Mira Furlani e Beppe Pavan rispondono alle considerazioni della Comunità dell’Isolotto, pubblicate nel Primo Piano del 12 dicembre

Mira Furlani

A seguito delle considerazioni espresse dalla “Comunità dell’Isolotto” nel Primo Piano del 12/12/2016, io, Mira Furlani, autrice del libro Le donne e il prete. L’Isolotto raccontato da lei e ancora membro, fino a prova contraria, di tale comunità, desidero precisare che ho scritto un testo autobiografico. Pertanto il mio scritto non si addentra nei principi, che peraltro condivido, che oggi guidano la Comunità dell’Isolotto. Non è sul piano dei principi che scorrono i miei ricordi, bensì sull’esperienza pratica di un vissuto che si è scontrato con la disparità di rapporti tra uomini e donne, e più precisamente la disparità con una cultura maschile e clericale che ha prodotto secoli d’ingiustizia e d’ingiusta sottomissione interiorizzata, nella società come nella chiesa cattolica o riformata, ed è difficile ribellarsi, prenderne coscienza.

Il mio racconto mette in evidenza che senza il femminismo dell’autocoscienza e la scoperta dell’ordine simbolico della madre, non sarei mai riuscita ad uscire da quella sottomissione.

E’ vero che Enzo Mazzi è morto e non può difendersi personalmente, ma ci sono altri che lo possono fare (gli scriventi delle “considerazioni” lo hanno fatto). Io invece sono stata vincolata al silenzio perfino nel testamento che Enzo Mazzi ha lasciato ai suoi eredi, nel quale chiede che tutte le sue lettere vengano bruciate. Mi domando: poteva farlo senza ledere il sacrosanto diritto al loro possesso da parte di coloro ai quali le ha spedite?

E’ vero anche che ho scritto ricordi che si riferiscono a un lontano passato, connotati dalla mia soggettività. La verità soggettiva rende conto di sé stesse/stessi, attraversa la concretezza della vita, e ciò costituisce esercizio di una pratica politica reale, non delegata, non nascosta dietro etichette o sigle, non astratta come sono i principi.

Se il femminismo dell’autocoscienza mi ha donato consapevolezza di me come donna, il pensiero della differenza sessuale mi ha aiutata a non rifiutare la mia femminilità e mi ha aperta alla politica della libertà femminile. Il mio libro è attraversato dalla passione della differenza sessuale. Che cos’è questa passione? E’ la coscienza femminile della propria superfluità. Come donne siamo necessarie, sì, ma lo siamo all’altro da noi stesse, ai suoi desideri, soprattutto al suo ideale di maternità come ruolo materiale, come destino per noi passivo.

Oggi la politica delle donne ha messo in questione tale cultura, compresa la politica dell’emancipazionismo, cioè la tensione femminile verso il raggiungimento della parità con l’uomo, cercando diritti non conquistati da lei, ma concessi da lui e perciò omologanti all’essere maschile. Sul terreno della conquista di libertà femminile non omologante ho trovato confronto e terreno fertile dentro i gruppi-donne delle Cdb. Come racconto nel mio testo, all’Isolotto oggi non esiste un simile gruppo.

Il movimento dei gruppi-donne Cdb, insieme ad altri gruppi, pur mantenendo la propria autonomia sono aperti al confronto con uomini che a loro volta fanno esperienza della pratica politica dell’autocoscienza, mettendo in discussione sé stessi. La recensione del mio libro fatta da Beppe Pavan ne è una testimonianza: egli ha affrontato con coraggio la questione che si è aperta col prete che faceva parte della comunità di base di Pinerolo, e che poi se ne è andato in silenzio per fondare un’altra comunità, creando squilibrio e dolore in molta gente. A questo punto do a Beppe Pavan la parola.

* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * 

ALLE AMICHE E AGLI AMICI DELL’ISOLOTTO

Beppe Pavan

Che dire? a una prima lettura sento di sottoscrivere tutta la citazione dal libro di Mazzi, per il quale ho scritto di aver avuto sempre solo “venerazione e stima”. Come l’ho sempre avuta per donne e uomini dell’Isolotto, con cui ho cercato – ogni volta che ne ho avuto l’occasione – di condividere racconti di vita, in particolare delle rispettive cdb e delle nostre relazioni, a volte difficili, con i preti. Ricordo benissimo alcuni scambi in occasione degli ultimi incontri del collegamento nazionale a Firenze… Non erano solo “opinioni personali” quelle che ci siamo scambiate, ma sentire profondi delle comunità – o di parti di esse.

