potere tesi a cancellare la circolarità? Come agiscono precisamente? E come poter giocare quei dispositivi del potere a nostro vantaggio? Ecc.

  • 4) La spiga d’oro di Eleusi è un altro punto di riflessione di estrema importanza.

Anche questo, luogo di grande circolarità e di grande trasformazione, a partire dal ritrovamento della figlia da parte della Madre Dea Demetra, fino all’istituzione dei Misteri Eleusini, di cui la spiga è il grande simbolo, e il cui significato è:

  1. a) Spiga come espressione di un atto creativo generato dall’intimità tra madre e figlia, maturata nell’amore reciproco;
  2. b) divino femminile, capace di generare l’invisibile;
  3. c) il ritrovamento d’amore, suggellato da una misteriosa nascita che, secondo Zambrano, è la nascita di Trittolemo, secondo altri di Demofonte, figlio dei sovrani di Eleusi, secondo altri ancora di Iachòs (Bacco-Dioniso), quest’ultimo figlio di Kore secondo una versione del mito.

A sostegno di quest’ultima nascita, sappiamo che durante il percorso degli iniziandi, da Atene ad Eleusi, si cantavano inni e si recitavano devozioni a Iachòs che nasce. L’inno più celebrato era quello a Iachòs, appunto, il cui nome era urlato, come scrive Erodoto. La festa si apriva proprio al suono di quell’urlo.

La contemplazione della spiga mietuta nel silenzio, simbolo della dea Demetra con Kore, permetteva l’identificazione con la divinità ed era offerta alla contemplazione di tutti proprio come simbolo del mistero della morte e della resurrezione.

Come era già successo a Kore, l’iniziato sarebbe potuto tornare a “ri-vivere”.

Ippolito, scrittore cristiano, racconta che all’interno del Telestèrion – il sancta sanctorum, dove avevano accesso solo i sacerdoti e gli iniziati – nel momento più alto della cerimonia, il grande sacerdote gridasse: “La Signora ha dato alla luce un fanciullo Santo; Brimo ha dato alla luce Brimo, cioè il Forte ha generato il Forte”.

Si suppone – visto che del rito culminante si sa poco o niente- che in questo momento comparisse un bambino: Demofonte, nella tradizione omerica, Iachòs, nella tradizione orfica. Il bimbo nato da Kore, restituita dagli inferi, compariva dal fuoco, il cui significato è la morte del vecchio Io e la nascita dell’Io nuovo, grazie a un nuovo conoscere per amore, integrato al sentire e al patire.