Chiaramente poi ognuno/a, quando scrive, esprime il proprio punto di vista, parziale e sincero, firmandosi. La ricchezza è data dalla molteplicità degli interventi, tutti sempre personali, a meno che si tratti di comunicati, appelli, petizioni…

Per me, la lettura del libro di Mira è stata l’occasione /stimolo per condividere esperienze differentemente simili di relazione con il prete della comunità: non credo che si possa parlarne come di “privato-individuale”. Mi sembra esattamente ciò di cui parla Enzo nel brano citato: “ricerca comunitaria… cammino condiviso… l’insieme dei diversi… che mettono in comune la diversità”… E, in particolare, dove scrive:”la gioia e la fatica di trasmettersi reciprocamente i valori profondi in cui si crede”.

Se non fosse che Gesù era un laicissimo ebreo e non il prototipo di prete cattolico, mi verrebbe da pensare che tra di loro – tra Gesù e i preti – ci potrebbe essere proprio un legame strettissimo di successione, in quanto “segni di contraddizione” (v. Lc 2,34) che provocano divisione tra “tifosi” e “detrattori”… (v. Mt 10,34).

Per fortuna sappiamo che questo legame non esiste, che è una forzatura maschile che affonda le radici nella cristologia paolina elaborata già negli anni immediatamente successivi alla morte di Gesù, indubitabilmente favorita dal fatto che lui fosse morto e non potesse quindi intromettersi nell’elaborazione teologica dei suoi discepoli. Che a buon conto hanno ridotto al silenzio le donne, che avrebbero potuto raccontare una versione diversa di quella storia…

Ma c’è un altro “per fortuna”, secondo me: abbiamo imparato anche a smetterla con gli schieramenti da tifosi pro o contro, perché la realtà, ogni realtà, come ogni storia, è complessa e può legittimamente essere raccontata da più punti di vista. Non solo: ogni essere umano, protagonista di ogni storia e di ogni racconto, è fatto di mille sfaccettature.

Chi è pro tende a vedere solo le luci; chi è contro solo le ombre… ma luci e ombre ci sono sempre, in ciascuno e ciascuna di noi – scagli la prima pietra chi non cerca di tenere nascosti i propri angolini bui… L’analisi storico-critica fa emergere queste e quelle, ed è l’analisi che ci ha aiutato e continua ad aiutarci nel cammino di liberazione dalla sottomissione acritica ai dogmi e a chi se ne serve per dominare.

Grazie, quindi, a chi racconta così le storie, ogni storia che conosce, soprattutto quelle che ha vissuto personalmente… perché ci aiuta a trovare il coraggio di fare altrettanto. Anche se non tutti/e scriveremo libri, il racconto lo possiamo svolgere dentro di noi, o metterlo in parole in scambi verbali, come facciamo nel gruppo uomini, riconoscendo e nominando le ombre della nostra vita e quelle di chi è stato/a ed è in relazione con noi.

Così ci scopriamo non più che umani, molto più simili tra noi di quanto le strutture gerarchiche tendano a nascondere. Penso a chi sta in punta, al vertice massimo della piramide, e si fa chiamare “santità” – e giù giù “eminenza, eccellenza, monsignore…” fino al più umile “don”, che in realtà di umile ha ben poco, dal momento che è la contrazione di “dominus”, che significa “signore” e “padrone”…

Quanta saggezza c’era nell’invito che Luisa Muraro aveva rivolto all’allora cardinale Ratzinger: “Ogni mattina, guardandosi allo specchio mentre si fa la barba, provi a dirsi ‘sono solo un uomo’…” (cito a memoria)! Non ricordo che sia stato molto considerato e commentato quell’invito; eppure lo sento rivolto a noi, a ciascuno di noi, maschi del genere umano: a prendere seriamente in considerazione la nostra parzialità, individuale e di genere, smettendo di considerarci superiori, anche di poco, a chicchessia.

Luisa, Mira, Doranna, Carla, Luciana, Anna, Gabriella, Francesca… e voi tutte, donne libere e coraggiose: grazie per la tenacia affettuosa con cui ci parlate della vostra libertà e ci invitate a seguirvi su quegli stessi sentieri.

Che la Fonte della Vita e la Sorgente dell’Amore ci diano il coraggio di abbandonare la dorata schiavitù dell’Egitto patriarcale e delle sue cipolle, per camminare con voi negli spazi infiniti alla ricerca di una meta che altro non è che il nostro camminare. Insieme. Senza giudicarci. Con tutte le nostre luci e tutte le nostre ombre.

Care amiche e amici dell’Isolotto, questo è lo spirito con cui ho letto e riletto il vostro scritto: ci rifletterò ancora su e sono certo che le nostre comunità continueranno a camminare su quei sentieri di ricerca, di scambio, di convivialità delle differenze. Con affetto e pazienza reciproca. Delle vostre osservazioni sul “primo piano” propongo di inserire la discussione tra i punti all’odg del prossimo Collegamento nazionale